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Giovanni Pascoli, “Nebbia”: parafrasi e analisi

Introduzione

 

La lirica Nebbia di Giovanni Pascoli, inserita nella raccolta dei Canti di Castelvecchio (1903), sviluppa un tema centrale della poesia dell’autore: quello della nebbia, intesa come simbolo delle sue angosce intime, connesse col senso incombente della morte e con il ricordo dei lutti che hanno colpito Pascoli nei suoi affetti più cari 1. Nebbia si caratterizza in particolare per l’atmosfera simbolista e per l’attento lavoro metrico-stilistico.

 

Analisi

 

La lirica è un’invocazione alla nebbia, a cui Pascoli chiede - quasi comanda, visto l’uso dell’imperativo - di proteggerlo. Questa richiesta assume lam forma di una litania, modellata sulla ripetizione (attraverso un refrain, un ritornello cantilenante) del primo verso (“Nascondi le cose lontane”), quasi in una sorta di preghiera allucinata. L’atmosfera del componimeto è dunque inquieta e cupa: Pascoli allude alle serie di tragedie da cui si sente colpito (“da’ crolli | di aeree frane”, vv. 5-6; “nascondimi quello ch’è morto”, v. 8; “le cose son ebbre di pianto”, v. 14; “Ch’io veda solo quel bianco | di strada”, vv. 21-22; “il cipresso”, v. 27) e vi affianca gli umili segnali del suo piccolo mondo familiare, il “nido” da proteggere ossessivamente dagli assalti del mondo esterno (“Ch’io veda soltanto la siepe | dell’orto”, vv. 9-10; “” Ch’io veda i due peschi, i due meli, | soltanto”, vv. 15-16; “qui, solo quest’orto, cui presso | sonnecchia il mio cane”, vv. 29-30).

La poesia si struttura così per sequenze parallele, in quanto ogni strofe presenta un andamento sintatticamente simile, in cui alla richiesta di protezione alla nebbia fa seguito l’appello a ciò che si vuol strenuamente difendere, spesso identificato dall’uso di aggettivi dimostrativi, come se il poeta stesse parlando di una realtà quotidiana e a lui ben nota. A dominare, l’impressione angosciosa dell’incombenza della morte, deducibile più per segnali ed allusioni che per concrete manifestazioni; ad essa può contrapporsi solo la funzione protrettrice e quasi materna della nebbia, in cui il poeta desidera affogare se stesso e il suo nido di piccole cose. Un tono e un orizzonte poetico che avvicinano Pascoli sia alla corrente simbolista sia ad alcuni atteggiamenti tipici del Crepuscolarismo.

Dal punto di vista stilistico, sono centrali gli effetti ritmici collegati alla scelta di unire versi novenari, ternari e senari per creare un andamento prosodico cantilenante, fatto di pause e accelerazioni, come se si trattasse di un dialogo intimo del poeta con se stesso. Ricco di sfumature - come sempre in Pascoli - l’aspetto fonetico-lessicale: i termini sono quelli poveri e semplici del mondo di campagna 2, mentre l’impianto retorico e fonosimbolico è particolarmente ricco e sfumato.

 

Parafrasi


metro: strofe di sei versi (quattro novenari, un ternario, un senario) con schema di rime ABCbCa e ritornello del primo verso.

 

  1. Nascondi 3 le cose lontane,
  2. tu nebbia impalpabile e scialba,
  3. tu fumo 4 che ancora rampolli,
  4.      su l’alba,
  5. da’ lampi notturni e da’ crolli
  6.      d’aeree frane!
  7. Nascondi le cose lontane,
  8. nascondimi quello ch’è morto 5!
  9. Ch’io veda soltanto la siepe
  10.     dell’orto,
  11. la mura 6 ch’ha piene le crepe
  12.      di valerïane 7.
  13. Nascondi le cose lontane:
  14. le cose son ebbre di pianto!
  15. Ch’io veda i due peschi, i due meli,
  16.      soltanto,
  17. che dànno i soavi lor mieli
  18.      pel nero mio pane 8.
  19. Nascondi le cose lontane
  20. che vogliono ch’ami e che vada 9!
  21. Ch’io veda là solo quel bianco
  22.      di strada 10,
  23. che un giorno ho da fare tra stanco
  24.      don don di campane 11...
  25. Nascondi le cose lontane,
  26. nascondile, involale al volo 12
  27. del cuore! Ch’io veda il cipresso 13
  28.      là, solo,
  29. qui, solo quest’orto, cui presso
  30.      sonnecchia il mio cane 14.
  1. Nascondi le cose lontane,
  2. tu nebbia impalpabile e pallida,
  3. tu fumo che ancora ti diffondi,
  4.      sull’alba,
  5. dopo i lampi notturni e i boati
  6.      dei tuoni!
  7. Nascondi le cose lontane,
  8. nascondimi ciò che è morto!
  9. Che io possa vedere solo la siepe
  10.      che delimita l’orto,
  11. il muretto nelle cui crepe
  12.      cresce la valeriana.
  13. Nascondi le cose lontane:
  14. le cose che sono madide di pianto!
  15. Che io possa vedere solo i due peschi
  16.      e i due meli,
  17. che dànno i loro dolci frutti
  18.      per il mio pane nero.
  19. Nascondi le cose lontane
  20. che vogliono che io ami e mi allontani!
  21. Che io possa vedere solo quella strada
  22.      polverosa,
  23. che un giorno dovrò fare in un lento
  24.      don don di campane…
  25. Nascondi le cose lontane,
  26. nascondile, allontanale dagli slanci
  27. del cuore! Che io possa solo vedere
  28.      lì il cipresso,
  29. qui solo quest’orto, vicino a cui
  30.      sonnecchia il mio cane.

1 Costante è ad esempio il ricordo dell’omicidio del padre, come si vede ne La cavalla storna o in X Agosto.

2 I Canti di Castelvecchio - in accordo con la strategia dell’autore di caratterizzare le proprie raccolte con delle citazioni dal distico d’apertura della quarta Bucolica di Virgilio - torna alla materia “umile” di Myricae: “Arbusta iuvant humylesque myricae”.

3 Nascondi: il verbo all’imperativo indica che quella del poeta è un’invocazione accorata affindché la nebbia gli nasconda il dolore dell’esistenza. L’appello è sottolineato dalla struttura strofica, poiché questo primo verso fa da ritornello della poesia. È un procedimento che troviamo anche ne La cavalla storna.

4 fumo: si riferisce alla condensa che segue un violento temporale notturno.

5 quello ch’è morto: Pascoli si riferisce autobiograficamente ai propri lutti: l’assassinio del padre e la morte dei due fratelli Luigi (1871) e Giacomo (1876). A ciò s’aggiungerà l’ulteriore violazione del “nido” faticosamente ricostruito con il matrimonio della sorella Ida nel 1895.

6 la mura: termine femminile arcaico per ”il”muretto.

7 le crepe di valerïane: l’immagine della valerian che si insinua nelle crepe del muretto a secco è di per sé un rimando al desiderio di oblio del poeta rispetto al mondo: la pianticella ha infatti proprietà sedative.

8 pel nero mio pane: il pane nero è quello più povero; qui è una metafora delle amarezze patite dal poeta, che chiede pace e oblio alla nebbia.

9 ch’ami e che vada: emerge qui chiaramente che l’ansia di Pascoli è anche quella del confronto con il mondo: l’uscita dal “nido” dell’infanzia implica l’assunzione di responsabilità tipiche dell’età adulta..

10 strada: si tratta della strada che conduce al cimitero: è l’ennesimo presagio funebre della poesia.

11 don don di campane: l’onomatopea richiama una tecnica tipica di Pascoli (si pensi a L’assiuolo): l’inserimento di suoni dal forte valore simbolico e allusivo, che affascinano ed inquietano al tempo stesso.

12 involale al volo: l’allitterazione molto evidente e la figura etimologica tra “involale” e “volo” sottolinea la preghiera del poeta: staccare da sé le emozioni (il “volo del cuore”) per non dover soffrire ancora.

13 cipresso: tipica pianta da cimitero, è qui simbolo della morte, che è l’unica visione del futuro che il poeta sente di avere.

14 il mio cane: il cane sonnecchioso è la metafora della tranquillità familiare a cui Pascoli è legato e in cui vuol rinchiudere tutto il proprio mondo.