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Pasolini, "Petrolio": riassunto e commento

Nel 1992 viene pubblicato da Einaudi il romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini, Petrolio.

L’autore aveva cominciato a lavorare a questo libro già nel 1972 e prevedeva di scrivere un romanzo di 2000 pagine, quando nel 1975 venne ucciso. Ciò che ci rimane ed è stato pubblicato sono circa 500 pagine di appunti, frammenti, tracce, titoli di capitoli e una lettera allo scrittore Alberto Moravia. Pasolini considerava Petrolio come “una specie di summa di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie”, così scriveva nella lettera a Moravia, risalente al 1975, un’opera che lo avrebbe tenuto occupato per anni o a cui avrebbe dedicato tutta la vita. Si comprende la complessità della struttura del romanzo dalle pagine pubblicate, e anche dalla lingua, con cui Pasolini sceglie di scrivere: “la sua lingua è quella che si adopera per la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia” (Lettera ad Alberto Moravia, 1975).
Le vicende ruotano intorno a Carlo, ingegnere torinese che lavora alla ENI, ma che è in realtà sdoppiato. Esistono infatti due Carlo, uno, onesto e buono, e l’altro, malvagio e sensuale. Questo personaggio nel corso del romanzo muterà ancora, fino a rendersi conto di essere diventato donna. Ma ciò che in realtà Pasolini vuole mostrare, seguendo la carriera di Carlo alla ENI, è la società contemporanea italiana, vista ormai come corrotta e degradata. Il consumismo è la nuova ideologia del potere, che ha omologato i costumi degli italiani, facendo scomparire la vitale autenticità del mondo rurale e popolare, e così scrive in Petrolio alle pagine 501-503:

 

Le persone che passavano davanti a Carlo erano dei miseri cittadini ormai presi nell'orbita dell'angoscia e del benessere, corrotti e distrutti dalle mille lire di più che una società "sviluppata" aveva infilato loro in saccoccia... Erano dei piccoli borghesi senza destino, messi ai margini della storia del mondo, nel momento stesso in cui venivano omologati a tutti gli altri.

Sono temi che emergono anche nei suoi articoli, apparsi sul “Corriere della Sera” e raccolti nel 1975 in Scritti corsari. In Petrolio l’indignazione e la rabbia di Pasolini emergono in un’originale forma narrattiva e in diverse pagine del romanzo lo scrittore si scaglia contro il potere democristiano, definito fascista, e contro il potere industriale; le due forze ormai sono intrecciate tra loro e collaborano per il mantenimento dello status quo. Petrolio appare come il testamento di Pasolini e l’autore stesso nel concepire l’opera, scrive ad Alberto Moravia: “Questo romanzo non serve più molto alla mia vita (come sono i romanzi o le poesie che si scrivono da giovani), non è un proclama, ehi, uomini! io esisto, ma il preambolo di un testamento, la testimonianza di quel poco di sapere che uno ha accumulato”.