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Michail Bulgakov, “Il Maestro e Margherita”: trama e personaggi

Negli anni che separano il 1928 e la sua morte, avvenuta nel marzo del 1940, Michail Bulgakov immaginò e riscrisse il suo capolavoro, Il Maestro e Margherita, per almeno otto volte. È curioso che solo dalla terza versione compaiano i personaggi che danno il titolo al libro, ovvero il Maestro e la sua compagna, Margherita. Il nucleo originario del romanzo, infatti, prevedeva soltanto la discesa a Mosca del diavolo, il cui nome è Voland, e un abbozzo della seconda, grande linea narrativa: il racconto della “vera” storia di Ponzio Pilato, fatto da Voland stesso. Il romanzo doveva intitolarsi Il consulente con gli zoccoli o, in alternativa, Il mago nero. Poi, verso la metà degli anni Trenta, mentre la vita di Bulgakov diventava sempre più complicata per via dei pessimi rapporti con il regime staliniano e la conseguente difficoltà a pubblicare i suoi scritti 1, il progetto di questo grande, complesso capolavoro prese forma.


Sinossi

Ci sono, all’interno del libro, almeno tre grandi linee narrative. Nella prima, il diavolo arriva a Mosca con il proprio codazzo di buffi e perfidi collaboratori (periodicamente, infatti, organizza sulla Terra un convegno, il Ballo di Satana, che è l’occasione per verificare i risultati del suo operato tra gli uomini), prende casa su via Sadovaja 2) e, mentre cerca una regina del Sabba, senza cui il ballo non può aver luogo, punisce viltà, meschinerie e soprusi divertendosi alle spalle di funzionari del Partito comunista, burocrati e moscoviti da lui giudicati immorali.
Nella seconda, si racconta il “romanzo di Pilato”: un autore sconosciuto ha infatti scritto un libro in cui si dimostra come, di fronte alla bontà assoluta, al carisma e all’amore di Cristo, il procuratore della Giudea non sia rimasto indifferente. Troppo vile e troppo innamorato del potere per andare contro i sacerdoti e risparmiare la vita al condannato, Pilato è un personaggio tormentato, consapevole di avere crocifisso il vero Dio.
La terza linea narrativa, invece, segue la vicenda di un uomo, il Maestro, chiuso in manicomio: ha scritto e bruciato un romanzo (appunto quello su Pilato) che le autorità non approvano; ama, ricambiato, Margherita, che accetterà di vendere la propria anima al diavolo e di diventare la regina del Sabba per salvare il Maestro. Le tre linee narrative a poco a poco convergono: tra i compiti di Voland c’è infatti anche quello di liberare il Maestro restituendogli il manoscritto. Il romanzo è stato letto nei Cieli e giudicato corretto ma incompiuto: Pilato vaga da anni in un limbo in attesa di essere perdonato e liberato. Soltanto il Maestro può salvarlo e donargli la pace.


Commento

Qualcuno ha contato che, nel romanzo, ci sono 146 personaggi, a cui vanno aggiunti 24 animali, tra cui oranghi e scimmie che suonano in un’orchestra jazz 3: Il Maestro e Margherita è una grande festa letteraria piena di invenzioni, colpi di scena, situazioni comiche e grottesche e riferimenti al folklore russo. Oltre ai personaggi chiamati in causa finora, valgono una menzione Ivan Bezdomnyj (Ivan Senzacasa), giovane poeta che vuole scrivere un poema per dimostrare l’inesistenza di Dio e che, invece, ascolta dal Maestro una parte del romanzo su Pilato e decide di non prendere più in mano la penna, e Levi Matteo, presente al momento della crocifissione di Cristo e, oggi, tramite tra Dio e il diavolo: è lui che ordina a Voland di restituire il manoscritto al Maestro e di donare a lui e a Margherita la pace eterna. È con Levi che il diavolo ha uno dei dialoghi chiave del romanzo (“Che cosa sarebbe il tuo bene, se non esistesse il male, e che aspetto avrebbe la terra se le ombre sparissero?”), dove riecheggia un tema caro a Goethe: c’è infatti il Faust tra i modelli di riferimento di Bulgakov. Per rendersene conto, basterebbe l’epigrafe del romanzo, dove si citano i versi del Faust in cui Mefistofele dice:

Io sono una parte di quella forza che eternamente vuole il Male ed eternamente opera il Bene.

Voland è infatti un tentatore, ma anche qualcuno che mette ogni volta l’umanità alla prova: egli misura la cattiveria degli uomini e la giudica. È per questo che punisce e sbeffeggia molti rappresentanti del potere sovietico, giudicandoli uomini piccoli, avidi, del tutto incapaci di percepire il trascendente nonché privi di morale e senso della giustizia. Attraverso gli atti di Voland, Bulgakov fustiga i costumi della Mosca degli anni Trenta e si fa beffe di quel potere che gli stava rendendo la vita, sia privata sia lavorativa, drammaticamente impossibile; questa è la parte più gioiosa, satirica e grottesca del romanzo, che si riempie di cappelli che si trasformano in gatti, teste tagliate e restituite, vestiti e biancheria di fino che il diavolo regala alle signore dell’alta società e che, all’improvviso, svaniscono lasciando le dame nude per strada, soldi che diventano carta straccia o, peggio, valuta straniera 4.
Più cupe sono le altre linee narrative: attraverso la vicenda del Maestro, ad esempio, Bulgakov disegna una metafora della condizione dello scrittore ai margini della società letteraria sovietica. Il Maestro è un uomo tribolato, pieno di angosce e insicurezze; è un debole che ha capito di aver scritto qualcosa che va contro i dettami del regime. Crede nel valore salvifico della poesia, ma non ha il coraggio di difendere la grande verità spirituale che ha colto raccontando la storia di Pilato: brucia il manoscritto sperando di salvarsi. Tuttavia, come gli dirà Voland, “i manoscritti non bruciano”, e il suo libro esiste, anche se in una dimensione che non è di questo mondo. Il Maestro ha scritto cercando la verità, la libertà e il contatto con l’assoluto - ed è proprio questo il ruolo dello scrittore per Bulgakov - ma non ha avuto il coraggio di difendere se stesso e la propria opera fino in fondo. Per questo, alla fine del romanzo, Voland, su mandato di Levi Matteo, concederà a lui e a Margherita “la pace ma non la luce”. In filigrana, nella sua vicenda si legge l’idea che Bulgakov ha della scrittura: è un viatico per qualcosa di più grande e trascendente 5.
Pilato, invece, è tormentato dal mal di testa, incapace di comprendere la bellezza e il messaggio salvifico di Cristo; li intuisce solamente, e proprio l’emicrania è la spia di un potere cieco che, di fronte all’Amore, si va incrinando. Si trova di fronte un Gesù magro, stanco, sofferente eppure combattivo: il Gesù di Bulgakov - che nel romanzo si chiama Ha-Nozri, il Nazareno - è un uomo che predica la bontà universale ma non dimentica la portata politica della sua predicazione: “ogni potere è violenza sugli uomini” dice “e verrà un tempo in cui non ci sarà un potere […]. L’uomo entrerà nel regno della verità e della giustizia […]”. Il potere, la verità e la giustizia sono dunque tre grandi temi attorno a cui ruota Il Maestro e Margherita: davanti a Ha-Nozri, Pilato vacilla, comprende la portata del messaggio di pace dell’arrestato, ma ha paura delle conseguenze terrene della sua liberazione. Egli reagisce con violenza - “non verrà mai il regno della verità!” Urla - e lascia che Cristo venga condannato. Ha un ultimo gesto di pietà che lo riscatta: offre al Nazareno del veleno per porre fine alle sue sofferenze. Ha-Nozri rifiuta, ma Pilato evita la condanna eterna: ha solo bisogno che qualcuno, quasi duemila anni dopo tramite un romanzo bruciato, comprenda il suo dolore e lo riscatti. Così, nel finale “celeste” del romanzo, Voland mostra l’anima tormentata di Pilato al Maestro:

Il suo romanzo è stato letto e hanno osservato solo che, purtroppo, non è finito. Così vorrei mostrarle il suo eroe. Da circa duemila anni sta su questo ripiano della montagna e dorme, ma quando c’è la luna piena, come vede, l’insonnia lo tormenta. […]. Quando dorme vede sempre la stessa cosa, una strada lunare, e vuole camminare per quella strada, parlare con l’arrestato Ha-Nozri, perché afferma di non avergli detto tutto allora […].

Il Maestro guarda Pilato e lo perdona e lo giustifica (“Sei libero, sei libero! Egli ti attende”) perché, come dice Voland a un’incredula Margherita: “Tutto sarà giusto, è su questo che è costruito il mondo”.

Bulgakov non vide mai il suo capolavoro pubblicato: morì poco dopo averlo finito. Fino al 1961, in realtà, la censura sovietica non autorizzò la pubblicazione di nessuna opera dello scrittore. Il Maestro e Margherita vide la luce tra il 1966 e il 1967 in Germania: a Francoforte, la rivista in lingua russa Moskva ne pubblicò una versione censurata, a cui erano state tolte circa settanta pagine. In Russia il romanzo arrivò nel 1973, sempre in una versione ritenuta non definitiva. Per leggere la versione completa del romanzo, i lettori russi (e con loro noi) dovettero aspettare il 1989.

1 Per conoscere la vita di Bulgakov si veda Marietta Čudakova, Michail Bulgakov. Cronaca di una vita, Bologna, Odoya, 2013.

2 Si tratta del celebre appartamento n. 50, dove abitava Bulgakov stesso e che oggi è un museo dedicato a lui e al romanzo  (http://www.bulgakovmuseum.ru/en/about)

3 Si veda E. Bazzarelli, Bulgakov, Milano, Mursia 1976-1988, pp. 148 e sgg.

4 Nell’URSS deegli anni Trenta chi possedeva moneta straniera rischiava infatti la galera.

5 Non a caso, egli, in una coraggiosissima lettera di supplica indirizzata a Stalin nel 1930, si era definito “uno scrittore mistico”. Si veda M. Bulgakov, Lettere a Stalin, Genova, Il melangolo 1990, e in particolare la lettera numero 5.