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L’URSS, Stalin e lo stalinismo

Nell’aprile del 1922 Iosif Vissarionovič Džugašvili, meglio noto come Stalin, viene nominato segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Questo non fa però immediatamente di lui la persona più influente nel paese, in quanto un ruolo fondamentale in questi anni è svolto dal Politbjuro di cui fanno parte Trockij, Zinov’ev, Kamenev, Bucharin e lo stesso Vladimir Lenin.
Tuttavia il leader sovietico, proprio nel 1922, viene colpito da un ictus (morirà nel 1924), dando il via ad una lotta per la successione alla guida del partito. Tra i vari dirigenti è Lev Trockij la figura più autorevole, oltre ad essere molto legato a Lenin: la vera lotta interna si svolge proprio tra lui e Stalin, in quanto i due leader propugnano soluzioni diverse per alcune questioni centrali.

Innanzitutto Trockij ritiene che le difficoltà che l’URSS sta attraversando siano dovute almeno in parte all’isolamento dell’Unione Sovietica, a cui reagire - secondo il politico russo - concentrando gli sforzi per diffondere il processo rivoluzionario e il comunismo anche ad altri stati dell’Occidente. A quest’idea di “rivoluzione permanente”, Stalin invece oppone la teoria del “socialismo in un solo paese”, che rappresenta una rottura rispetto all’idea bolscevica della necessità di esportare la rivoluzione prima di poter costruire in URSS lo stato socialista. La teoria staliniano d’altra parte costituisce una valutazione più realistica delle possibilità dell’URSS e meglio si adatta al clima internazionale, che non sembra lasciar presagire la possibilità di una rivoluzione socialista in Europa.
L’altro motivo di scontro tra i leader riguarda la politica economica: Trockij, infatti, pensa che sia necessario investire nelle fabbriche e nelle imprese per accelerare il processo di industrializzazione e crede quindi in un programma di pianificazione economica alternativo alla nuova politica economica (in sigla, NEP) che era stata introdotta nei primi anni ‘20 al fine di favorire la produzione agricola, ma che aveva favorito invece la nascita di un ceto di ricchi contadini, i cosiddetti kulaki. Trockij si trova tuttavia isolato in questa posizione e preferisce dunque dimettersi dalle cariche governative. A partire dalla fine del 1925 - quando ormai è palese lo scontro in seno al Partito tra Trockij e Stalin - anche Zinov’ev e Kamenev si pronunciano a favore di un’interruzione della NEP, e passano di fatto all’opposizione contro la politica di Stalin e Bucharin. Zinov’ev e Kamenev si uniscono quindi a Trockij ma l’esito dei loro sforzi è fallimentare e finiscono per essere espulsi dal partito nel 1927. Trockij viene inoltre mandato in esilio nel 1929.

Eliminata l’opposizione della sinistra interna, Stalin compie una completa inversione di rotta, dichiarandosi improvvisamente a favore di una conclusione della NEP e di nuovi piani di sviluppo industriale. In questo modo Stalin riesce a mettere in difficoltà anche la destra interna di Nikolaj Ivanovič Bucharin che, ormai messo all’angolo dalla politica staliniana, nel gennaio 1929 si dimette da tutte le cariche. È in questo anno che Stalin consolida il suo potere e diviene di fatto unico capo del Partito e dittatore dell’URSS. Nasce così il Primo Piano Quinquennale (1928-1932), con l’obiettivo di velocizzare il processo di sviluppo del paese attraverso l’industrializzazione forzata e la modernizzazione di tutti i settori produttivi. Il primo passo è rappresentato dalla collettivizzazione dell’agricoltura, che avviene tramite l’introduzione di “fattorie collettive”, i kolchozy,e l’espansione delle “fattorie di stato”, i sovchozy. Questo processo porta con sé una vera e propria persecuzione nei confronti dei contadini ricchi, i kulaki, che vengono privati della terra, esiliati e uccisi. Tramite questa rivoluzione dall’alto, i kulaki vengono eliminati non solo come classe, ma in molti casi anche fisicamente, portando così ad una drammatica riduzione della popolazione presente nelle campagne.
La collettivizzazione forzata genera però una forte opposizione anche tra quei contadini che non fanno parte della borghesia agraria: la resistenza a questa politica si traduce nel volontario danneggiamento degli attrezzi o nella macellazione del bestiame che è destinato ad essere “collettivizzato” e a finire nelle mani dello Stato comunista. Questa situazione porta anche fra il 1932 e il 1933 ad una grande carestia che provoca milioni di morti, che ha come effetto quello di fiaccare definitivamente la resistenza contadina.
Di fatto la collettivizzazione delle campagne rende possibile lo spostamento di risorse economiche verso l’industria e alimenta l’emigrazione nelle città, favorendo così l’ampliamento del bacino di manodopera operaia disponibile. In questo modo l’industrializzazione procede con una imponente crescita e con ritmi sostenuti, molto maggiori di quelli dei paesi capitalistici. Il tasso di crescita della produzione industriale è impressionante: nel 1932 è aumentata del 50% rispetto al 1928, mentre al termine del Secondo Piano Quinquennale, nel 1937, la produzione è aumentata ancora del 120%.
Per favorire questa crescita, gli operai vengono sottoposti ad una disciplina molto severa, che distrugge la legislazione operaia e sindacale presente dagli albori dello stato sovietico. I salari vengono ridotti al minimo ma si premiano con incentivi i lavoratori più produttivi, provando a generare uno spirito di emulazione tra lavoratori in linea con l’ideologia socialista: il modello ideologico proposto è quello dello stachanovismo 1. L’operazione ha successo e lo stachanovismo viene sostenuto e promosso come modello da emulare, creando un vero e proprio movimento di massa. Nonostante questo però la produttività dei lavoratori rimane bassa, visto anche il peggioramento delle condizioni di lavoro: la grande crescita industriale è da ricondursi infatti all’aumento del numero degli operai e non alla loro aumentata produttività.

I piani quinquennali, che proseguiranno fino al crollo dell’URSS, permettono in questi anni al paese di avere una crescita strepitosa, che lo fa passare velocemente da un’economia basata sull’agricoltura ad una a forte impulso industriale. I successi sovietici sono apprezzati in tutto il mondo ma poche notizie trapelano all’estero riguardo ai costi umani di tale impresa: la grande trasformazione che la società ha subito ha causato milioni di morti per fame, ma anche per prigionia o detenzione nei campi di lavoro. Questi ultimi sono un elemento centrale dell’era stalinista, quando le deportazioni nei gulag (così appunto erano chiamati) arrivano a coinvolgere milioni di individui. Tra il 1934 e il 1938 Stalin scatena infatti il periodo delle “grandi purghe”, in cui la macchina del terrore, che era stata messa in funzione con i piani quinquennali e le persecuzioni dei kulaki, perseguita ora qualunque forma di dissenso interno, rivolgendosi in particolare contro gli avversari interni nel partito.
Questo meccanismo prende il via con l’uccisione di Sergej Mironovič Kirov, che era stato un collaboratore di Stalin, e prosegue con ondate di arresti che colpiscono i quadri del partito. Nel 1938 anche Bucharin viene condannato a morte, mentre nel 1940 lo stesso Trockij, che era fuggito in Messico, viene ucciso da un sicario inviato da Stalin stesso 2. Nel 1937 le grandi purghe colpiscono i vertici dell’Armata Rossa, che viene decapitata del suo stato maggiore. In questi anni, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, le vittime delle persecuzioni interne in URSS ammontano tra i 10 e gli 11 milioni di persone.

È in questo modo che Stalin costituisce un vero e proprio sistema dittatoriale, dove il culto della personalità del leader diventa centrale. Egli viene visto come il capo carismatico, depositario della autentica dottrina marxista-leninista: per questo qualunque critica è ritenuta un tradimento. Si crea quindi una situazione tale per cui tutti i mali vengono attribuiti agli oppositori, al punto che anche coloro che vengono condannati in alcuni casi si mostrano convinti del fatto che Stalin sia ignaro della situazione. Il generale stravolgimento della realtà si riflette anche in ambito culturale: letteratura, cinema, musica e arte acquistano una chiara funzione propagandistica tesa a idealizzare la realtà sovietica e il ruolo politico di Stalin, mentre ogni rappresentazione artistica libera o non asservita al potere (quando non critica nei confronti di esso) viene etichettata come “reazionaria” o “piccoloborghese” e soffocata o repressa. La polizia politica resta l’unico organismo dotato di potere, mentre lo Stato si vede svuotato del suo ruolo e scavalcato dal Partito, che a sua volta perde ogni autonomia e viene completamente sottomesso al dittatore.
L’Occidente intanto osserva in modo distaccato il processo di stalinizzazione in corso in URSS: le poche informazioni che riescono a diffondersi provocano alcune reazioni indignate, soprattutto per quanto riguarda le purghe e le deportazioni nei campi di lavoro, ma in realtà non c’è una chiara percezione della gravità della situazione. Gli stati occidentali, inoltre, preferiscono  soprassedere perché hanno bisogno dell’alleato sovietico nella lotta come elemento per bilanciare le dittature di destra (come il fascismo in Italia e il nazismo in Germania).
Di fatto la vittoria nella Seconda guerra mondiale ed eventi storici come la Battaglia di Stalingrado, che arresta l’avanzata dei tedeschi verso est nel 1943, non fanno che accrescere la venerazione popolare per Stalin e il culto della personalità nei suoi confronti. Negli anni tra il 1945 e il 1953, anno della morte del leader sovietico, lo stalinismo accentua i suoi caratteri repressivi e autocratici, mentre l’URSS attraversa il difficile momento della ricostruzione post-bellica e all’orizzonte si delinea il clima della Guerra fredda.

1 Il termine deriva dalla vicenda lavorativa di un minatore, Aleksej Grigor'evič Stachanov, il quale diviene famoso per aver estratto, con una tecnica da lui inventata, una quantità di carbone quattordici volte superiore alla media; in realtà Stachanov ha potuto raggiungere questo record anche grazie all’aiuto di altri lavoratori, ma la vicenda viene abilmente sfruttata dalla propaganda per fare di lui la figura esemplare dell’operaio comunista.

2 Zinov’ev e Kamenev, rimasti invece in patria, vengono processati e fucilati nel 1936.