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Foscolo, "In morte del fratello Giovanni": commento e analisi

Parafrasi Analisi

Introduzione

 

Il sonetto In morte del fratello Giovanni viene composto da Ugo Foscolo nella primavera del 1803 e pubblicato lo stesso anno nel volume dei Sonetti. Il testo è dedicato alla memoria del fratello minore,Giovanni Dionigi, ufficiale dell'esercito cisalpino morto, molto probabilmente suicida, nel 1801. Il testo, uno dei più noti del poeta, è ricco di rimand letterari classici e sviluppa temi tipici della poesia di Foscolo (che ritroveremo in altri sonetti importanti come Alla sera o A Zacinto o nell’opera maggiore de I sepolcri): il destino di esule, la morte come pacificazione dai tormenti della vita, il valore simbolico del “sepolcro” per gli affetti familiari.

 

Analisi e commento

 

La caratteristica che spicca maggiormente di In morte del fratello Giovanni è senza dubbio l’ordine e la misura calibratissima dei versi, che sembrano quasi in contraddizione con il contenuto dolorosissimo del testo, che descrive la futura visita del poeta alla tomba del fratello, che si toglie la vita nel 1801, schiacciato dai debiti al tavolo da gioco o per un’accusa di furto.

La prima quartina presenta Foscolo che, riferendosi alla sua condizione di fuggitivo,si augura di poter visitare la tomba del caro fratello, morto nel pieno della giovinezza. Già dal primo verso è esplicitato il modello letterario che serve da spunto alla composizione. Si tratta del carme 101 del poeta latino Catullo, anch’esso dedicato al ricordo di un fratello defunto. L’incipit del testo latino recita:

Mùltas pèr gentès et mùlta per aèquora vèctus
àdvenio hàs miseràs, fràter, ad ìnferiàs 1

La prima differenza rispetto al precedente letterario è che qui il ricongiungimento è solo ipotetico: il poeta si riconosce in fuga per il mondo, e non può assicurare che “un dì” (v. 1) arriverà finalmente a rendere omaggio al fratello “su la tua pietra” (v. 3). Questo elemento doloroso è sottolineato dall’uso dei pronomi in questi quattro versi: si noti l’insistenza con cui compaiono sulla pagina i pronomi e gli aggettivi possessivi (“io”, v. 1; “me”, v. 2; “tua”, v. 3; “mio” v. 3; “tuoi”, v. 4), come nell’inutile tentativo di instaurare un dialogo con chi non può più rispondere. Come nel resto del sonetto, la forma è però molto ben bilanciata e non fa trasparire la sofferenza del poeta: gli endecasillabi si dividono in maniera equilibarata tra quelli a maiore (v. 1 e v. 4) e quelli a minore (v. 2 e v. 3), contribuendo al ritmo pacato della poesia. Le rime, scandite secondo il classico schema ABAB, coinvolgono tutte parole grammaticalmente affini: si tratta infatti di participi (“seduto”, v. 2; “caduto”, v. 4) o di gerundi (“fuggendo”, v. 1; “gemendo”, v. 4). Ad elevare lo stile contribuisce un’altra citazione classica, molto nota e facilmente riconoscibile dal pubblico dell’epoca: il fratello, al v. 4, è paragonato ad un fiore troppo presto reciso, con un’immagine che rimanda al nono libro dell’Eneide, dove la morte di Eurialo è paragonata ad un fiore reciso dall’aratro 2.

Nella seconda quartina Foscolo inserisce l'immagine della madre che, trascinando la sua stanca vecchiaia ("or sol suo dì tardo traendo", v. 5, dove è evidente la citazione petrarchesca di Movesi il vecchierel canuto e bianco), parla di lui con il "cenere muto" (v. 6) del fratello, mentre egli non può che salutare la sua famiglia da una terra lontana. Foscolo evidenzia così due temi a lui assai cari: la condizione di esule, che gli impedisce di ricongiungersi con i suoi cari in una situazione così infelice, e la funzione basilare del sepolcro di essere una testimonianza della “eredità d’affetti” di cui si parla al v. 41 de I sepolcri. La tomba di Giovanni è infatti per il poeta l’unico segno di una possibile riunione con la famiglia dispersa; si spiega così il tono patetico della quartina, in cui i personaggi coinvolti (“la madre”, v. 5; “tuo cenere muto”, v. 6; “io”, v. 7) si cercano senza riuscire a trovarsi, in quanto Foscolo può salutare i suoi cari solo “da lunge” (v. 8). E la separazione è ancor più dolorosa se si considera che essa coinvolge non solo gli affetti familiari del poeta ma anche il suo fortissimo amor di patria, rappresentato dall’espressione “i miei tetti” del v. 8: l’esclusione è dunque doppia, in quanto Foscolo non potrà mai più toccare le “sacre sponde” della natìa isola di Zacinto.

Questo tema viene sviluppato ed approfondito nelle due terzine: con un’atteggiamento già visto in Alla sera, Foscolo confessa di sentire vicini a sé gli stessi numi ostili che tormentarono l'animo del fratello e prega di trovare quiete nella morte. La suggestione della morte (e forse del suicidio) è presente pure nella seconda terzina, dove anzi diventa l’unico mezzo per tornare dalla “madre mesta” (v. 14), che otterrà dalle “straniere genti” 3 otterrà solo le ossa. Le due terzine riassumono così gli argomenti fondamentali del testo (l’esilio, il destino infelice, la morte come cura, la lontananza dagli affetti): il termine centrale è “quïete” (v. 11), su cui si concentrano le riflessioni del poeta sulla morte e sulla sua esistenza.

La scansione del discorso all’interno del sonetto è assai ordinata: la fine ogni strofa coincide con una pausa forte del periodo e anche i singoli versi (con le eccezioni degli enjambements dei v. 3-4 e v. 9-10) si modellano sulla misura della singola frase. La sintassi, priva di significative inversioni, è poi prevalentemente paratattica, seguendo lo sviluppo del ragionamento del poeta tra la presentazione della scena del sepolcro (prima quartina), il rapporto con la madre e la patria (seconda quartina), la riflessione sul destino e la morte (prima terzina), la richiesta per il futuro e la propria fine (seconda terzina). La forma del sonetto è insomma statica e bloccata, come se Foscolo volesse dare una patina di quiete e di serenità al proprio dolore. Anche la frequenza di citazioni classiche (Catullo, Virgilio) e moderne (Petrarca su tutti) può essere intesa come un “filtro” di cui Foscolo si serve per oggettivare e placare il proprio dolore, incasellandolo in una rete di rimandi e di memorie letterarie. Importante anche la duplicità di piani che attraversa il testo: da un lato c’è il ricordo del fratello morto (la cui circostanza del suicidio dà l’avvio al testo); dall’altro, molto più preponderante, c’è l’io del poeta, che a poco a poco prende corpo e spazio. La riflessione malinconica sulla morte di Giovanni diventa la prefigurazione senza speranza del proprio destino di esule. Il tema del suicidio, che resta sotterraneo in questo sonetto, è però diverso rispetto allo Jacopo Ortis: nel romanzo giovanile esso era infatti la manifestazione estrema dell’animo romantico del protagonista (e dell’autore); qui invece è un ideale classico di pace e serenità, che finalmente donerà pace a chi è in perenne lotta col mondo.

1 Traduzione: “Condotto per molte genti e molti mari | sono giunto a queste (tue) tristi spoglie, o fratello,”.

2 Virgilio, Eneide, IX, vv. 433-436: “Volvitur Euryalus leto pulchrosque per artus | it cruor inque umeros cervix conlapsa recumbit: | purpureus veluti cum flos succisus aratro | languescit moriens [...]”. Traduzione: “Eurialo si rotola agonizzante, il sangue fluisce | per il bel corpo, e reclina il capo sulla spalla: | come un fiore color porpora quando, tranciato dall’aratro | morendo tra i languori”.

3 Si noti che nel penultimo verso di In morte del fratello Giovanni la posizione del vocativo “Straniere genti” è identica a quella di “o materna mia terra” al v. 13 di A Zacinto, in un punto in cui il poeta allude - come ulteriore elemento di somiglianza - alla propria “illacrimata sepoltura”.