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Il Risorgimento e il Federalismo in Italia: Giuseppe Ferrari

I federalisti repubblicani, assieme a moderati e democratici, costituirono indubbiamente una delle correnti politiche più incisive nel novero del dibattito risorgimentale. La formazione del federalismo repubblicano prese avvio dal gruppo milanese che si formò sotto l’influenza di Gian Domenico Romagnosi, il quale diresse dal 1827 al 1833 gli “Annali universali di Statistica, Economia pubblica, Storia, Viaggi e Commercio”. Si trattava di un periodico volto a illustrare le analisi dei problemi economici della Lombardia e dell’Italia in generale, ma che soprattutto esaltava i risultati delle ricerche che si svolgevano nei paesi più avanzati in senso capitalistico. Il Romagnosi poteva contare su collaboratori di notevole rilievo: Camillo di Cavour, Carlo Cattaneo, Luigi Serristori, Cesare Correnti, Giuseppe Ferrari e altri che faranno parte dell’élite del movimento liberale italiano. Questi collaboratori non erano contraddistinti da una posizione politica omogenea: difatti li ritroveremo in netta opposizione già nella pagine degli “Annali”. La rivista ebbe pertanto il merito di incoraggiare un dibattito costantemente aperto a tutte le nuove correnti politiche che si venivano definendo nel nostro Paese.

 

Furono Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo che meglio interpretarono la spinta ideale e il carattere innovativo che il Romagnosi aveva voluto infondere all’iniziativa editoriale. Cattaneo, anzi, proseguì l’esempio del suo direttore, fondando a sua volta nel 1839 “Il Politecnico”, rivista che si rivelò durante il Risorgimento sicuramente la più all’avanguardia sul piano teorico. Merito del “Politecnico” fu infatti di trattare in maniera moderna e pragmatica i temi tecnico-economici, rifiutando ogni impostazione che non avesse risvolti concreti e positivi. In particolare, uno dei più brillanti contributi del periodico diretto dal Cattaneo fu la celebrazione delle città italiane, poste a principio ideale della storia d’Italia. A differenza di Mazzini (che pur di ottenere per il Paese l’unità e l’indipendenza avrebbe accettato l’egemonia dei Savoia), Cattaneo diffidava dell’espansionismo sabaudo, e giudicava il piccolo regno piemontese uno Stato troppo arretrato per poter aspirare a diventare la guida dei moti risorgimentali. Soprattutto dopo la personale esperienza milanese del 1848, Cattaneo si riconobbe politicamente in un federalismo repubblicano che doveva poi trasformarsi in un precisa tendenza politica nell’ambito della lotta politica del movimento nazionale. Anche Giuseppe Ferrari, che con il passare degli anni, si professerà di fede socialista, apparteneva a questa corrente che si differenziava tanto dai moderati, quanto dai democratici unitari. In uno dei suoi numerosi saggi sulla situazione politica, Ferrari scriveva che:

 

L’Unità italiana non esiste se non nelle regioni della letteratura e della poesia; e in queste regioni non si trovano popoli, non si può fare leva di eserciti, non si può ordinare verun governo.

Collaboratore presso alcuni periodici francesi, tra cui la parigina “Revue des deux mondes”, Ferrari, che al pari di Cattaneo aveva partecipato alla rivoluzione milanese del 1848, condusse una polemica piuttosto aspra sia contro il neoguelfismo di Vincenzo Gioberti (e cioè la posizione che auspicava un ruolo preminente del Papa nell’ambito della rinascita nazionale), sia contro l’unitarismo a tutti i costi propugnato da Mazzini. Pure Ferrari, in altri termini, anteponeva la lotta per la repubblica e la democrazia a quella per l’indipendenza. Il Federalismo, per lui come per Cattaneo, era la formula più idonea e rispondente alle tradizioni storiche dell’Italia. Inoltre, a differenza di Mazzini, che credeva fermamente nell’iniziativa italiana, Ferrari riteneva insostituibile il ruolo della Francia, nazione alla quale l’Italia avrebbe dovuto far riferimento e ricercarne aiuto, accettandone il ruolo di guida rivoluzionaria. L’Indipendenza, la Libertà e la Democrazia, in sostanza, per Ferrari non erano che parole vane, senza l’avvento di un’autentica rivoluzione sociale. Ad opprimere il popolo italiano non erano insomma le potenze straniere o i vari tiranni assolutistici, ma in primo luogo la stessa borghesia. Occorreva dunque una rivoluzione che avrebbe dovuto avere, secondo Ferrari, un carattere inevitabilmente socialista per poter eliminare i residui feudali che ancora perduravano nella società italiana.