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Verga, "Rosso Malpelo": riassunto e commento

Introduzione e contesto storico

 

Rosso Malpelo, una delle più celebri novelle di Vita dei campi, è anche la prima in ordine di composizione tra quelle che Verga riunisce nella raccolta del 1880: viene infatti pubblicata per la prima volta su «Il Fanfulla» tra il 2 e il 4 agosto del 1878. La novella, uno dei capolavori di tutta la produzione verghiana, nasce nel clima della Milano di quegli anni. Stimolata dall’inchiesta La Sicilia nel 1876 di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, Rosso Malpelo tocca una questione ben presente all’opinione pubblica del tempo: il lavoro minorile, cui il Parlamento aveva provato inutilmente a porre rimedio con un’apposita legislazione nel 1879. Verga, da posizioni non certo rivoluzionarie ma ancorate ad un saldo riformismo conservatore (quello della Destra storica e della borghesia liberale che aveva guidato l'unità nazionale), coniuga la sperimentazione letteraria del metodo verista e una proposta di azione politico-sociale, in un frangente storico a cui, all’ottimismo indotto della filosofia positivista, si contrappongono i problemi irrisolti sin dal 1861.

Da questa necessità di denuncia deriva, per coerenza etica e metodologica, l’obbligo di restituire sulla pagina nel modo più autentico ed originale possibile quel mondo siciliano popolare del tutto ignoto al pubblico letterario del tempo.

 

Riassunto e commento

 

Il famoso incipit del racconto, condotto alla maniera verista secondo una voce collettiva non meglio identificata ed identificabile, serve proprio a chiarire sin da subito la prospettiva attraverso cui viene narrata la vicenda di Malpelo:

Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre col sentirgli dir sempre a quel modo aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo 1.

Verga insomma, per usare la giusta espressione del critico Guido Baldi, “regredisce” volutamente al livello della mentalità popolare per riprodurne la visione del mondo (che ritiene Malpelo “malizioso e cattivo”, e quindi rosso di capelli) e le convenzioni linguistiche, come la preferenza per la sintassi paratattica che abolisce i nessi subordinanti, la ricorrenza del “che” con molteplici funzioni logiche, la mimesi del parlato (e cioè l'imitazione della sintassi e dell'andamento logico del registro orale) e l’uso insistito di proverbi e modi di dire tipici del siciliano 2.

Nel mondo della cava, dove Malpelo lavora, vige del resto una dura legge di sopraffazione; la morte del padre, Mastro Misciu, per un incidente sul lavoro, non migliora affatto le condizioni di vita del ragazzino. Anzi, l’episodio instilla in lui una raggelante consapevolezza del proprio ruolo, che la mentalità popolare scambia per animalità, e un desiderio di autodistruzione con cui il ragazziono maschera il dolore per la perdita del genitore:

Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si  tengono coll’anello di ferro al naso. Sapendo che era malpelo, ei s’acconciava ad esserlo peggio che fosse possibile, e se accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una gamba, o che crollava un pezzo di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo loro 3.

Se da un lato la collettività nega a Malpelo quasi il diritto alla sua stessa umanità, dall’altro il protagonista stesso dimostra  di aver ben introiettato la legge economica di sopraffazione del più debole. Il ragazzo - non si sa se per “bieco orgoglio” o “disperata rassegnazione” 4 - accetta tutte le violenze e i soprusi del mondo circostante, e si fa egli stesso maestro ed oppressore di Ranocchio, un ragazzetto storpio ch’egli ha iniziato a “proteggere” a suo modo, “per un raffinamento di malignità” 5. Quando Ranocchio si lamenta per le sue dure condizioni di vista, Malpelo reagisce violentemente:

Ora lo batteva senza un motivo e senza misericordia, e se Ranocchio non si difendeva, lo picchiava più forte, con maggiore accanimento, e gli diceva: “To’! Bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello! [...] L’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi” 6.

In questo sistema distorto e perverso, Malpelo è di fatto un escluso sia nel mondo degli affetti familiari 7 sia in quello dei rapporti di forza lavorativi 8. Il suo destino non può che essere quello di uno sconfitto, né il pessimismo verghiano può credere a prospettive di felicità all’interno della logica spietatamente economica che descrive.

 

La svolta della novella arriva quando viene rinvenuto il cadavere del padre, sepolto tempo prima da una frana nella cava. Nel momento in cui il ragazzo mostra dei segni d’affetto per l’unica persona che gli ha voluto bene, conservandone gelosamente le scarpe e gli arnesi di lavoro, la comunità popolare giudica negativamente il suo atteggiamento, imputandolo alle sue “idee strane”:

 

Ei possedeva delle idee strane, Malpelo! Siccome aveva ereditato anche il piccone e la zappa del padre, se ne serviva, quantunque fossero troppo pesanti per l'età sua; e quando gli aveano chiesto se voleva venderli, che glieli avrebbero pagati come nuovi, egli aveva risposto di no 9.

 

Per Malpelo, la prospettiva della morte diventa cessazione delle proprie sofferenze,così com’è stato per  l’asino grigio della cava, morto dopo una vita di sofferenze, che “se ne ride dei colpi e delle guidalesche” 10 e per Ranocchio, condannato dalla tubercolosi 11. Abbandonato anche dalla madre e dalla sorella, al protagonista non resta che adeguarsi in tutto e per tutto al proprio destino di “diverso” e di reietto, accettando una rischiosa missione esplorativa nella cava in cui è morto il padre. Ciò significa per Malpelo porre fine alle proprie sofferenze, e dare un senso alla tragedia silenziosa che ha vissuto:

Quando lo mandarono per quella esplorazione si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo; ma non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, e il fiasco del vino, e se ne andò; né più si seppe nulla di lui.
Così si persero persino le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi 12.

1 G. Verga, Rosso Malpelo, in Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 2004, vol I, p. 163.

2 Il saggio cui si fa riferimento è G. Baldi, L’artificio della regressione. Tecnica narrativa e ideologia nel Verga verista, Napoli, Liguori, 1980.

3 Ivi, p. 167. Da notare che il pregiudizio popolare, filtrato dalla prospettiva del narratore, non si limita ad avvicinare Malpelo alle bestie, ma vi aggiunge anche il malaugurio dell’incontrarlo. Gli altri operai possono quindi utilizzare il ragazzo come un capro espiatorio per tutto ciò che accade alla cava.

4 Ivi, p. 169.

5 Ivi, p. 167.

6 Ivi, pp. 167-168.

7 Ivi, p. 169: “Il certo era che nemmeno sua madre aveva avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai”.

8 Ivi, p. 170: “Così ci sono degli asini che lavorano nelle cave per anni ed anni senza uscirne mai più [...]. Sono asini vecchi, è vero, comprati dodici o tredici lire, quando stanno per portarli alla Plaja, a strangolarli; ma pel lavoro che hanno da fare laggiù sono ancora buoni; e Malpelo, certo, non valeva di più”.

9 Ivi, p. 172.

10 Ivi, p. 173. Le “guidalesche” sono le piaghe sul corpo degli animali, dovute soprattutto all’uso di briglie e finimenti.

11 Ivi, p. 176: “«È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi!». [...] Il povero Ranocchio era più di là che di qua, e sua madre piangeva e si disperava come se il suo figliolo fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana. Cotesto non arrivava a comprendere Malpelo, e domandò a Ranocchio perché sua madre strillasse a quel modo, mentre che da due mesi ei non guadagnava nemmeno quel che si mangiava”.

12 Ivi, p. 178.