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"I promessi sposi", capitoli 22-23: riassunto e commento

Introduzione

Nei capitoli ventidue e ventitré dei Promessi sposi sono incentrati attorno alla figura del cardinale Federigo Borromeo (1564-1631), che sta svolgendo una visita pastorale nel paese dell’Innominato e che sarà fondamentale per la definitiva conversione del personaggio, che decide di liberare Lucia appena possibile. Manzoni dedica al cardinale un capitolo in cui ne ricostruisce la vita e le azioni mirabili, e poi nel successivo presenta l’incontro tra lui e l’Innominato, e successivamente il confronto tra il Borromeo e don Abbondio, che viene costretto a recarsi al castellaccio per prestare il proprio aiuto alla protagonista.

Capitolo XXII: l’agiografia del cardinale Borromeo

Il capitolo ventiduesimo dei Promessi sposi prosegue la narrazione dei capitoli precedenti, al cui centro c’è la figura dell’Innominato e la sua conversione, dopo il rapimento di Lucia e la crisi di coscienza per una vita di misfatti e delitti. All’alba, dopo aver udito il suono delle campane che annunciano l’arrivo del cardinale, l’Innominato si domanda se quest'ultimo potrà risolvere il suo tormento interiore:

"Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! E però ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. Ma nessuno, nessuno n'avrà uno come il mio; nessuno avrà passata una notte come la mia! Cos'ha quell'uomo, per render tanta gente allegra? [...] Oh se le avesse per me le parole che possono consolare! se...! Perché non vado anch'io? Perché no?... Anderò, anderò; e gli voglio parlare: a quattr'occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò? Ebbene, quello che, quello che... Sentirò cosa sa dir lui, quest'uomo!" 1.

Prima di uscire dal suo maniero, l’Innominato si preoccupa di Lucia, che sta ancora dormendo; egli dice alla vecchia serva che la sorveglia di annunciarle che sarà liberata presto. Nonostante la conversione in atto, l’Innominato non rinuncia alle vecchie abitudini; scendendo in paese, egli porta ancora con sé le armi (una pistola, la “terzetta”, un pugnale e la “carabina”). Il fatto che un personaggio del suo calibro e della sua storia si aggiri per le strade senza il solito seguito dei suoi “bravi” per vedere il cardinale suscita tuttavia la meraviglia di chiunque 2, finché il cappellano crocifero 3, con “una curiosità inquieta” 4, trasmette la cardinale la richiesta da parte dell’Innominato di avere un incontro personale.

A questo punto, Manzoni ritiene necessario sospendere la narrazione per formnire qualche informazione di carattere storica sul cardinale, dando inizio alla cosiddetto romanzo agiografico su Borromeo 5. Rispetto alle analessi dei capitoli precedenti su fra Cristoforo (capitolo quarto) e sulla monaca di Monza (capitoli nono  e decimo), qui Manzoni si occupa di una figura storicamente esistita 6, che diventa un modello di religiosità e di impegno civile.

Il discorso encomiastico di Manzoni (che dice al lettore avido di sapere come procede la storia di saltare pure questa parte) si affida al modello narrativo di Svetonio, suddividendo l’esistenza del cardinale nelle diverse età della vita, da cui si intuisce il suo carattere umile e santo, diametralmente opposto al gusto del Seicento:

La sua vita è come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume. Tra gli agi e le pompe, badò fin dalla puerizia a quelle parole d'annegazione e d'umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de' piaceri, all'ingiustizia dell'orgoglio, alla vera dignità e a' veri beni, che, sentite o non sentite ne' cuori, vengono trasmesse da una generazione all'altra, nel più elementare insegnamento della religione. 7.

Se quindi la “puerizia” di Federigo è all’insegna degli insegnamenti del catechismo, l’adolescenza trova nel cugino Carlo Borromeo (1538-1584), arcivescovo di Milano dal 1565 e già considerato santo in vita. Federigo, pur nobile ed agiato, non vuole però ripercorrere il costume del proprio tempo, ma impegnarsi caritatevolmente per gli altri, soprattutto se appartenenti ai ranghi più bassi della società, e diffondere la dottrina cristiana:

Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua utile e santa. [...] applicandosi assiduamente alle occupazioni che trovò prescritte, due altre ne assunse di sua volontà; e furono d'insegnar la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire, consolare e soccorrere gl'infermi 8.

Per Federigo, tanto più quando viene nominato arcivescovo nel 1595 da Clemente VIII, “la vita è il paragone delle parole” 9, nel senso che il suo cristianesimo (che diventa un modello anche per Manzoni stesso) deve sempre far seguire le opere alle parole e ai convincimenti di fede, soprattutto in relazione ai beni terreni e materiali 10. Questa scelta si realizza in alcune scelte concrete, che testimoniano l’intelligenza e la lungimiranza del cardinale; innanzitutto c’è la costituzione della Biblioteca Ambrosiana, importantissima istituzione culturale milanese che, per volontà di Federigo, dev’essere aperta al pubblico e non solo ad una cerchia ristretta di intellettuali, in modo da favorire la diffusione del sapere e della cultura:

Non domandate quali siano stati gli effetti di questa fondazione del Borromeo sulla coltura pubblica: sarebbe facile dimostrare in due frasi, al modo che si dimostra, che furon miracolosi, o che non furon niente; [...] Ma pensate che generoso, che giudizioso, che benevolo, che perseverante amatore del miglioramento umano, dovesse essere colui che volle una tal cosa, la volle in quella maniera, e l'eseguì, in mezzo a quell'ignorantaggine, a quell'inerzia, a quell'antipatia generale per ogni applicazione studiosa, e per conseguenza in mezzo ai cos'importa? e c'era altro da pensare? e che bell'invenzione! e mancava anche questa, e simili 11

La scelta controcorrente del cardinale, che anticipa l’Illuminismo e il primato del sapere, si trasmette anche al campo delle relazioni sociali; in un secolo che bada soprattutto alle apparenze e allo sfarzo del potere e in cui dettano legge i “galantuomini del ne quid nimis” 12, Federigo resta un esempio ammirabile di attività evangelica e di amore per la collettività. L’unica macchia del personaggio, che Manzoni ammette in chiusura di capitolo, è quella d’aver creduto ai pregiudizi del tempo contro streghe ed eretici (e poi contro gli untori durante il flagello della peste). Ma per il narratore indagare le cause profonde di tali errate convinzioni allontanerebbe troppo il lettore dal ”filo della storia” 13,c ui ora conviene ritornare.

Capitolo XXIII: il cardinale Borromeo e l’Innominato

Il capitolo ventitreesimo si apre allora con l’immagine del cappellano crocifero che annuncia al cardinale Borromeo la visita insolita dell’Innominato, sconsigliando di ricevere il bandito. Ma il Borromeo, consaepvole dei suoi doveri pastorali,  insiste perché lo si faccia entrare immediatamente al suo cospetto e, appena l’innominato mette piede nella stanza, gli va incontro a braccia aperte. Segue un dialogo in cui stanno di fronte la “smania inesplicabile” 14 dell’Innominato, che cerca delle risposte al suo desiderio di cambiare vita, e la “floridezza vriginale” 15 di Federigo, che ha per il suo peccatore parole di sostegno e di conforto. Quando infatti il cardinale intuisce i motivi della visita dell’ex tiranno, spiega a lui che il suo tormento è necessario proprio a trovare quel Dio che egli sta cercando:

“Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questo Dio?”
“Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l'ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v'opprime, che v'agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v'attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d'una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l'imploriate?” 16

La grandezza d’animo di Federigo prota così a compimento, quasi si trattasse di un miracolo, la definitiva conversione dell’Innominato, che riconosce i propri errori e chiede perdono a Dio per le sue colpe 17

A questo punto l’Innominato racconta delle scelleratezze compiute nei confronti di Lucia e afferma di volerla liberare immediatamente. Così il cardinale fa convocare don Abbondio perché vada a recuperare la sua parrocchiana data per smarrita, e poi ordina di condurre lì anche Agnese, la madre di Lucia. Il cardinale annuncia poi a tutti la conversione dell’Innominato.

Don Abbondio è dunque costretto, assai controvoglia, a recarsi al castello insieme all’Innominato per liberare Lucia. Non convinto della conversione del potente signore (proprio perché sprovvisto della fede autentica del cardinale Borromeo) don Abbondio teme per la propria incolumità e si lamenta tra sé e sé lungo tutto il tragitto contro tutti coloro (Don Rodrigo, l’Innominato, addirittura la sventurata Lucia) che gli rendono di continuo la vita inquieta. Arrivati al castello lIinnominato aiuta il prete a scendere da cavallo e insieme si dirigono verso la stanza dove è prigioniera Lucia.

1 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Milano, Principato, 1988, p. 474.

2 Ivi, p. 476: “Arrivato al paese, trovò una gran folla; ma il suo nome passò subito di bocca in bocca; e la folla s’apriva. [...] tutti lo guardaron con un’attenzione meravigliata e sospettosa”.

3 Nelle funzioni religiose, il cappellano crocifero è colui che ha il compito di portare la croce curante le processioni pubbliche; qui il personaggio svolge la funzione di segretario di Federigo Borromeo.

4 A. Manzoni, I promessi sposi, cit., p. 746.

5 La letteratura agiografica è quella che, di solito sotto forma di biografia, celebra la vita e i valori morali di santi o di figure considerate dei punti di riferimento e degli esempi da seguire

6 Federigo Borromeo era esponente di due delle più importanti famiglie milanesi (i Borromeo e i Trivulzio) e venne eletto cardinale nel 1587, diventando poi arcivescovo di Milano nel 1595. Viene ricordato soprattutto per l’impegno nei confronti della popolazione in occasione della peste del 1630 e per il sostegno alla cultura, con l’istituzione della Biblioteca Ambrosiana nel dicembre del 1609.

7 A. Manzoni, I promessi sposi, cit., pp. 477-478. Le immagini del ruscello e della roccia sono di origine biblica (Geremia, 18, 8), mentre simili osservazioni sugli insegnamenti della religione vengono sviluppati dall’autore nel suo trattato sulla Morale cattolica.

8 Ivi, p. 478.

9 Ivi, p. 480.

10 Ibidem: “In Federigo arcivescovo apparve uno studio singolare e continuo di non prender per sé, delle ricchezze, del tempo, delle cure, di tutto se stesso in somma, se non quanto fosse strettamente necessario”.

11 Ivi, p. 483.

12 Ivi, p. 484. Con questa espressione assai sarcastica Manzoni prende di mira l’atteggiamento egoista di chi non vuol fare nulla più del lecito (ne quid nimis in latino significa appunto “niente di troppo”), per non doversi impegnare per gli altri. Ne sarà un tipico esempio proprio Don Abbondio.

13 Ivi, p. 488.

14 Ivi, p. 495.

15 Ibidem.

16 Ivi, p. 497.

17 Ivi, pp. 498-500: “La faccia del suo ascoltatore, di stravolta e convulsa, si fece da principio attonita e intenta; poi si compose a una commozione più profonda e meno angosciosa; i suoi occhi, che dall'infanzia più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono; quando le parole furon cessate, si coprì il viso con le mani, e diede in un dirotto pianto, che fu come l'ultima e più chiara risposta. [...] «Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure...! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!»”.