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"Adelchi" di Manzoni: il coro dell'atto quarto e la morte di Ermengarda

Lettura e analisi del coro dell'atto IV dell'Adelchi di Alessandro Manzoni, a cura di Alessandro Mazzini.
 
Il coro dell'atto IV si struttura su un incrocio di piani temporali tra presente, passato prossimo e passato remoto. Ad ognuno di essi corrisponde un tema specifico: al presente l'attuazione del concetto di "provvida sventura" (liberazione dal dolore di Ermengarda), al passato prossimo l'analisi sull'impossibilità dell'oblio, al passato remoto il momento della felicità legata all'amore (ingannevole e impossibile). Attraverso questi diversi momenti, si sviluppa una delle riflessioni più profonde presenti nell'Adelchi. L'inizio del brano è collegato alla scena precedente nel convento; dopo un paio di strofe, il coro si rivolge verso Ermengarda per esortarla a liberarsi dalle passioni terrene (i "terrestri ardori"). Comincia qui un gioco di rimandi al componimento Cinque Maggio e alla figura di Napoleone, che si dipana nel corso dell'intero coro. La tragedia ne condivide, infatti, insieme alla struttura metrica, l'importanza attribuita al peso del ricordo e alla purificazione concessa dalla sofferenza: "Tal della mesta, immobile | Er quaggiuso il fato: | Sempre un obblio di chiedere | Che le saria negato; | E al Dio de' santi ascendere | Santa del suo patir".
Due similitudini vengono scelte da Manzoni, nelle due opere, per illustrare le sofferenze interiori: nel Cinque Maggio l'immagine del naufrago travolto dall'onda dei ricordi, nell'Adelchi il sole dell'amore che riarde gli steli appena rifioriti dalla rugiada dell'alba. Da tale prigione, Ermengarda non può che fuggire con la morte. Ella si qualifica come l'offerta pura, che compensa impurità della sua stirpe e contro-bilancia il male perpetrato dai protagonisti della storia: è, come Adelchi, una "figura Christi".
 
Alessandro Mazzini è professore di Greco e Latino presso il Liceo Classico Manzoni. Si è laureato in Letteratura Greca con il professore Dario Del Corno presso L'Università degli Studi di Milano. Ha collaborato con riviste di divulgazione culturale e ha insegnato per 10 anni Lingua e Letteratura Italiana e Lingua e Letteratura Greca presso il Liceo della Scuola Svizzera di Milano. Dal 2001 è ordinario di Italiano e Latino nei Licei e dal 2003 ordinario di Greco e Latino al Liceo Classico.
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ll coro dell'atto IV si struttura su un incrocio di piani temporali, tra presente, passato recente e passato remoto, che costituiscono la trama attraverso la quale si sviluppa una delle riflessioni più profonde contenute nella tragedia di Adelchi. In effetti ai piani temporali che si incrociano corrispondono temi specifici: il presente vede l'attuazione del concetto di "provvida sventura", e quindi la liberazione dal dolore di Ermengarda, il passato prossimo vede l'analisi sull'impossibilità dell'oblio che vive Ermengarda, il passato remoto inquadra il momento della felicità per Ermengarda che essendo una felicità legata all'amore mondano, terreno è una felicità ingannevole ed impossibile. L’inizio del coro si ricollega con la scena precedente nel convento, dove appunto soffre il proprio dolore dell’abbandono Ermengarda, e dopo due strofe, alla terza, il coro si rivolge ad Ermengarda con l'esortazione a liberarsi dall’ansietà dovuta ai "terrestri ardori", cioè legata alle passioni terrene. In effetti comincia dalla terza strofa un gioco di rimandi che si dipana nel corso del coro al Cinque Maggio e alla figura di Napoleone. In effetti i due testi hanno, come si è già avuto modo di osservare, la stessa struttura metrica, ma non è l’unica similitudine tra i due. In effetti in entrambi i testi vale il tema del peso del ricordo. In entrambi i testi infatti si hanno due flashback, uno per ognuno, in cui da una parte Napoleone ricorda la grandezza passata ed è schiantato dal peso del suo fallimento, mentre Ermengarda ricorda la felicità perduta nel suo rapporto d’amore con Carlo ed è schiacciata dal peso di quel ricordo di cui non riesce a liberarsi. Quindi per entrambi il ricordo si configura come l’inganno, come la consapevolezza dell’inganno, come la consapevolezza della fallacia dell’avvenire e si profila come la via per essere consapevole della menzogna delle speranze umane, se queste vengono riposte in ciò che è umano, nel caso di Napoleone la speranza della gloria, nel caso di Ermengarda il tema dell’amore. Per entrambe le figure infatti solo il dolore redime, nell’ottica di un sublime e misterioso disegno, che è un disegno di misericordia da parte di Dio che nel mistero della sua volontà lega la purificazione al dolore, secondo una vicenda di mistero per cui la sventura si rivela provvida, espressione provvidenziale, così come il Dio che appariva nel Cinque maggio era il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, proprio come fa appunto con Ermengarda. Ermengarda infatti è rappresentata alla quarta strofa come condannata, come prigioniera dei suoi ricordi e della su pena: "Tal della mesta, immobile er quaggiuso il fato: sempre un obblio di chiedere che le saria negato; e al Dio de' santi ascendere Santa del suo patir", cioè santificata, purificata dalla sua sofferenza. Perchè questo tema della purificazione? E’ il tema che affronta verso la fine del coro e che esplicita Manzoni. Intanto, dopo la strofa che abbiamo appena letto, abbiamo il tema del ricordo, con immagini molto sensuali, immagini molto vivide, ricorda la caccia del sovrano, ricorda il bagno del sovrano e questo coro si costruisce come una delle poche pagine in cui Manzoni affronta da vicino e pienamente il tema dell’amore. Ebbene, dopo i ricordi che la assalgono e la vincono, ecco una bellissima ed articolata similitudine che si colloca a partire dal verso 61 in cui il sole che torna e che riarde i fiori che l’alba aveva fatto riprendere è appunto emblema, immagine, con una forte valenza analogica, secondo quel linguaggio già eleborato negli Inni sacri, è immagine analogica della potenza dell’amore. Ed in effetti anche questo è un aspetto che si ricollega con il Cinque maggio. Per entrambi i testi infatti due similitudini servivano per illustrare le sofferenze interiori: quella del naufrago travolto dall’onda dei ricordi nel Cinque maggio e quella del sole dell'amore che riarde gli steli appena rifioriti dalla rugiada dell'alba. Da questa prigione, Ermengarda non può che uscire con la morte, dopo essersi purificata dal dolore. Ma qui andiamo appunto al tema centrale: perchè questo bisogno di purificazione? E’ interessante il passaggio argomentativo che si colloca all’altezza le verso 89 dove si dice: “Nel suol che dee la tenera tua spoglia ricoprir, altre infelici dormono, che il duol consunse; orbate spose dal brando, e vergini indarno fidanzate; madri che i nati videro trafitti impallidir. Te, dalla rea progenie degli oppressor discesa, cui fu prodezza il numero, cui fu ragion l'offesa, e dritto il sangue, e gloria Il non aver pietà, te collocò la provida Sventura in fra gli oppressi: muori compianta e placida; scendi a dormir con essi: alle incolpate ceneri nessuno insulterà.”
E’ rilevante il passaggio argomentativo che poi introduce il tema della provvida sventura, perchè la provvida sventura sembra far apparire Ermengarda come la vittima innocente che deve espiare il male che ha prodotto la rea progenie degli oppressor. Quindi Ermengarda scende nel suolo dove riposano altre donne infelici ed infelici per il dolore arrecato dalla guerra che è il presupposto della dinamica oppressi-oppressori. Ermengarda quindi si qualifica come l'offerta pura, che compensa l'impurità della sua stirpe e contro-bilancia il male perpetrato dai protagonisti della storia. Ermengarda quindi è una tipica "figura Christi", come Adelchi. La conclusione, appunto, è una conclusione che si apre alla speranza, quella speranza che si può però trovare solo fuori dalla storia: come era stato per Napoleone, così è per Ermengarda.