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Dalla guerra di Crimea alla Seconda guerra d’indipendenza

Introduzione

 

Il secondo conflitto contro l’Impero d’Austria, che consente al Regno di Sardegna di acquisire finalmente i territori della Lombardia è - a differenza di quello combattuto nel 1848 durante la Prima guerra di indipendenza - il risultato di un lungo lavoro diplomatico del gabinetto di Torino. La guerra, che vede la partecipazione massiccia e decisiva della Francia di Napoleone III, non è da considerarsi un “affare esclusivamente italiano” ma uno scontro tra grandi potenze europee.

 

La situazione europea

 

Gli anni che separano la prima e la seconda guerra di indipendenza sono stati definiti, dalla storiografia posteriore, come “decennio di preparazione” poiché, ad uno sguardo retrospettivo, la politica piemontese impersonata da Camillo Benso conte di Cavour appare interamente tesa ad un duplice obiettivo:

  •  far sedere il Regno di Sardegna al tavolo diplomatico delle grandi potenze europee;
  • attirare le simpatie dei governi di Francia ed Inghilterra alla causa italiana, intesa come espansione dei domini dei Savoia e svincolata da qualsiasi aspetto rivoluzionario, per rompere qualsiasi tentativo di avvicinamento ad esse da parte dell’Impero austriaco.

Per raggiungere questi scopi, il primo ministro piemontese si muove a ogni livello: diplomatico, militare e personale. L’avvenimento di maggior peso in questo senso è certamente la partecipazione di un contingente di bersaglieri piemontesi alla guerra di Crimea del 1855. Il conflitto, scoppiato per futili motivi di protezione dei luoghi santi nell’impero ottomano, vede contrapposti Impero ottomano, Francia e Inghilterra all’Impero russo; a dar supporto agli alleati, alcune divisioni di bersaglieri inviati dal re di Sardegna e guidate dal generale Alfonso La Marmora. Pur prendendo parte solamente a fatti bellici minori (come la battaglia del fiume Cernaia) e subendo la maggior parte delle perdite a causa di un’epidemia di colera, l’apporto maggiore dei militari italiani permettere al governo sabaudo di sedere nei tavoli di pace del Congresso di Parigi dove, pur non pretendendo naturalmente alcun vantaggio territoriale, la diplomazia di Cavour può mostrare alle maggiori potenze del continente la necessità di risolvere la questione italiana. La scelta di Cavour di partecipare al conflitto risulta oltretutto decisiva anche al fine di spezzare sul nascere ogni possibile alleanza “imperiale” tra Napoleone III 1 e Francesco Giuseppe. I frutti di una simile politica rischiano di essere completamente vanificati la sera del 14 gennaio 1858 quando il repubblicano italiano Felice Orsini lancia alcune bombe sotto la carrozza della coppia imperiale francese mentre questa si sta recando all’opera. Il cospiratore, che agisce per vendicare i caduti della Repubblica Romana del 1849, è arrestato insieme ai suoi complici pochi giorni dopo l’attentato. Cavour, tuttavia, dimostra in quest’occasione tutta la propria abilità diplomatica, dapprima riversando sugli Stati italiani assolutisti la responsabilità dell’attentato politico, poi facendo dare larga diffusione alla toccante lettera in cui il condannato a morte non chiede la grazia della vita ma prega l’imperatore di adoperarsi per la causa italiana. Il ministro riesce in questo modo non solo a recuperare l’interesse di Napoleone III ma anche a ottenere rassicurazioni verbali sul fatto che, in caso di nuovo conflitto con l’Austria, la Francia sarebbe intervenuta in soccorso del Piemonte.

 Il 21 luglio 1858 Cavour, fingendo pubblicamente di partire per la Svizzera, si reca segretamente nella località termale francese di Plombières e, mentre solo Vittorio Emanuele II e il ministro della difesa La Marmora sono al corrente del viaggio, incontra Napoleone III. Durante alcuni incontri informali e riservati, l’aiuto varie volte promesso dalla Francia al re di Sardegna prende forma concreta: l’esercito francese interverrà in soccorso di quello piemontese contro l’Impero austriaco nel caso sia quest’ultimo a dichiarare guerra. Il casus belli ideale viene inventato provocando la suscettibilità del duca Francesco V di Modena, discendente di Maria Teresa d’Austria, che dà occasione a Vittorio Emanuele II di occupare militarmente Massa e, senza molestarlo direttamente, provocare le ire del potente vicino orientale.

A Plombières, i due statisti non si limitano a progettare la prossima campagna militare antiaustriaca ma ridisegnano la mappa dell’intera penisola progettando di cancellare completamente l’egemonia degli Asburgo sull’Italia. Il nuovo assetto territoriale prevede:

  • un Regno dell’Alta Italia, composto da Regno di Sardegna, Lombardo-Veneto (fino all’Isonzo) e la Romagna Pontificia, sotto il controllo dei Savoia;
  • un Regno dell’Italia Centrale (con l’esclusione di Roma, che sarebbe rimasta al Papa), composto dal resto dello Stato Pontificio e dal Granducato di Toscana, affidato alla duchessa di Parma Maria Luisa di Borbone. Napoleone III impone questa   clausola per accattivarsi le simpatie dei legittimisti francesi, fedeli al ramo transalpino della stessa famiglia;
  • un Regno dell’Italia Meridionale, coincidente con quello delle Due Sicilie che, teoricamente lasciato a Ferdinando II, sarebbe stato invece affidato a Luciano Murat nel caso in cui una sollevazione spontanea avesse cacciato i Borbone da Napoli.

Queste tre entità sarebbero, in seguito, entrate a far parte di una federazione, presieduta presumibilmente dal pontefice. Come si vede, questo piano iniziale non prevede uno Stato italiano unitario e, del resto, questa prospettiva non era nei progetti di nessuno dei due contraenti. Cavour, personalmente interessato a un’espansione sabauda nel settentrione, considera prematuro pensare ad un allargamento all’Italia centrale e in generale è favorevole ad una prospettiva federalistica più che unitaria. Napoleone III, dal canto suo, oltre ad essere naturalmente contrario ad uno Stato unitario, che sarebbe diventato assai più indipendente e meno egemonizzabile da parte della Francia, deve fare i conti con le ripercussioni che le vicende italiane avrebbero avuto sulla sua politica interna. Una fortissima componente cattolica francese è contraria a qualsiasi ridimensionamento del potere papale, mentre quella legittimista è naturalmente attaccata alle prerogative dei diversi rami della casa di Borbone.

Sul piano territoriale, in seguito alla vittoria militare sull’Austria il Piemonte si impegna a cedere alla Francia Nizza (che era già stata sotto il dominio di Parigi all’epoca della Rivoluzione francese e che tornò all’Italia dopo il confino di Napoleone Bonaparte all’Elba) e la Savoia.

Per dare maggior forza all’alleanza, essa viene sancita anche con un legame dinastico, poiché a Plombières si concorda anche il matrimonio della giovane Maria Clotilde di Savoia 2 al principe Eugenio Bonaparte 3. Un’alleanza militare franco-sarda è ufficialmente ratificata alla fine del dicembre 1858.

 

Lo scoppio della guerra e le operazioni militari

 

Questa serie di preparativi non può che mettere in allarme la diplomazia e gli alti comandi militari austriaci, che cominciano da un lato a guardare con preoccupazione sempre più viva alla Francia e dall’altro ad ammassare truppe nel Lombardo-Veneto. Il Piemonte, dal canto suo, favorisce l’afflusso di volontari da ogni parte d’Italia. Malgrado i tentativi di Inghilterra e Russia di indire una conferenza internazionale per il disarmo, l’Austria invia dapprima un ultimatum di smobilitazione ed infine dichiara guerra, proprio come Cavour sperava, al Regno di Sardegna il 27 aprile 1859. Napoleone III, fedele agli impegni presi, dichiara a sua volta guerra a Francesco Giuseppe.

Quello che si profila è un conflitto internazionale di ampiezza inusitata per lo scenario italiano: nel momento più critico della guerra, tutti e tre i sovrani implicati (Vittorio Emanuele II, Napoleone III e Francesco Giuseppe) saranno personalmente presenti sul campo di battaglia alla testa delle loro truppe. Anche per numero di combattenti (in totale circa 420.000), le dimensioni di quella che viene chiamata “seconda guerra d’indipendenza” sono incommensurabilmente maggiori degli altri fatti d’arme del Risorgimento.

Benché sia l’Austria a dichiarare guerra, l’inizio delle operazioni da parte asburgica è lento e farraginoso: da un lato il maresciallo Gyulai, a capo delle forze imperiali nel Lombardo-Veneto, esita a far muovere i suoi soldati verso il confine piemontese, dall’altro il governo di Vienna manda ordini incerti e dilatori, perché l’imperatore spera fino all’ultimo di coinvolgere nel conflitto gli alleati della Confederazione germanica e ricevere aiuti da questi. Una simile perdita di tempo è tanto più incomprensibile (e destinata a risultare fatale) in quanto il piano strategico dello stato maggiore austriaco è quello classico dell’epoca napoleonica: impedire con movimenti veloci l’unione delle due armate nemiche e batterle separatamente in diverse battaglie campali. La lentezza di reazione dell’esercito austriaco, invece, consente a Napoleone III di entrare in Savoia il 12 maggio e di raggiungere l’alleato sabaudo pochi giorni dopo.

Quando Gyulai finalmente avanza, il primo contatto significativo con le forze nemiche avviene il 20 maggio a Montebello,dove le forze franco-piemontesi riescono a frenare l’avanzata austriaca e Napoleone III, comandante in capo delle forze alleate, inizia una manovra avvolgente verso nord per aggirare il nemico alla destra di questo.

Mentre le operazioni belliche si svolgono nella pianura padana, Leopoldo II abbandona la Toscana in esilio volontario di fronte alle imponenti manifestazioni di piazza ed il Governo provvisorio installatosi a Firenze dichiara l’annessione al Piemonte. Lo stesso succede a Modena, Parma e nella Legazione pontificia in Romagna.

Il 1 giugno, intanto, le forze austriache cominciano la ritirata a est del Ticino e, mentre Gyulai aspetta l’attacco franco-piemontese a Piacenza, Napoleone III continua la propria manovra di aggiramento verso nord. Lo scontro successivo, il 4 giugno a Magenta, vede di nuovo prevalere le forze francesi e costringe gli austriaci a ritirarsi nelle fortezze del Quadrilatero (ovvero Peschiera, Mantova, Verona e Legnago) lasciando sguarnita Milano, dove Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrano l’8 giugno successivo. Lo scontro decisivo avviene il 24 giugno con la doppia battaglia di Solferino e San Martino: benché le forze piemontesi non riescano a sfondare la linea austriaca a San Martino, la decisiva vittoria degli zuavi di Napoleone III a Solferino permette comunque ai sabaudi di avanzare. La battaglia di Solferino è tuttavia uno scontro sanguinosissimo e, con più di 6000 caduti, è lo scontro più sanguinoso di tutto il Risorgimento. L’enorme perdita di vite umane, la crescente insofferenza dell’opinione pubblica interna, oltre che la decisa opposizione del partito cattolico per una guerra tanto violenta con i correligionari austriaci inducono Napoleone III a cercare una pace separata col nemico, che - benché questa ipotesi fosse espressamente stata esclusa a Plombières viene firmata a Villafranca l’11 giugno 1859. Benché controvoglia (e con un Cavour che furente consegna le dimissioni) Vittorio Emanuele II è costretto a firmare l’armistizio, consapevole del fatto che, una volta ritiratosi il potente alleato francese, la sua armata non avrebbe speranze contro quella austriaca.

 

Conseguenze della guerra

 

La successiva pace di Zurigo garantisce al Piemonte la Lombardia (formalmente ceduta dall’Austria alla Francia e da questa passata ai Savoia) ed i ducati di Modena e Parma. Contro il parere dell’imperatore francese, Cavour organizza un plebiscito in Toscana ottenendo anche l’annessione di questa regione. Questo risarcisce in parte il Piemonte del mancato compimento di tutte le promesse di Napoleone III à Plombières, vale a dire l’annessione dell’intero Lombardo-Veneto, e pertanto Vittorio Emanuele acconsente, secondo i patti, a cedere Nizza e la Savoia.

L’Austria, dunque, non perde unicamente la Lombardia in Italia ma anche il complesso sistema di governi “fedeli” in Italia centrale che le consentivano di mantenere la propria egemonia sulla penisola. Il Regno di Sardegna, invece, riesce finalmente a impadronirsi della Lombardia (cui i Savoia aspiravano da secoli), oltre che della Toscana e dei ducati centrali. Deve però rinunciare ai feudi storici della famiglia regnante come Nizza e la Savoia, mentre le enormi spese di guerra creano un deficit nelle casse dello Stato che caratterizzerà i primi anni di vita del Regno d’Italia.

La seconda guerra d’indipendenza, determinando la fine del controllo austriaco su gran parte della penisola, è un passaggio chiave del Risorgimento e, insieme all’impresa dei Mille dell’anno successivo, garantisce a casa Savoia gran parte dei territori che consentiranno la trasformazione in Regno d’Italia nel 1861. 

1 Onde rendere ancora più persuasive le proprie pressioni su Napoleone III Cavour invia a Parigi, sempre nel 1855, la contessa Virginia Oldoini di Castiglione, sua cugina, nota per essere una delle donne più belle e spregiudicate del suo tempo. La dama ha il preciso compito di sedurre l’imperatore francese (notoriamente sensibile al fascino femminile) e portarlo su posizioni favorevoli al governo di Torino. Consapevole del ruolo da lei giocato in quel preciso frangente politico, la contessa di Castiglione conserverà per tutta la vita, in una teca, la vestaglia di seta verde usata durante la prima notte passata con l’imperatore francese. Pur avendo espresso il desiderio di essere sepolta in tale patriottico cimelio, dopo il suo decesso non viene rispettata la sua volontà a causa delle pressioni dei familiari.

2 Si tratta della quindicenne primogenita di Vittorio Emanuele II, fino ad allora consacrata interamente alle pratiche religiose.

3 Soprannominato Plon Plon, di vent’anni più anziano della promessa sposa e noto per la sua vita dissipata ed il suo anticlericalismo.