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"Città vecchia" di Saba: analisi e commento

Parafrasi Analisi

Contenuta nella sezione Trieste e una donna (1910-1912) del Canzoniere, Città vecchia è ovviamente ambientata nel capoluogo giuliano, di cui descrive, quando in apertura il poeta prende sommessamente la parola, il degradato quartiere portuale (appunto il “gran porto di mare” del v. 8).
I toni sono volutamente dimessi e colloquiali, come a voler narrare un’esperienza comune e non affatto esclusiva: il rientro a casa implica il contatto con la realtà concreta (“affollata è la strada”), introdotto dalla posizione rilevata del “Giallo” del v. 3, ed è, per chi scrive, un’importante occasione di indagine su se stesso. La seconda strofe presenta infatti l’eterogeneo mondo della “città vecchia”: dall’abitazione privata alla bettola di marinai (l’“osteria”) fino al bordello (il “lupanare”, individuato con un cultismo quasi stridente), è chiaro che l’occhio del poeta si sofferma, nella sua piana descrizione, su una realtà mediocre e - a tratti - infima. Anche il quadro umano tende ad aprirsi verso i ranghi più bassi della scala sociale, come la terza strofe, costruita quasi come un elenco, spiega: uomini di mare, prostitute, figure popolaresche (il “vecchio | che bestemmia, la femmina che bega”) e soldati (il “dragone” alla “bottega | del friggitore”) sono, tuttavia, con un salto di valore netto ed evidente, “creature | della vita e del dolore”, figlie di un Dio che è comune a loro e al poeta medesimo.

Già alla fine della seconda strofe, Saba aveva annunciato di ritrovare “nell’umiltà” dei luoghi della “città vecchia” un che di “infinito”; ora, nei tre versi conclusivi egli può dar conto esplicitamente della sua scoperta per le vie del quartiere popolare: il contatto con la vita nelle sue manifestazioni più semplici ed immediate (o anche “turpi”) è preziosa occasione per una paradossale purificazione (“sento in compagnia | il mio pensiero farsi | più puro”) del proprio intimo essere, della propria identità di uomo.

 

Il gioco, finemente organizzato da Saba, tra realtà esterna e riflessione privata è allora funzionale a mettere al centro di Città vecchia il tema dell’“umiltà” (che non a caso ritorna, variata, al v. 10 e al v. 20), che l’autore trasfigura poeticamente, nel tentativo di unire aulico e prosastico, ricomponendo il disordine del mondo alla luce di una verità (esistenziale e poetica) superiore e nascosta. Come spesso nel Canzoniere la sensazione di esclusione dalla vita percepita dal poeta diventa la spinta più urgente e pressante per solidarizzare con gli altri, per rinvenire in loro una comune traccia di umanità. La struttura metrica obbedisce a questo proposito: il rispetto delle misure tradizionali e la tecnica tipica dell’autore di unire versi lunghi e brevi (Città vecchia si compone di endecasillabi e misure più brevi, dal ternario al settenario, con schema rimico libero) danno il senso di quello che è stato definito il “conservatorismo metrico” di Saba che, nel quadro della poesia della prima metà del Novecento, colpisce semmai per la sua innovazione tematica, in una sorta di canto dimesso della quotidianità che si apre, in certe occasioni, ai valori più profondi dell’uomo. Come dirà Saba stesso in Storia e cronistoria del "Canzoniere", Città vecchia è “una delle poesie più intense e rivelatrici” da lui composte.