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"Ulisse" di Umberto Saba

La lirica, tratta da Mediterranee e pubblicata nel 1948 come conclusione del Canzoniere, quasi a rappresentare un testamento spirituale con cui Saba rievoca la sua giovinezza e la sua maturità, paragonando la sua esistenza a un viaggio. Ma il pericolo e il rischio fanno parte della vita, e anche da vecchio, il poeta non sa rinunciare all'antico spirito di avventura, consapevole che "il porto accende ad altri i suoi lumi" mentre il suo disperato attaccamento alla vita ancora lo spinge al "largo".
Di notevole importanza è il titolo della poesia: l'eroe omerico, infatti, ripreso più volte da diversi autori di differenti letterature, diventa il simbolo della brama di conoscenza dell'uomo e della sua voglia di infrangerne i limiti, (vedi Dante o Joyce). 
I campi semantici del tempo, nella lirica, sono di fondamentale importanza: "nella mia giovinezza" infatti si contrappone a "oggi" creando una divisione temporale netta e marcata. 
Iniziata il suo viaggio-vita iniziano a emergere "isolotti" metafore delle prime difficoltà e dei primi ostacoli. ma subito dopo l'immagine di "vele sottovento" richiamano un idea di libertà

che ne sfugge "l'insidia". Il porto come spesso nella tradizione letteraria italiana (vedi Foscolo) diventa simbolo della pace dopo la tempesta, di una quiete finalmente raggiunta, ma c'è anche la consapevolezza che il porto-vita "accende ad altri i suoi lumi": il tempo di Saba è ormai finito, è giusto che si faccia spazio a nuove vite e nuove persone. Ma non riesce a frenare il suo "non domato spirito" che quindi va al largo e continua il suo viaggio, questa volta verso l'ignoto, perchè dopo aver raggiunto l'obiettivo della sua vita, non gli resta che viaggiare alla ricerca di qualcosa. Ovviamente in questi ultimi versi il richiamo allo "spirto guerrier" di Foscolo è evidente, come del resto in tutta la lirica. La struttura è quella degli endecasillabi.

 

Ulisse

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d'onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede, 
coperti d'alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l'alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.