Le "Tragedie" di Alfieri: introduzione alle opere e alla poetica

Introduzione alle tragedie di Vittorio Alfieri, a cura di Matteo Pascoletti.

Alfieri non ha lasciato scritti teorici sul suo teatro, ma prendendo in considerazione alcune pagine delle sue opere da cui emerge la sua visione artistica e analizzando gli elementi di continuità e discontinuità dei suoi testi teatrali, si può comprendere la poetica di Alfieri tragediografo.

L'autore rispetta il canone aristotelico di unità di spazio e tempo, dando alle sue tragedia compattezza. La tragedia è un genere a cui l'autore approda dalla necessità di dare forma alle sue passioni, per un "impulso naturale". Il verso e il ritmo (endecasillabo sciolto) sono innovativi, a differenza del lessico, che è fortemente legato al toscano illustre e alla tradizione poetica precedente (Tasso, Petrarca e Dante). Il ritmo deve veicolare le emozioni. Fitto è l'uso della punteggiatura per creare un ritmo spezzato, vario e breve. Importanti sono le pause e i silenzi, che in Alfieri diventano comunicativi dei sentimenti e delle passioni interiori. Frequente è l'uso di epiteti.

Il personaggio alfieriano deve riuscire a comunicare l'intento del poeta al pubblico, quindi appare come figura di mediazione tra platea e autore. I personaggi, inoltre, sono ridotti all'essenziale: pochi personaggi in tragedie relativamente brevi. Alfieri riesce a condensare nei suoi drammi un'approfondita lettura psicologica, rappresentando le più recondite passioni umane. La trama è un fattore scatenante di queste passioni; pertanto, frequente è l'uso del soliloquio ed è accentuata l'attenzione agli aspetti più oratori.

Queste passioni sono legate poi al conflitto tra tiranno ed eroe in quasi tutte la tragedie. Entrambi i personaggi sono uniti dal senso della loro grandezza, ma sono posti in antitesi e in lotta tra loro. In questa opposizione l'eroe è colui che ama e combatte per la libertà, mentre il tiranno deve opprimere per scacciare la più forte delle sue paure: quella della morte.