Schopenhauer, "Il mondo come volontà e rappresentazione"

Arthur Schopenhauer (1788 - 1860) pubblica nel 1819 la prima edizione della sua opera più famosa, Il mondo come volontà e rappresentazione, cui seguirà una seconda edizione, accresciuta ed arricchita, nel 1844. La prospettiva di ragionamento schopenhaueriana è assai originale nel panorama filosofico del XIX secolo: il primo e il terzo libro sono dedicati al mondo come “rappresentazione” e discutono rispettivamente il “principio di ragion sufficiente” (il mondo fenomenico) e l’idea platonica (od “oggetto dell’arte”, ovvero l’estetica); il secondo e il quarto, costruiti attorno al mondo come “volontà”), trattano della “oggettivizzazione della volontà” (il mondo noumenico) e della “affermazione e negazione della volontà” (cioè, l’etica).
 
Nel primo libro, Schopenhauer recupera il pensiero kantiano e la sua riflessione sulle categorie, ma di queste salva solo il rapporto di causa/effetto come principio della razionalità (e di “ragion sufficiente”) che governa il mondo. Nel secondo libro, il filosofo spiega che è possibile accedere al mondo noumenico, oltrepassando il celebre “velo di Maya” e con esso le connotazioni dello spaziotempo e la causalità (nonché la razionalità e il principium individuationis). La cosa in sé è quindi priva di dimensione spaziotemporale, è incausata, irrazionale ed unica: il noumeno è allora la volontà, cui vanno ricondotte anche le forze naturali e che è conoscibile attraverso il corpo, che rappresenterebbe la sua oggettivizzazione primaria. Questa forza cieca, che mira solo al proprio perpetuarsi, è il motivo principale della tragicità dell’esistenza umana: bisogni, desideri, ideali che ci muovono non sono che maschere con cui la volontà ci nasconde il suo vero volto. La sofferenza e il dolore umano dipendono allora dai nostri impulsi insoddisfatti, e il mondo in cui viviamo non è “il migliore tra quelli possibili” (come sostenuto a suo tempo da Leibniz) perché la Storia non è progresso ma ripetizione ciclica del nostro disagio esistenziale, come ben sa anche Giacomo Leopardi. E secondo Schopenhauer, che si richiama alla filosofia platonica, la volontà si oggettiva nel mondo attraverso le “idee”, di cui l’arte, che ci permette di liberarsi dalle costrizioni della volontà, è “diretta contemplazione”. Ma la liberazione estetica - anche nella forma più elevata della musica - è transitoria, poiché occorre arrivare alla negazione della volontà: la noluntas (o “negazione”) e l’ascesi sono quindi passi definitivi dell’etica schopenhaueriana, e la base da cui prenderanno spunto sia Nietzsche che Freud.

 

Jacopo Nacci, classe 1975, si è laureato in filosofia a Bologna con una tesi dal titolo Il codice della perplessità: pudore e vergogna nell’etica socratica; a Urbino ha poi conseguito il master "Redattori per l’informazione culturale nei media". Ha pubblicato due libri: Tutti carini (Donzelli, 1997) e Dreadlock (Zona, 2011). Attualmente insegna italiano per stranieri a Pesaro, dove risiede.