"Con la cultura si mangia?" - Il parere di Andrea Cortellessa

La frase-titolo allude a quella ormai celebre a più riprese smentita dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, quando nel pieno della crisi finanziaria – impegnato nei famigerati quanto impotenti “tagli lineari”, che abbattevano in primo luogo le spese “voluttuarie” destinate agli enti e alle attività artistiche e culturali – avrebbe sbottato: "con la cultura non si mangia". A fronte di una simile impostazione del problema – da tempo circolante prima che trovasse una così icastica e brutale formulazione – non sono mancate le interpretazioni (filosoficamente anche raffinate, da Martha Nussbaum a Yves Citton) degli “utili” che, viceversa, possono essere rappresentati – in un paese con le tradizioni dell’Italia, poi – dai beni e dalle attività culturali. Ma una simile difesa, pur condivisibile nel merito, pecca di adottare il frame concettuale di chi aggredisce; quello che dev’essere salvaguardato, invece, è quanto rende umano l’essere umano (non per caso, le discipline di cui stiamo parlando, vengono definite umanistiche: humanities o humanités, meglio, in altre lingue): qualcosa che non si misura quantitativamente (e dunque in termini di bilancio, attivo o passivo) bensì qualitativamente. E il termine stesso "qualità" è oggi abusato ed equivocato sin quasi ad essere reso impronunciabile: se si va all’etimologia del termine, qualitas designa la proprietà, la caratteristica che individua qualcuno o qualcosa. Che quel qualcuno o qualcosa rende unico, speciale. E che ci consente di confrontarci con esso, per così dire, faccia a faccia: da uno a uno.
 
In un recente intervista il grande critico letterario statunitense Harold Bloom al perché mai, al giorno d’oggi, una persona dovrebbe leggere un libro anziché fare qualsiasi altra cosa. ha risposto, più o meno: "Un italiano che non abbia letto la Divina Commedia è un italiano più povero degli altri". Ecco, la particolare, non misurabile ricchezza – ricchezza d’umanità, evidentemente – rappresentata dalla cultura è del genere che proprio Dante, nel XV canto del Purgatorio, attribuisce all’amore. Un "bene" che, ancorché condiviso, non si riduce; anzi: "Com’esser puote ch’un ben, distributo | in più posseditor, faccia più ricchi | di sé che se da pochi è posseduto?" (Pg, XV, 61-63).
 
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa - Tuttolibri.