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Tabucchi, “Sostiene Pereira”: riassunto e analisi

Introduzione

 

Concepito in una sera del settembre 1992, scritto in due mesi nell’estate dell’anno seguente, Sostiene Pereira (pubblicato poi nel 1994) è una delle opere più importanti del secondo novecento italiano e il romanzo di maggior successo di Antonio Tabucchi, nato a Pisa nel 1943 e morto a Lisbona nel2012, traduttore e docente di Letteratura portoghese, nonché studioso in particolare dell’opera di Fernando Pessoa.

 

Riassunto

 

La vicenda è ambientata a Lisbona nel 1938. Pereira è un giornalista con una lunga esperienza nella cronaca nera, di cui si è occupato per il maggiore quotidiano nazionale portoghese. Da poco tempo lavora al Lisboa, un giornale pomeridiano di recente fondazione, di ispirazione cattolica, dove gli è stata affidata la pagina culturale. Cercando idee per impostarla, in assenza del direttore, che sta trascorrendo le sue ferie nella località termale di Buçaco, vicino a Coimbra, nella noia estiva Pereira legge su una rivista un saggio filosofico sulla morte. L’argomento lo ossessiona da quando ha perso la moglie, malata di tisi. Da quando è vedovo Pereira - ormai prossimo alla vecchiaia, cardiopatico, pingue e privo di ambizioni - parla col ritratto della donna, gli riporta i fatti della sua vita, gli chiede persino consiglio, ricevendo in risposta, ogni volta, un sorriso muto e lontano. Al ritratto, Pereira racconta anche di Francesco Monteiro Rossi, l’autore del saggio sulla morte, un giovane italo-lusitano neolaureato all’Università di Lisbona. Colpito dalle sue idee, Pereira lo contatta per proporgli una collaborazione esterna che consista nella redazione di alcuni necrologi anticipati, affinché il giornale sia pronto nell’eventualità della morte di alcuni grandi scrittori del tempo. Nonostante Rossi confessi di aver copiato parte del saggio, Pereira conferma la proposta affidandogli un testo di prova, su Georges Bernanos o François Mauriac. Il primo necrologio che Rossi consegna è invece su García Lorca; seguono articoli polemici su Marinetti e D’Annunzio, condannati per il loro interventismo e la collusione col regime fascista. Pereira riconosce la pericolosa carica sovversiva di quelle pagine impubblicabili - il Portogallo, infatti, è succube della dittatura di Salazar e l’Europa si sta avvicinando al secondo conflitto mondiale - ma decide di retribuirle comunque, anche se di tasca propria. Inoltre, anziché eliminarle, Pereira archivia questi pezzi sovversivi in una cartella che conserva nel suo ufficio, una “squallida stanzetta di Rua Rodrigo da Fonseca”.

La frequentazione tra Pereira e Rossi prosegue: si vedono al Café Orquídea, dove Pereira consuma abitualmenteomelette alle erbe aromatiche e limonatecon ghiaccio, e più spesso parlano al telefono o corrispondono per lettera. Nella relazione è coinvolta anche Marta, la bellissima fidanzata di Rossi, che nasconde ancor meno di lui l’impegno in politica e la rabbia per la situazione in cui versa il Paese.

Oltre a pagare gli inutili articoli di Rossi - si scoprirà poi che a scriverli in realtà è Marta - Pereira presta denaro al giovane e gli offre abbondanti pasti. In un’occasione, nonostante l’iniziale tentennamento, si rende persino disponibile a trovare, a proprie spese, un rifugio per il cugino di Rossi, Bruno, già impegnato nella causa repubblicana nella guerra civile spagnola, e di passaggio in Portogallo per reclutare sostenitori. Pereira si disinteressa all’attualità, o sottovaluta le conseguenze di un disallineamento dalle posizioni ufficiali; così, pur consapevole di trovarsi a che fare con due sovversivi, non se ne allontana né prende per sé le dovute precauzioni.

La sua apparente apatia si prepara però ad un lento risveglio civile. In particolare, due brevi viaggi di Pereira diventano occasione di fuga fuga dal quotidiano e dal suo carico di insidie latenti si trasformano in momenti di riflessione e di messa a fuoco di una nuova consapevolezza. Pereira passa prima un paio di giorni alle terme di Buçaco. Lì incrocia il suo direttore e rincontra un vecchio amico, Silva, docente di letteratura all’Università di Coimbra, col quale discute della situazione politica europea. Le sue preoccupazioni, alimentate dai colloqui con i due giovani rivoluzionari, si scontrano con l’inerzia dell’interlocutore; deluso, Pereira riparte anticipatamente accampando una scusa. Sul treno del ritorno si trova a viaggiare accanto a Ingeborg Delgado, una tedesca di origini portoghesi, ebrea, recatasi a Coimbra per “ritrovare le proprie radici”, in attesa di ricevere il visto dall’ambasciata americana per lasciare l’Europa e fuggire negli Stati Uniti. La donna, venuta a conoscenza della sua professione, lo sprona a “fare qualcosa”, a denunciare ciò che sta succedendo in Europa, a esprimere “il suo libero pensiero”. Pereira pensa al regime, alla censura, alla custode dello stabile dove ha sede la sua redazione, che è probabilmente un’informatrice della polizia; ma non dice nulla di tutto ciò e si limita ad abbozzare una rassicurazione, interiorizzando il peso del dovere a cui si sta sottraendo.

Il secondo viaggio ha come meta la clinica talassoterapica di Parede e, come obiettivo per il protagonista, una generale rimessa in forma. Lì, Pereira è affidato alle cure del dottor Cardoso, amante della letteratura francese. Oggetto di dialogo, allora, non sono solo cure e argomenti clinici: dottore e paziente intrattengono lunghe conversazioni sui libri e sulla vita, stringendo infine amicizia. Cardoso illustra a Pereira la teoria filosofica della “confederazione delle anime”, secondo cui la personalità di una persona è vista:

come una confederazione di varie anime [...] che si pone sotto il controllo di un io egemone [...] quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l’io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione.

In Pereira, spiega Cardoso:

forse c’è un io egemone che [...] dopo una lenta erosione, dopo [...] anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c’è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime.

Questa ipotesi è confermata dalla sorprendente pubblicazione, da parte di Pereira, sulla pagina culturale del Lisboa, della traduzione di un racconto di Alphonse Daudet (1840-1897) tratto dai Contes du lundi. È un racconto patriottico, anti-tedesco, ambientato in un villaggio contadino in Alsazia alla fine della guerra franco-prussiana (1870-1871), che si conclude con una scena epica, dove il maestro protagonista della storia, all’indomani dell’occupazione tedesca, scrive su una lavagna della sua scuola, davanti alla cittadinanza riunita, “Viva la Francia”. Il direttore del Lisboa convoca nel suo ufficio Pereira e lo redarguisce poiché quel racconto ha creato non pochi malumori negli ambienti politici e gli intima di smettere di allinearsi al sentimento patriottico della nazione, celebrando i grandi scrittori portoghesi.

Nel finale del romanzo, gli eventi precipitano. Pereira incontra Marta un’ultima volta. È emaciata, irriconoscibile; non c’è più alcuna traccia della “cascata di capelli castani che avevano riflessi rossi”, ora la ragazza porta “capelli biondi e corti, con la frangetta e virgole sulle orecchie” perché è in pericolo e si sta nascondendo da qualcuno; come lei anche Rossi, che è impegnato in un viaggio in Alentejo col cugino, nel tentativo di reclutare alleati per la causa repubblicana.

Scampato all’arresto, rientrato a Lisbona, visibilmente scosso, affannato ed esausto, il ragazzo si presenta un pomeriggio da Pereira, che accetta di proteggerlo, mettendo inoltre al sicuro alcuni passaporti falsi che Rossi porta con sé. L’indomani, tre uomini in abiti civili, armati di pistole e che si fingono poliziotti, fanno irruzione nell’appartamento del giornalista, lo minacciano e lo obbligano a consegnar loro Rossi. Trovato il giovane nello studio, lo picchiano fino a ucciderlo.

Una volta fuggiti gli assassini, Pereira, rimasto solo nell’appartamento, prende finalmente posizione, mette in atto la sua rivolta. Scrive - e, per la prima volta sul Lisboa firma anche col proprio nome – un articolo in cui denuncia le violenze e l’omicidio di Rossi. Con la complicità del dottor Cardoso, che si finge al telefono il maggiore Lourenço, capo della censura, Pereira riesce a far passare l’articolo in tipografia e ad assicurarsi la pubblicazione. Pereira torna a casa e sceglie, tra i documenti falsificati lasciatigli da Monteiro Rossi, un passaporto francese. Prepara una valigia con lo stretto necessario, compresa la cartella coi necrologi mai pubblicati, e si affretta a partire: “il Lisboa sarebbe uscito fra poco e non c’era tempo da perdere, sostiene Pereira”.

 

Commento

 

Il mistero del narratore

 

“Sostiene Pereira”: così si intitola, si apre e si chiude il romanzo di Antonio Tabucchi. Ma lo stesso sintagma puntella, con metodo più che con compulsività, anche ogni pagina dei venticinque brevi capitoli di cui è composto il libro. Il sottotitolo, del resto, sul frontespizio chiarisce la natura dell’opera: Una testimonianza. Il romanzo, infatti, si presenta come una testimonianza resa al narratore. E il narratore adopera una prosa sobria, tesa a registrare fatti e fenomeni, evitando commenti ed eccessi retorici o l’enfasi delle scene più drammatiche o cariche di tensione. Anche i dialoghi sono diretti e piani, e inseriti nel flusso narrativo con un effetto che disinnesca ogni possibilità di drammatizzazione.

Sembra che il narratore sia esterno ai fatti e che ne abbia solo un’esperienza indiretta. Quella che sulle prime sembra la raccolta di una deposizione, a un’attenta analisi appare invece un abile espediente narrativo, utile a creare una vaga ma persistente impressione dietro cui lavora un dispositivo più complesso. Tra una ripetizione e l’altra del sintagma, il narratore si cala nella vicenda al pari di un osservatore diretto dei fatti. Chi sia questo narratore, rimane un mistero. È un ufficiale di polizia? Un giornalista? Un giudice? E se fosse un giudice, quale sarebbe il suo tribunale? O, come è altrettanto probabile, il tribunale della storia? Tutto questo, forse, o forse niente. In una nota uscita nel settembre 1994 su Il Gazzettino, a distanza di otto mesi dall’uscita del romanzo, Tabucchi parla della prima visita ricevuta da quello che allora era ancora “solo un personaggio in cerca d’autore”. Passa meno di un anno, e:

nell’estate del novantatré, quando Pereira, divenuto un mio vecchio amico, mi aveva raccontato la sua storia, io potei scriverla.

 Aleggia, nella confessione di Tabucchi, un’idea di letteratura come arte medianica, capace di far percepire un mondo nel mondo, o oltre il mondo stesso, dove i personaggi non nascono dal loro autore ma gli si rivelano, chiedendo che la loro presenza - incorporea, ma non per questo meno reale di quella “mondana” - sia tradotta da quell’interregno della fantasia creatrice al mondo dei corpi e dei lettori. La confessione di Tabucchi chiarisce l’ambiguità strutturale della strategia narrativa adottata per Pereira: il suo narratore è insieme distante e ubiquo, ha ascoltato e ora vede la storia, la sua voce si presta a immagini di un’altra vita che, appena pronunciate, la incantano e incatenano a un paradosso.

 

Genesi del gesto politico

 

La storia di Pereira è la storia di un gesto politico. Chiedendoci da dove nasca questo gesto politico (se da un innato senso di giustizia o da un moto autonomo della coscienza) in un uomo fino ad allora quasi estraneo alla realtà storica del suo tempo, dobbiamo dire chefattori ambientali e fattori “genetici”coesistono. Estremizzando una possibile interpretazione di questa vicenda, si potrebbe persino parlare di “banalità del bene”. Pereira è un signore innocuo, vedovo, senza figli, che si avvicina alla vecchiaia. Fa il giornalista ed è finito a dirigere la pagina culturale di un giovane giornale del pomeriggio, il Lisboa, dopo quasi trent’anni di cronaca nel più importante quotidiano nazionale. Pereira ha tutt’altro che la fisionomia dell’eroe; è assorbito completamente dall’idea della morte e dai ricordi legati alla moglie, deceduta di recente. Per un puro caso della vita, leggendo un saggio sulla morte, estratto da una tesi di laurea appena discussa all’Università di Lisbona, fa un incontro che rivoluzionerà la sua vita. Monteiro Rossi, autore di quel saggio che è poco meno di un plagio, lo condurrà lungo un percorso di inconsapevole formazione, risvegliando la sua coscienza civile. Ma non sono le idee di Rossi a innescare il cambiamento in Pereira, né le brutalità perpetrate dal regime, né le denunce degli oppositori. La sua coscienza è pallidamente schierata per la causa della libertà e il protagonista si mostra in genere disinteressato o rassegnato alla situazione del Paese e dell’Europa. Pereira rinuncia gradualmente a leggere i giornali, sia nazionali che stranieri, perché i fatti politici, che riguardino un fronte oppure dell’altro, producono un solo stesso sintomo, pur senza che lui sappia conferirgli il significato profondo che merita: di fronte a quei fatti Pereira suda, e non sa il perché.

Se Pereira è incapace di abbandonare Rossi al suo destino, è perché agisce su di lui una forza misteriosa, prodotta da un’immagine corporearicorrente: la ciocca di capelli che ricade sulla fronte di Rossie che il giovane ogni volta ravvia. In questo particolare, egli rivede se stesso da giovane e insieme il figlio che non ha mai avuto ma che ha tanto desiderato, non potendolo chiedere a quella donna malata e gracile che era sua moglie. All’immagine della ciocca si associa poi l’immagine delle “spalle dolci e ben squadrate” di Marta, la fidanzata di Rossi, messe in risalto dalle bretelle incrociate del vestito che indossava quando Pereira l’ha conosciuta. Le stesse spalle, nel prosieguo del racconto, lasceranno emergere “due scapole ossute, come due ali di pollo”, segnalando col deperimento del corpo gli effetti della clandestinità alla quale il regime obbliga i suoi oppositori.

Le due immagini, simboli di giovinezza e paternità, sono accomunate da un sentimento di nostalgia. Una causa banalmente personale è così l’autentico motore del risveglio civile di Pereira, che si convince definitivamente della necessità di opporsi alla Storia soltanto quando vede consumarsi l’abbacinante bellezza di Marta, e quando affronta la morte di colui su cui proiettava l’idea di figlio.