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La Terza guerra di indipendenza: riassunto

Introduzione

 

Quando viene proclamato il Regno d’Italia (17 marzo 1861) il processo di unificazione nazionale non è ancora concluso: il Lazio appartiene ancora allo Stato Pontificio, mentre il Veneto e le province di Trento e Trieste appartengono ancora all’Austria. Con la Terza guerra di indipendenza (20 giugno 1866 - 12 agosto 1866) il Regno d’Italia consegue l’annessione del Veneto, oltre che della provincia di Mantova e di parte del Friuli, ponendo così fine alla cosiddetta “questione veneta” 1.

 

Le cause del conflitto

 

Negli anni che seguono l’Unità, benchè gran parte dell’opinione pubblica italiana caldeggi un intervento militare volto a conseguire l’annessione del Veneto, il re preferisce non correre alcun rischio, sia perché ritiene prioritario definire i rapporti con lo Stato della Chiesa, sia perché si rende conto della propria debolezza in confronto al nemico austriaco. Per questi motivi, quando già a partire dal 1861 Mazzini e Garibaldi iniziano a reclutare volontari alla frontiera del Tirolo in vista di una guerra contro l’Austria, il sovrano interviene per bloccare l’iniziativa.
Soltanto il mutato contesto internazionale rende possibile l’apertura delle ostilità:

  • in primo luogo, la decisione di Napoleone III di smobilitare le truppe francesi dallo Stato Pontificio offre una provvisoria soluzione alla “questione romana”. Più specificamente, l’imperatore francese desidera indebolire la posizione internazionale dell’Austria, approfittando delle tensioni di questa con la Prussia per il controllo dei ducati danesi dello Schleswig e dell’Holstein. Il 21 giugno 1864 Napoleone III propone a Vittorio Emanuele II di sgomberare le proprie truppe da Roma, a condizione che l’Italia sposti la capitale da Torino ad un’altra città (verrà scelta Firenze) e si impegni a non attaccare l’integrità territoriale dello Stato della Chiesa. L’accordo viene formalizzato il 15 settembre 1864 con la Convenzione di Parigi (o Convenzione di settembre);
  • in secondo luogo, la decisione di Otto von Bismarck di portare guerra all’Austria procura all’Italia un nuovo importante alleato.Il cancelliere prussiano desidera scalfire l’egemonia austriaca nell’area germanica e, ottenute rassicurazioni di neutralità rispetto ad un eventuale conflitto austro-prussiano dalla Gran Bretagna, dalla Russia e soprattutto dalla Francia (Bismarck e Napoleone III si incontrano a Biarritz tra il 4 e l’11 ottobre 1865), la Prussia cerca infine un accordo militare con il Regno d’Italia. Con il trattato di Berlino firmato il 10 marzo 1866 la Prussia si impegna a difendere l’Italia in caso di attacco austriaco e l’Italia si impegna ad intraprendere una guerra contro l’Austria qualora lo abbia già fatto la Prussia. Nel trattato si prevede inoltre che nel caso in cui l’Austria avesse offerto il Veneto all’Italia l’armistizio non avrebbe potuto essere rifiutato. Ottenuto l’appoggio prussiano, Vittorio Emanuele II può considerare di riprendere le ostilità nei confronti del nemico austriaco.

 

Lo scoppio del conflitto e le forze in campo

 

Quando il 1 giugno 1866 l’Austria chiede che la Confederazione germanica (da lei controllata) risolva la questione relativa al controllo dei ducati danesi, la Prussia invade l’Holstein. Il 14 giugno l’Austria mobilita l’esercito della Confederazione germanica. Il 15 giugno la Prussia esce dalla Confederazione germanica e invade la Sassonia, l’Hannover e l’Assia (alleati dell’Austria). Essendo ormai scoppiata la guerra austro-prussiana, il 20 giugno l’Italia dichiara guerra all’Austria. Il conflitto che nel contesto del Risorgimento italiano prende il nome di “terza guerra di indipendenza”, nel contesto europeo altro non è che il fronte meridionale della guerra austro-prusso-italiana. All’inizio della guerra l’Italia conta su circa 200.000 fanti e 10.000 cavalleggeri, raggruppati in quattro corpi d’armata, di cui tre schierati sul Mincio al comando di Alfonso Lamarmora e uno schierato sul Po al comando di Enrico Cialdini; conta inoltre su circa 40.000 volontari al comando di Giuseppe Garibaldi 2.

Invece l’Austria, che ha cercato di sopperire ai problemi emersi durante la Seconda guerra di indipendenza, potenziando l’artiglieria e la cavalleria, sul fronte meridionale può contare su circa 190.000 uomini, di cui però vengono effettivamente schierati solo 60.000 fanti, 3.000 cavalleggeri e 10.000 combattenti provenienti dai presidii delle fortezze del “quadrilatero” di Peschiera, Mantova, Verona e Legnago.

 

L’offensiva terrestre e la sconfitta a Custoza

 

Nelle intenzioni di Bismarck, la Prussia avrebbe dovuto puntare direttamente su Vienna mentre l’Italia si sarebbe dovuta dirigere a Padova e quindi all’Isonzo: in questo modo l’Austria sarebbe stata minacciata sui due fronti principali contemporaneamente, oltre che su fronti secondari come in Dalmazia, con l’intervento dei volontari di Garibaldi, o come in Ungheria, dove si intendeva provocare una rivolta. L’Italia non riesce tuttavia a stare al passo dell’alleato, sia per la sua debolezza militare, sia perché Lamarmora e Cialdini, incontratisi a Bologna poco prima dell’inizio degli scontri, non riescono a coordinare l’intervento delle divisioni schierate rispettivamente sul Mincio e sul Po.

Il 23 giugno Lamarmora oltrepassa il Mincio con due corpi d’armata. Si pensa che le truppe austriache si trovino ancora presso il fiume Adige, mentre esse si trovano già schierate presso il lago di Garda. Il 24 giugno 1866 i due eserciti si incontrano: l’esercito italiano si batte valorosamente, ma sconta una pessima organizzazione e viene aspramente sconfitto nella battaglia di Custoza. Lo stesso 24 giugno le truppe di Lamarmora ripiegano dietro il fiume Oglio. Venuto a conoscenza della sconfitta, Cialdini decide di non oltrepassare il Po e di ripiegare dietro il fiume Panaro. A partire dal 29 giugno Cialdini si risolve ad oltrepassare il Po e si addentra in territorio veneto. Negli stessi giorni Garibaldi affronta gli austiaci in Trentino con alterne vicende.

Sul fronte settentrionale l’Austria si trova invece in grande difficoltà; dopo aver vinto le resistenze di vari alleati austriaci, la Prussia invade la Boemia e il 3 luglio 1866 sconfigge l’Austria nella battaglia di Sadowa. Diventa allora prioritario per l’Austria chiudere il fronte meridionale per poter schierare tutte le proprie milizie contro il nemico prussiano. Il 4 luglio l’Austria comunica alla Francia la propria intenzione di cedere il Veneto all’Italia e l’8 luglio la Prussia accetta la mediazione francese. A questo punto l’Italia si vede costretta a piegarsi al nuovo scenario internazionale e Cialdini riceve l’ordine di arrestare la propria avanzata in Veneto.

 

La sconfitta di Lissa e l’annessione del Veneto all’Italia

 

Nel consiglio di guerra di Ferrara del 14 luglio l’Italia decide tuttavia di proseguire con le campagne terrestri di Lamarmora, Cialdini e Garibaldi, e di iniziare le ostilità navali. Si vuole ottenere una vittoria che salvi l’Italia dall’umiliazione di dover accettare il Veneto da Napoleone III senza averlo conquistato militarmente, e che consenta anche di sedersi al tavolo della pace in posizione di relativa forza.

Cialdini e Garibaldi conducono bene le operazioni militari in questa fase del conflitto, mettendo in seria difficoltà Kuhnenfeld; il primo avanza in territorio veneto, occupando Padova il 14 luglio e Vicenza il 15 luglio, e costringendo i contingenti austriaci a ritirarsi oltre il fiume Isonzo; il secondo invece ottiene alcuni successi militari in territorio trentino, e il 21 luglio 1866 le sue armate sconfiggono l’esercito austriaco nella battaglia di Bezzecca.

I successi riportati dagli italiani nelle battaglie terrestri vengono tuttavia inficiati dalle pesanti sconfitte sofferte nelle battaglie navali. Avendo ricevuto precise indicazioni in tal senso nel consiglio di Ferrara, il 18 luglio l’ammiraglio Carlo Pellion conte di Persano inizia a bombardare con la propria flotta l’isola di Lissa, al largo della costa dalmata 3. Il 20 luglio 1866, la flotta imperiale al comando dell’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff giunge da Pola, sconfigge rapidamente la flotta italiana, affondando la corazzata “Re d’Italia” e la cannoniera “Palestro”, e si ritira a Lesina 4.

Le ragioni della sconfitta vanno ricercate principalmente nel fatto che la flotta italiana è il prodotto di una recente fusione di elementi liguri, napoletani e siciliani: le diversità di dottrine belliche, lo scarso spirito di corpo, oltre che la sfiducia in Persano 5, rendono la flotta italiana del tutto inadeguata ad affrontare il nemico austriaco 6.

Dopo la battaglia di Sadowa, grazie alla mediazione francese, il 21 luglio Austria e Prussia pervengono ad una tregua, alla quale il 25 luglio aderisce anche l’Italia. Il 26 luglio Austria e Prussia siglano l’armistizio di Nikolsburg, al quale il 29 luglio aderisce formalmente anche l’Italia, senza tuttavia sottoscriverlo. Visconti Venosta, ministro degli Esteri italiano, avrebbe voluto proseguire il conflitto, ma la recente sconfitta a Lissa e la cessazione delle ostilità fra l’Austria e l’alleato prussiano rendono la cosa impossibile. In quel momento diventa altresì chiaro che l’Italia non avrebbe potuto mantenere il controllo sulla provincia di Trento, benchè Garibaldi l’avesse conquistata militarmente, perché le potenze europee non intendono scalfire l’integrità territoriale dell’Austria. L’11 luglio 1866 Austria e Italia stipulano l’armistizio di Cormons, mentre con il trattato di Praga del 23 agosto Austria e Prussia definiscono i termini della pace 7.

Il 3 ottobre 1866 con il trattato di Vienna anche Austria e Italia definiscono i termini della pace: l’Austria cede Veneto e Friuli 8 alla Francia, la quale li avrebbe poi ceduti all’Italia. Il rifiuto dell’Austria di consegnare un territorio direttamente al Regno d’Italia è determinato dal fatto che l’Austria non intende umiliarsi cedendo territori ad uno Stato che aveva sempre sconfitto in battaglia nel corso del conflitto. La cessione viene poi ratificata con un plebiscito a suffragio universale maschile che si svolge tra il 21 e il 22 ottobre. Il 7 novembre Vittorio Emanuele II entra a Venezia.

1 Occorrerà invece attendere il primo conflitto mondiale perché il Regno d’Italia arrivi ad annettere al proprio territorio le “terre irredente” di Trento e Trieste.

2 Il carisma di Garibaldi non è scalfito dalle conseguenze politiche dell’impresa dei Mille, che avevano deluso molti volontari, e dalla recente sconfitta sull’Aspromonte: in breve tempo egli riesce infatti a reclutare un numero considerevole di uomini, che costituiscono il “Corpo Volontari Italiani” e che saranno gli artefici dell’unica vittoria significativa dell’Italia nella terza guerra di indipendenza. Dopo l’Unità il Regno sabaudo ha tuttavia notevolmente potenziato l’esercito, anche se permane l’inadeguatezza dell’artiglieria che aveva caratterizzato le milizie preunitarie. Sono inoltre d’ostacolo la diversa provenienza e formazione degli ufficiali, nonché il fatto che molti ufficiali austriaci non erano voluti entrare nelle divisioni lombarde, venendo sostituiti da militari meno preparati.

3 Questa scelta è dettata dalla necessità di non attaccare direttamente territori appartenenti alla Confederazione germanica, quali per esempio Trieste

4 È significativo ricordare che anche in questa occasione le navi di Tegetthoff, oltre che la bandiera austriaca, battono anche quella veneziana, e che la battaglia di Lissa viene celebrata al grido di “Viva san Marco”: questo a riprova del fatto che i marinai veneti in questo momento non nutrono alcun sentimento nazionale italiano.

5 L’inettitudine di Persano viene efficacemente descritta da una frase del suo avversario Tegetthoff all’indomani della battaglia di Lissa: “Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno”.

6 La sconfitta e morte di molti giovani provenienti da tutte le regioni d’Italia è destinata a rimanere a lungo impressa nella memoria collettiva, come  testimoniato anche dal fatto che la descrizione della battaglia di Lissa è l’unico passaggio di lirismo patriottico in un romanzo come I Malavoglia di Giovanni Verga, scritto nel 1881.

7 La Prussia si impegna a indire un plebiscito nello Schleswig del Nord per la sua riannessione alla Danimarca (anche se il plebiscito si terrà soltanto dopo la sconfitta tedesca nel primo conflitto mondiale). L’Austria non è in ogni caso tenuta a cedere propri territori alla Prussia: si ritiene che Bismarck abbia acconsentito a queste blande condizioni per assicurarsi la non interferenza dell’Austria nel processo di unificazione tedesca che si andava avviando.

8 Si tratta del territorio corrispondente alle attuali province di Udine e Pordenone.