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Lucrezio, “De rerum natura”: naufragio con spettatore

Come nel proemio del primo libro del De rerum natura Lucrezio presentava la grandiosa raffigurazione dell’Inno a Venere per simboleggiare l’obiettivo della  propria opera, così anche il secondo libro si apre con un proemio, incentrato su un’immagine - quella di una nave in tempesta osservata mentre si è al sicuro a terra - che illustra i vantaggi della filosofia epicurea. Lucrezio, nel suo stile alto e sublime, traccia così una linea netta di distinzione tra chi in vita è mosso da illusioni inutili e dannose (come quelle elencate ai vv. 10-13 o quelle ai vv. 24-28) e chi possiede la dottrina dei sapienti, ed abita dunque i “templa serena” (v. 8). Alla critica delle illusioni succede quindi il soddisfacimento dei bisogni naturali dell’uomo.

L’autore sottolinea con forza allora la missione liberatrice che hanno la filosofia e la conoscenza: il sapere scioglie l’uomo dal giogo della superstizione religiosa e dalle tenebre dell’ignoranza, che generano paure irrazionali come descritto ai vv. 55-58. Questo messaggio si collega ad un’esposizione molto rigorosa (e tanto più ardua quanto più Lucrezio sceglie di calarla la struttura di un poema didascalico in versi) dei principi fondamentali dell’epicureismo: il tema della voluptas (il “sommo bene” epicureo), l’aponìa e l’atarassìa, il piacere cinetico e quello catastematico.

L’obiettivo - è bene ricordarlo - è sempre quello della formazione e della conversione del proprio lettore; in tal senso, si può spiegare l’apparente indifferenza che il poeta manifesta per l’uomo comune e per le sue tragedie (un rimprovero mossogli sia da Francesco Bacone sia da Voltaire) alla luce della necessità di esemplificare con la massima chiarezza la distanza tra la felicità epicurea e la dolorosa vita quotidiana di tutti i giorni.

La lezione materialistica ed etica di Lucrezio è comunque quella che resta; se ne ricorderanno, tra gli altri, il Foscolo de I Sepolcri, con la sua appassionata riflessione sulle “sciagure umane” (v. 295) e il Leopardi della Ginestra, con la sua polemica contro le superstizioni e le “magnifiche sorti e progressive” (v. 51).

Metro: esametro dattilico.

 

  1. Suàve 1, marì magnò 2 turbàntibus àequora vèntis 3
  2. è terrà magnum àlteriùs spectàre labòrem;
  3. nòn quia vèxarì 4 quemquàmst iucùnda volùptas 5,
  4. sèd quibùs ìpse malìs careàs quia cèrnere suàve est.
  5. Suàve etiàm bellì certàmina màgna tuèri
  6. pèr campòs instrùcta tuà sine pàrte perìcli;
  7. Sèd nihil dùlcius èst 6, bene quàm munìta tenère
  8. èdita dòctrinà sapièntum tèmpla serèna 7,
  9. dèspicere ùnde queàs 8 aliòs passìmque vidère
  10. èrrare àtque viàm palàntis quàerere vìtae,
  11. cèrtare ìngeniò, contèndere nòbilitàte 9,
  12. nòctes àtque diès nitì 10 praestànte labòre
  13. àd summàs emèrgere òpes rerùmque potìri.
  14. Ò miseràs hominùm mentès, o pèctora càeca!
  15. Quàlibus ìn tenebrìs vitàe quantìsque perìclis
  16. dègitur hòc aevì quodcùmquest! Nònne vidère
  17. nìhil aliùd sibì naturàm latràre, nisi ùt qui
  18. còrporè seiùnctus dolòr 11 absit, mènte fruàtur
  19. iùcundò sensù curà semòta metùque 12?
  20. Èrgo còrpoream àd natùram pàuca vidèmus
  21. èsse opùs omninò 13: quae dèmant cùmque dolòrem,
  22. dèliciàs quoque utì multàs substèrnere pòssint;
  23. gràtiùs interdùm neque nàtura ìpsa requìrit,
  24. sì non 14 àurea sùnt iuvenùm simulàcra per àedes
  25. làmpadas ìgniferàs manibùs retinèntia dèxtris,
  26. lùmina nòcturnìs epulìs ut sùppeditèntur,
  27. nèc domùs argentò fulgèt auròque renìdet
  28. nèc citharàe reboànt laqueàta auràtaque tèmpla,
  29. cùm tamen ìnter sè prostràti in gràmine mòlli
  30. pròpter aquàe rivùm sub ràmis àrboris àltae
  31. nòn magnìs opibùs iucùnde còrpora cùrant,
  32. pràesertìm cum tèmpestàs adrìdet et ànni
  33. tèmpora cònspergùnt viridàntis flòribus hèrbas 15.
  34. Nèc calidàe citiùs decèdunt còrpore fèbres,
  35. tèxtilibùs si in pìcturìs ostròque rubènti 16
  36. iàcterìs, quam si ìn plebèia vèste cubàndum est.
  37. Quàproptèr quoniàm nihil nòstro in còrpore gàzae
  38. pròficiùnt neque nòbilitàs nec glòria règni 17,
  39. quòd super èst, animò quoque nìl prodèsse putàndum;
  40. sì non 18 fòrte tuàs legiònes pèr loca càmpi
  41. fèrvere cùm videàs bellì simulàcra cièntis 19,
  42. sùbsidiìs magnìs et ecùm 20 vi cònstabilìtas,
  43. òrnatàs[que] armìs statuàs paritèrque animàtas,
  44. hìs tibi tùm rebùs timefàctae rèligiònes
  45. èffugiùnt animò pavidàe mortìsque timòres
  46. tùm vacuùm pectùs lincùnt curàque solùtum.
  47. Quòd 21 si rìdicula hàec ludìbriaque èsse vidèmus,
  48. rè veràque metùs hominùm curàeque sequàces
  49. nèc metuùnt sonitùs armorùm nec fèra tèla
  50. àudactèrque intèr regès rerùmque potèntis
  51. vèrsantùr neque fùlgorèm reverèntur ab àuro
  52. nèc clarùm vestìs splendòrem pùrpureài 22,
  53. quìd dubitàs quin òmnis sit hàec ratiònis potèstas?
  54. Òmnis cum in tenebris praesertim vìta labòret.
  55. Nàm vel utì puerì trepidànt atque òmnia càecis
  56. ìn tenebrìs metuùnt, sic nòs in lùce timèmus
  57. ìnterdùm, nilò quae sùnt metuènda magìs quam
  58. quàe puerì in tenebrìs pavitànt fingùntque futùra.
  59. Hùnc igitùr terrorèm animì tenebràsque necèssest
  60. nòn radiì solìs neque lùcida tèla dìei
  61. dìscutiànt, sed nàturàe speciès ratiòque 23.
  1. È dolce, mentre la superficie del vasto mare è agitata
  2. dai venti, contemplare da terra la gran fatica di altri;
  3. non perché il soffrire di qualcuno sia un piacere lieto,
  4. ma perché è dolce capire da che sventure sei esente.
  5. È dolce anche contemplare grandi contese di guerra
  6. allestite per i campi senza la tua parte di rischio.
  7. Ma nulla è più dolce che occupare i sereni regni
  8. del cielo, ben difesi dalla dottrina dei filosofi,
  9. da cui puoi guardare giù e vedere gli altri errare
  10. dappertutto, e cercar invano, allo sbando, il senso
  11. della vita, e fara a gara in talento, e rivaleggiare in
  12. titoli di nobiltà, e aspirare giorno e notte con gran
  13. fatica a conquistare potere e ricchezze eccezionali.
  14. O sciagurate menti degli uomini, o intelletti ciechi!
  15. In che tenebre dell’esistenza e in che pericoli
  16. trascorre questa vita, quale che sia! Come non
  17. vedere che la natura reclama null’altro se non che
  18. il dolore, staccato dal corpo, sia del tutto assente, e che
  19. nella mente goda in felicità, senza affanno e paura?
  20. Quindi notiamo che poche cose sono fondamentali
  21. per la natura corporea: quelle che tolgono il dolore
  22. e che possono apportare anche molto piacere; né
  23. la natura stessa domanda talora cosa più gradita -
  24. se nelle case non ci sono statue d’oro di giovani che
  25. stringono nelle mani destre fiaccole splendenti che
  26. diano luce ai banchetti notturni, e se la villa non
  27. splende e luccica d’oro e d’argento, né che i templi
  28. dorati e decorati a cassettoni risuonino della cetra -
  29. quando, sdraiati tutti insieme sull’erba molle presso
  30. un corso d’acqua, sotto i rami di un alto albero, danno
  31. piacevolmente ristoro ai loro corpi con mezzi semplici,
  32. specialmente quando il tempo sorride e la stagione
  33. sparpagliano le erbi splendenti di fiori.
  34. Né le febbri abbandonano prima il corpo, se ti agiti
  35. tra drappi ricamanti e rosseggianti di porpora o se
  36. invece ti tocca giacere sotto una coperta ordinaria.
  37. Perciò, poiché le ricchezze nulla giovano al nostro
  38. corpo e neppure la nobiltà e la fama del potere,
  39. bisogna inoltre ritenere che nulla giovino all’animo;
  40. a meno che per caso, quando vedi le tue legioni
  41. sul campo sollevando stendardi di guerra, supportate
  42. da potenti rinforzi e da reparti di cavalleria, e le
  43. disponi equipaggiate d’armi e parimenti animose,
  44. le religioni, allora, terrorizzate da queste cose, ti
  45. fuggano dall’animo paurose, e le ansie della morte
  46. lascino allora il tuo cuore libero e sciolto dalla paura.
  47. Ma, se constatiamo che queste cose son ridicole e
  48. risibili, e se in realtà la paura degli uomini e le ansie
  49. incalzanti non temono né il rumore delle armi, né le
  50. frecce spietate, e sfacciatamente si aggirano tra re e
  51. potenti del pianeta, e non onorano il fulgore dell’oro
  52. né il limpido splendore d’una veste di porpora, come
  53. puoi dubitare che tale potere sia tutto della ragione?
  54. Soprattutto quando tutta la vita soffre nelle tenebre.
  55. Infatti, come i bimbi tremano e temono tutto nel buio
  56. più totale, così noi a volte nella luce abbiamo paura
  57. di ciò che non è da temere nulla più che di ciò che
  58. i bimbi al buio temono e si immaginano avvenire.
  59. È quindi necessario che tale paura e queste tenebre
  60. dell’animo le disperdano non i raggi del giorno,
  61. ma la forma e la legge profonda della natura.

 

1 Suave: il termine - centrale per l’operazione di diffusione della dottrina epicurea in ambito romano cui si accinge il poeta Lucrezio - è ripetuto anche al v. 5 seconda una tecnica definita, con un’espressione tedesca, Ring Komposition (“composizione ad anello”), tipica dei poemi epici come l‘Iliade o l’Odissea o nei testi sacri come la Bibbia. Sottointeso il verbo est.

2 mari magno: si tratta di un ablativo di luogo privo di preposizione, che crea un effetto di allitterazione del suono  “m” in apertura di verso.

3 aequora ventis: l’aggettivo aequus indica una distesa piatta, che per traslato identifica quindi il mare. L’immagine di questa superficie agitata dai ventis inserisce quindi, sin dal primo verso del secondo libro, il topos della navigazione umana (si pensi ad esempio alle Argonautiche di Apollonio Rodio) come metafora della nostra vita, in stretta correlazione con il messaggio profondo del De rerum natura.

4 vexari: si tratta di un verbo sostantivato da vexo, vexas, vexavi, vexatum, vexare.

5 iucunda voluptas: si tratta del termine-chiave dell’argomentazione lucreziano-epicurea; il tema del “sommo bene” della felicità, conquistabile con una conoscenza più scientifica e razionale del mondo naturale e fondamentale per la filosofia di Epicuro, implica il raggiungimento dell’atarassìa (cioè la liberazione dalle passioni e dai turbamenti dell’animo, richiamata anche ai vv. 18-19) e l’aponìa (ovvero la fine delle sofferenze fisiche, esplicitata al v. 18). Da ciò deriva il piacere catastematico (quello di una condizione di riposo) e il piacere cinetico (quello del movimento attivo della felicità). Nel verso successivo è chiarito il senso dell’immagine di apertura, attraverso una sorta di “messaggio promozionale” a favore dell’epicureismo: attraverso l’insegnamento del maestro è possibile raggiungere la condizione di saggezza, da cui contemplare le sciagure che colpiscono l’uomo comune.

6 Sed nihil dulcius est: si tratta di un passaggio analogico, frequentissimo nell’argomentazione del De rerum natura, tra l’immagine iniziale del naufragio e ciò che è davvero dulcius per Lucrezio, ovvero possedere la legge che spiega le cose del mondo.

7 templa serena: formula tipica della poesia di Ennio (che usa l’espressione “templa caeli”) per identificare i mondi celesti separati della realtà dei mortali (templa deriverebbe dal verbo temno, temnis, temnere, “spezzare, tagliare”).

8 queas: dal verbo queo, quis, quii, quitum, quire, “essere capace, essere in grado di” parte un elenco dettagliato di tutte le attività in cui l’uomo mortale spreca la propria vita (vv. 10-13: “errare [...] quaerere [...] certare [...] contendere [...] niti [...] emergere [...] rerumque potiri”)per la mancanza di un solido insegnamento filosofico.

9 contendere nobilitate: si tratta di un concetto fondamentale per la mentalità romana, ovvero quello di considerare la nobilitas come strettamente correlata alla virtus individuale. Da qui si capisce l’ingrato compito di Lucrezio di convertire all’epicureismo la classe dirigente romana.

10 niti: dal verbo nitor, niteris, nisus sum, niti, “appoggiarsi, fare affidamento su, aspirare a”.

11 corpore seiunctus dolore absit: abbiamo qui la tematizzazione del concetto di aponìa epicurea, per cui, in una prospettiva materialistica, la serenità deriva dall’assenza di dolore sensibile.

12 mente fruaturiucundo sensu cura semota metuque: qui invece, con perfetta consequenzialità logica, Lucrezio inserisce il tema dell’atarassìa secondo Epicuro, cioè la liberazione dalle passioni come pre-condizione per la ricerca della felicità.

13 Inizia qui, dal vv. 20-21, la tripartizione dei bisogni dell’uomo, già definita dal maestro Epicuro, tra ciò che è naturale e necessario, ciò che è naturale ma non necessario, ciò che non è né naturale né necessario. Lucrezio insomma ribadisce così, con ferma consapevolezza, la distinzione che intercorre tra il saggio epicureo e l’uomo comune, condannato a soffrire e tormentarsi.

14 Si apre qui una lunga parentesi incidentale che, condannando come inutli le ricchezze e i lussi, sviluppa il tema classico della “reggia dei Feaci” contenuto nel libro VII dell’Odissea e celebrato come colmo di ogni possibile raffinatezza. Si tratta comunque di un argomento che attraversa trasversalmente molti autori latini, quali Orazio, Virgilio e Properzio.

15 Per lenire le sofferenze dell’uomo non occorrono palazzi splendenti d’oro ma un piacevole scorcio naturale (il ruscello d’acqua, gli amici,i rami frondosi di un albero, il clima temperato), che coincide con il topos del locus amoenus. Questo scenario, ripreso dalla poesia bucolica ellenistica, diventerà assai comune nel periodo augusteo (31 a.C. - 14 d.C.). Qui “viridantis” sta per “viridantes”, ed è quindi coordinati ad “herbas”.

16 ostroque rubenti: per comprendere il senso dell’immagine, va ricordato che nel mondo antico la porpora era un prodotto raro e preziosissimo.

17 neque nobilitas nec gloria regni: come in precedenza (vv. 11-13), Lucrezio sottolinea con forza che aderire alla visione del mondo epicurea implica la rinuncia ad alcuni valori socio-culturali tipici della romanità quale l’impegno nella sfera pubblica, la ricerca di cariche politiche (ad esempio, nel cursus honorum), il desiderio di gloria personale. Il suggerimento è quello di passare dalle illusioni di gloria alla ricerca dei veri bisogni dell’uomo.

18 si non: per introdurre la questione della religio - che per Epicuro costituisce solo un fattore di ignoranza e superstizione - Lucrezio introduce qui un ragionamento per assurdo (adynaton) in cui si immagina, in un periodo sintatticamente molto elaborato, che degli eserciti schierati in battaglia possano incutere timore alle “timefactae religiones” (v. 44).

19 cientis: da cieo, cies, civi, citum, ciere, “muovere, scuotere, agitare”.

20 ecum: da ecum, eci, si tratta della forma arcaica, frequente nello stile “sublime” di Lucrezio, per equorum.

21 Quod: si tratta qui di un nesso relativo.

22 purpureai: la desinenza -ai è quella arcaica del genitivo, ma è particolarmente rara per gli aggettivi (qui usata anche per necessità metriche).

23 species ratioque: i due termini costituiscono le due facce dell’indagine scientifica del mondo che, nel De rerum natura, sta alla base della proposta filosofica lucreziana: se la ratio è la legge interna delle cose (ad esempio, la teoria atomica e il concetto del clinamen illustrati nel primo e nel secondo libro), la species è l’aspetto esteriore delle stesse. Significativo che l’etimologia del termine rimandi al verbo inspicio, inspicis, inspexi, inspectum, inspicere,  che indica appunto un’osservazione attenta ed approfondita, come si richiede ad uno scienziato.