4'

Il sonetto: definizione, struttura ed esempi

Se probabilmente la “paternità” del sonetto è da attribuirsi a Giacomo da Lentini, esponente di spicco della corte federiciana e della Scuola siciliana, è sicuro che questa forma metrica si sia radicata nella tradizione letteraria, dal XII secolo del “Notaro” fino ai giorni nostri, come una delle strutture del discorso poetico (e, in particolar modo, della lirica) più efficaci e fortunate.

 

Un sonetto è un componimento breve, composto di quattordici versi endecasillabi, distinti in due gruppi, il primo di due quartine (otto versi detti variamente anche “fronte” oppure  “ottetto”, in quanto inizialmente gli otto versi facevano corpo unico), il secondo di due terzine (sei versi definiti anche “sirma” e “sestetto”). Secondo le tesi oggi più accreditate il sonetto - che nel provenzale antico sonet significa “suono, melodia”, indicando dunque che in origine al testo si accompagnava sempre la musica - deriverebbe da una stanza isolata di canzone (tredici versi), con l’aggiunta di un verso e la scelta uniformante della misura endecasillabica. Variabili gli schemi rimici: nelle quartine, al modello iniziale a rima alternata ABAB ABAB si aggiunge (e prende progressivamente spazio, fino a divenire maggioritario) quello a rima incrociata ABBA ABBA, che si avvale della prestigiosa canonizzazione stilnovistica (come nel "manifesto" Tanto gentile e tanto onesta pare) e della lezione petrarchesca del Canzoniere. Nelle terzine, sono prevalenti le forme CDE CDE oppure CDC DCD, anche se qui la libertà è maggiore; conta piuttosto che nessun verso sia irrelato (cioè, privo di rima). Un buon esempio di struttura del sonetto è Solo e pensoso i più deserti campi dei Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca:

 

Solo et pensoso i più deserti campi

vo mesurando a passi tardi et lenti,

et gli occhi porto per fuggire intenti

ove vestigio human la rena stampi.

 

Altro schermo non trovo che mi scampi

dal manifesto accorger de le genti,

perché negli atti d’alegrezza spenti

di fuor si legge com’io dentro avampi:

 

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge

et fiumi et selve sappian di che tempre

sia la mia vita, ch’è celata altrui.

 

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge

cercar non so, ch’Amor non venga sempre

ragionando con meco, et io co·llui.

Nel sonetto, il discorso poetico può dunque procedere facendo coincidere metro e sintassi, oppure, come nel nostro caso, essere “movimentato” dagli enjambements tra verso e verso; in alcuni casi (come nel notissimo sonetto A Zacinto dei Sonetti di Ugo Foscolo), la "spezzatura" può far continuare la riflessione del poeta anche tra quartine e terzine:

 

Né più mai toccherò le sacre sponde

ove il mio corpo fanciulletto giacque,

Zacinto mia, che te specchi nell'onde

del greco mar da cui vergine nacque

 

Venere, e fea quelle isole feconde

col suo primo sorriso, onde non tacque

le tue limpide nubi e le tue fronde

l'inclito verso di colui che l'acque

 

cantò fatali, ed il diverso esiglio

per cui bello di fama e di sventura

baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

 

Tu non altro che il canto avrai del figlio,

o materna mia terra; a noi prescrisse

il fato illacrimata sepoltura.

Diverse le tematiche che, almeno in origine (basti pensare alla tenzone poetica di sapore comico tra Dante e Forese Donati), il sonetto può accogliere, anche se va detto che, dopo le capitali esperienze dello Stilnovo e della poesia petrarchesca e per la natura breve del componimento, questa forma metrica rimane lo strumento per eccellenza per cantare liricamente l’amore o per sviluppare sulla pagina una questione privata o un tormento intimo.

 

Eterogenee le varianti formali; possiamo avere infatti sonetti caudati (la cui appendice è costituita da un settenario in rima con l’ultimo verso un distico di endecasillabi, secondo lo schema ABAB ABAB CDE CDE eFF, e che diventa tipico dei componimenti comico-realistici fino a Carducci), sonetti raddoppiati (di ventotto versi) sonetti rinterzati (“rafforzati” o doppi, caratteristici della poesia di Guittone D’Arezzo, e in cui un settenario rima con ogni verso dispari delle due quartine e con i due versi iniziali di ogni terzina, secondo lo schema: AaBAaBAaBAaB CcDdE CcDdE), sonetti misti di endecasillabi e settenari alternati, sonetti minori (composti da misure più brevi dell’endecasillabo), sonetti con particolari soluzioni formali (di versi solo sdruccioli o tronchi, legati da rime interne o retrogradi, con un ritornello di chiusura, con versi alternati in latino o in altre lingue romanze). Caso particolare, che testimonia il successo della forma e l’egemonia culturale italiana nel Rinascimento, è il caso del sonetto shakespeariano (o elisabettiano), composto di quattordici blank verses (pentametri giambici) disposti in tre quartine a rima alternata, chiuse da un distico a rima baciata (come nel sonetto 18 o nel sonetto 116 di William Shakespeare)