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"I promessi sposi", capitolo 27: riassunto e commento

Il capitolo XXVII dei Promessi Sposi comincia con un inciso storico in cui il Manzoni informa i lettori sulle vicende che si snodano attorno alla successione al ducato di Mantova:

 

Il duca di Savoia era entrato, dalla sua parte, nel Monferrato; don Gonzalo aveva messo, con gran voglia, l’assedio a Casale; ma non ci trovava tutta quella soddisfazione che s’era immaginato: che non credeste che nella guerra sia tutto rose.

Don Gonzalo viene raggiunto a Casale dalle notizie sui tumulti di Milano, città di cui era governatore, e della fuga del pericoloso ribelle Lorenzo Tramaglino. Decide così di tornare a Milano e, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, “fece quel fracasso che sapete a proposito di Renzo; come sapete anche quel che ne venne in conseguenza. Dopo, non s’occupò più d’un affare così minuto e, in quanto a lui, terminato [...]”. Renzo però non s’immagina affatto tutto ciò e continua a nascondersi imperterrito, addirittura sotto falso nome, convinto di essere ancora ricercato. Il giovane desidera ardentemente ricevere e dare notizia ad Agnese e Lucia ma, non sapendo scrivere né leggere, doveva trovare qualcuno di fidato che facesse da tramite, a cui poter raccontare i fatti propri. Bisogna avvalersi anche di un corriere che consegni la lettera. Il povero Renzo non sa però dove si trovino le donne e decide quindi di far recapitare la lettera a fra Cristoforo, dunque a Pescarenico. Non ricevendo risposta fa un secondo tentativo e “questa volta la lettera arrivò a chi era diretta”. Agnese risponde a Renzo che le riscrive nuovamente, ma questo carteggio si sviluppa in un arco di tempo molto lungo, a causa delle modalità di comunicazione dell’epoca, e del dilagante analfabetismo (“Dopo un po’ di tempo, Agnese trovò un mezzo fidato di far pervenire nelle mani di Renzo una risposta, co’ cinquanta scudi assegnatigli da Lucia. Al veder tant’oro, Renzo non sapeva cosa si pensare; e con l’animo agitato da una maraviglia e da una sospensione che non davan luogo a contentezza, corse in cerca del segretario, per farsi interpretar la lettera, e aver la chiave d’un così strano mistero”).

 

Il segretario spiega al giovane le vicende passate riguardanti l’innominato ed esplicita i riferimenti di Agnese al voto compiuto da Lucia, seguito dalla raccomandazione a Renzo di non pensare più alla ragazza. Ma Renzo risponde che il cuore in pace non lo metterà mai, e che conserverà i soldi per la dote di Lucia, che dev’essere sua dopo che passerà questo momento difficile e ingarbugliato. Nel frattempo Lucia, che ha saputo dalla madre che Renzo è vivo e sta bene, cerca di dimenticarlo. Donna Prassede, tentando di aiutarla in questa impresa, passa le giornate  a screditare il giovane agli occhi di Lucia, ottenendo però l'effetto opposto:

 

L’indegno ritratto che la vecchia faceva del poverino, risvegliava, per opposizione, più viva e più distinta che mai, nella mente della giovine l’idea che vi s’era formata in una così lunga consuetudine; le rimembranze compresse a forza, si svolgevano in folla; l’avversione e il disprezzo richiamavano tanti antichi motivi di stima; l’odio cieco e violento faceva sorger più forte la pietà: e con questi affetti, chi sa quanto ci potesse essere o non essere di quell’altro che dietro ad essi s’introduce così facilmente negli animi; figuriamoci cosa farà in quelli, donde si tratti di scacciarlo per forza.

Donna Prassede, descritta dal Manzoni come fortemente portata per il comando, che cerca di esercitare su chiunque la circondi, non riesce però a dominare sul marito, don Ferrante:

 

Uomo di studio, non gli piaceva né di comandare né d’ubbidire. Che, in tutte le cose di casa, la signora moglie fosse la padrona, alla buon’ora; ma lui servo, no. E se, pregato, le prestava a un’occorrenza l’ufizio della penna, era perché ci aveva il suo genio; del rimanente, anche in questo sapeva dir di no, quando non fosse persuaso di ciò che lei voleva fargli scrivere.

Dopo aver narrato in una lunghissima parentesi di cosa si compone la biblioteca di don Ferrante e quali siano gli argomenti da lui studiati e preferiti, il Manzoni torna alle vicende dei nostri protagonisti, concedendo una lunga pausa agli eventi della sua narrazione:

 

Fino all’autunno del seguente anno 1629, rimasero tutti, chi per volontà, chi per forza, nello stato a un di presso in cui gli abbiam lasciati, senza che ad alcuno accadesse, né che alcun altro potesse far cosa degna d’esser riferita.