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Feuerbach e la critica alla religione

Ludwig Feuerbach, tra i principali esponenti della sinistra hegeliana, nasce il 28 luglio del 1804 a Landshut (Baviera) in una famiglia borghese di tradizione protestante. Compiuto il proprio percorso formativo prima al ginnasio e poi alla facoltà di Teologia di Heidelberg, ma Ludwig segue anche i corsi berlinesi di Hegel, per cui inizialmente nutre una vera e propria venerazione, tanto da inviargli in lettura la dissertazione di laurea. Gli interessi feuerbachiani in questo periodo si orientano così dagli studi religiosi, cui è stato avviato dall’ambiente familiare, a quelli filosofici: già nel 1830, conseguita la licenza all’insegnamento due anni prima, Feuerbach pubblica i Pensieri sulla morte e l’immortalità, dove sostiene il rifiuto di qualsiasi tipo di trascendenza religiosa e la mortalità dell’anima. Gli studi di questi anni (una storia della filosofia, un saggio su Leibniz e i materiali per le proprie lezioni) preparano il primo grande saggio del filosofo, Per la critica della filosofia hegeliana (1837), dove Feuerbach critica il principio di assolutezza su cui si fonda il pensiero hegeliano; la dialettica di Hegel disconoscerebbe, nel suo disegno idealistico, la sensibilità umana, che è invece il vero punto di partenza dell’attività del pensiero.

 

Questa svolta prosegue ne L’essenza del Cristianesimo del 1841, opera che pone Feuerbach alla guida del movimento dei giovani hegeliani, e gli attira anche le simpatie dei movimenti radicali tedeschi: la polemica contro il tentativo hegeliano di sintetizzare religione e filosofia (come nell’Enciclopedia della scienze filosofiche o nei Lineamenti di filosofia del diritto) apre la strada alla dimostrazione del carattere illusorio della fede, che proietta su Dio un “discorso” che in realtà è sull’uomo stesso. La teologia va quindi di pari passo con l’antropologia, anche se Feuerbach non nega una “verità” alla religione, e cioè quella di una prima, seppur incompleta, forma di autocoscienza del soggetto. L’ateismo non è quindi una negazione di Dio, ma la presa di coscienza della secolarizzazione in corso nella società contemporanea; tra 1842 e 1843 le Tesi preliminari per la riforma della filosofia e i Principi della filosofia dell’avvenire spiegano che è necessario capovolgere l’hegelismo (niente più che una “teologia mascherata”), ponendo il suo soggetto (cioè, Dio o il Logos) come nuovo predicato, e ciò che era il predicato (l’essere) come nuovo soggetto. La critica di Feuerbach rivendica la necessità per la ricerca filosofica di prendere le mosse dal particolare, dal concreto e dal sensibile dell’intuizione: anche la spiritualità umana dovrà essere trattata secondo questa prospettiva umanistica e naturalistica.

 

Nel 1845, L’essenza della religione ribadisce il carattere alienato della religione tradizionale, collegandolo al “sentimento di dipendenza” dell’uomo verso la natura: la spinta all’emancipazione dev’essere quindi perseguita recuperando un rapporto armonico con il mondo attorno a noi, secondo una prospettiva materialistica che, negli ultimi lavori (come la Presentazione alla Teoria dell’alimentazione di Moleschott), avvicinano Feuerbach al nascente Positivismo. Prima di spegnersi nel 1872, l’ultimo grande studio, ancora sulla religione, è la Teogonia secondo le fonti dell'antichità classica, ebraica e cristiana, dove Feuerbach, sulla scorta di studi dell’antichità classica e paleocristiana, vede una contrapposizione tra i bisogni dell’uomo, dovuti alla sua natura limitata, e i desideri che lo animano e lo fanno tendere verso l’infinito. Obiettivo critico è ancora la religione cristiana: l’amore del credente, mascherato come tensione verso il prossimo, è in realtà una pulsione egoistica per guadagnarsi la beatitudine eterna, collocata nell’aldilà.