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La corrente elettrica e la carica elettrica

La carica elettrica è una grandezza fisica scalare, dotata di segno, che indica una proprietà della materia.

L’esistenza dei fenomeni elettrici era nota sin dall’antichità. Probabilmente il primo scienziato che se ne occupò fu Talete di Mileto, nel settimo secolo avanti Cristo, il quale studiò alcune proprietà dell’ambra: l’ambra, in greco antico, si dice proprio elektron, da cui il nome elettricità.

I primi studi rigorosi dell’elettricità risalgono al 1600, e rendono conto dei seguenti fenomeni: alcuni corpi, come il vetro e l’ambra, se strofinati con lana o seta e successivamente avvicinati, si attraggono o si respingono. Più precisamente, bacchette dello stesso materiale (vetro o ambra) si respingono, mentre bacchette di materiale diverso si attraggono. Questo portò alla convinzione che nei corpi potessero svilupparsi, mediante sfregamento, due fluidi, detti di tipo “vetroso” o “resinoso”, e che fluidi della stessa specie si respingessero, mentre fluidi di specie diversa si attraessero. Successivamente, questa teoria venne abbandonata in favore dell’idea che esistesse un unico fluido, il quale poteva presentarsi in eccesso o in scarsità, e che conseguentemente inducesse uno stato elettrico nel corpo, positivo se esso era in eccesso, negativo se invece il fluido veniva a mancare. Da qui l’idea che la carica elettrica fosse unica, ma dotata di un segno.

Oggi sappiamo che questa teoria è scorretta, ma rende perfettamente conto di quello che effettivamente accade. La carica elettrica è portata da minuscoli corpi, detti elettroni: queste particelle, assieme a protoni (anch’essi carichi) e neutroni (privi di carica elettrica), costituiscono gli atomi, enti fondamentali della materia. All’elettrone si attribuisce, per convenzione, carica elettrica negativa, indicata con $-e$, mentre al protone carica positiva $+e$. Neutroni e protoni, legati assieme, costituiscono il nucleo dell’atomo, mentre gli elettroni orbitano attorno al nucleo.



Ogni singolo atomo è elettricamente neutro: il numero di protoni e il numero di elettroni si equivale, e quindi la carica netta di ogni singolo atomo è $0$; ma in alcuni casi è possibile aggiungere o togliere uno o più elettroni a un atomo: se strappiamo all’atomo un po’ di elettroni, questo avrà un eccesso di protoni e sarà quindi carico positivamente (si parla di ione positivo), mentre se aggiungiamo degli elettroni l’atomo risulterà carico negativamente (e viene quindi detto ione negativo). Se sottraiamo o aggiungiamo un grande numero di elettroni a un corpo materiale esteso, esso verrà conseguentemente caricato elettricamente, e verrà detto quindi corpo carico. La carica elettrica viene solitamente indicata in fisica con la lettera $q$ o $Q$, preceduta da un segno $+$ o $-$.

Alcuni corpi sono facili da caricare e tendono a mantenere la carica acquisita: per questo motivo sono detti corpi isolanti. Altri materiati invece, non appena acquistano carica elettrica, tendono subito a cederla: per motivi che saranno più chiari in seguito, questi corpi sono detti conduttori. Isolanti e conduttori elettrici (o meglio, cattivi e buoni conduttori) sono spesso, rispettivamente, anche isolanti o conduttori termici.

Il metodo più comune per caricare un corpo di carica elettrica è il cosidetto strofinio. Strofinando due corpi, si genera un passaggio di un certo numero di elettroni da un corpo all’altro (il verso e l’entità di questo passaggio dipende dai corpi in questione). Molto facili da caricare per strofinio sono gli isolanti, come l’ambra o il vetro: proprio grazie a questo metodo sono stati condotti i primi esperimenti sulla carica elettrica. È molto facile riprodurre il caricamento per strofinio: basta strofinare una penna di plastica, passare un pettine tra i capelli, sfilarsi un maglione di lana.

Un altro metodo con cui si può caricare un corpo consiste nel porlo a contatto con un corpo elettricamente carico. I materiali, posti a contatto con un corpo carico, acquistano parte della sua carica elettrica, di modo che, dopo l’avvenuto trasferimento di carica, la carica totale sia equipartita tra i due corpi.

Vi è un ulteriore sistema per caricare un corpo: a differenza dei due precedenti, funziona senza bisogno di contatto o di un mezzo. Supponiamo di avere un corpo $A$ carico, di carica positiva $+Q$ (ma l’esperimento può essere ripetuto anche invertendo il segno della carica), e di avvicinarlo, senza contatto, ad un corpo $B$ elettricamente neutro. Sulla superficie di questo corpo $B$, la carica elettrica negativa, portata da elettroni liberi di muoversi, si sposterà nella regione più vicina alla carica positiva, attratta dalla carica del corpo $A$, creando lì un eccesso di carica negativa: questo eccesso viene indotto dalla carica $+Q$, e per questo motivo questo metodo di carica viene detto induzione elettrica. Essendo il corpo $B$ elettricamente neutro, questo eccesso di carica negativa deve essere controbilanciato da un eccesso di carica positiva, che viene a crearsi nella regione opposta a quella con sovrabbondanza di elettroni. Ora, mantenendo i due corpi in prossimità l’uno dell’altro, colleghiamo il corpo $B$ (attraverso un filo di materiale conduttore) con la Terra: l’eccesso di carica positiva attirerà elettroni dalla Terra, neutralizzandosi nel processo. Infine, sempre mantenendo i due corpi vicini, scolleghiamo il corpo $B$ dalla Terra: su di esso rimarrà un eccesso di carica negativa.

Indipendentemente dal metodo con cui viene creata all’interno di un corpo, si nota tuttavia una caratteristica fondamentale di tutte le esperienze riguardanti la carica elettrica: la “creazione” di una carica elettrica è sempre accompagnato dalla “creazione” di una carica uguale in modulo, ma di segno opposto. È evidente quindi che la carica elettrica non si “crea” : in un corpo si possono trasferire, in un verso o nell’altro, elettroni (portatori di carica), ma essi vengono sempre trasferiti verso o da un altro corpo; il numero complessivo di elettroni, e quindi l’entità della carica elettrica, prima e dopo il caricamento elettrico di un corpo, è la stessa, ma semplicemente accumulata e distribuita in regioni o punti differenti dei corpi coinvolti nel processo di caricamento.

Questa semplice constatazione porta all’ipotesi generale della conservazione della carica elettrica, in base al quale la quantità di carica elettrica negativa e positiva nell’universo rimane costante nel tempo.

Come abbiamo accennato in principio, corpi elettricamente carichi interagiscono tra loro, attraendosi o respingendosi a seconda dei segni delle cariche elettriche che posseggono: cariche di segno concorde si respingono, mentre cariche di segno opposto si attraggono. Lo studio quantitativo, oltre che qualitativo, di questa interazione, che prende il nome di forza elettrostatica, culminò verso il 1785, ad opera dello scienziato francese Charles-Augustin de Coulomb: per questo motivo, si chiama anche forza di Coulomb. Essa asserisce che due corpi elettricamente carichi si attraggono o si respingono con una forza di intensità direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa. Si presti attenzione al fatto che, nel momento in cui un corpo carico esercita una forza su un altro corpo carico, esso reagirà, secondo il principio di azione-reazione, con una forza uguale in modulo e direzione, ma contraria in verso. Supponiamo che le cariche possedute dai due corpi siano $q_1$ e $q_2$, e che essi si trovino separati da una distanza $r$: possiamo dunque riassumere queste informazioni mediante la formula$$ F = K_0 \frac{q_1\ q_2}{r^2}$$

La costante di proporzionalità $K_0$ che compare nella formula precedente prende il nome di costante di Coulomb, e il suo valore presuppone che i due corpi carichi interagiscano tra loro nel vuoto. Spesso tuttavia, non si utilizza questa costante, ma si preferisce sostituire l’espressione precedente con la seguente:$$ F = \frac{1}{4 \pi \varepsilon_0}\frac{q_1 \ q_2}{r^2}$$In questa formula, la lettera $\varepsilon_0$ rappresenta la costante dielettrica del vuoto. Le ragioni di questa preferenza sono da ricercarsi nella maggiore facilità che essa comporta in alcuni calcoli (ad esempio, nel teorema di Gauss per il flusso del campo elettrico).

Abbiamo accennato al fatto che i portatori della carica elettrica sono gli elettroni. Abbiamo inoltre sottolineato la differenza, operativa, tra materiali conduttori e materiali isolanti. Ora ci apprestiamo a spiegare microscopicamente il collegamento tra questi due fenomeni.

I materiali conduttori differiscono dai materiali isolanti per la presenza di alcuni elettroni, detti elettroni di conduzione, i quali, posti negli strati più esterni dei singoli atomi, sono soggetti ad energie di legame atomico molto deboli, che permettono loro una certa libertà di movimento all’interno del materiale: è come se atomi vicini, per raggiungere l’equilibrio elettrico, si “prestassero” elettroni. Dovendo questo equilibrio venire costantemente mantenuto, questi elettroni parzialmente liberi non si muovono in una direzione ben precisa, ma sembrano vagare caoticamente all’interno di una materiale dotato di carica complessiva neutra.



Ora però perturbiamo questa neutralità elettrica, per esempio avvicinando al conduttore un corpo carico, immergendolo in un campo elettrico o creando differenza di potenziale alle sue estremità. Gli elettroni di conduzione, in quanto carichi, saranno soggetti alla forza di Coulomb, dovuta a cariche estrene, o alla forza dovuta al campo elettrico o differenza di potenziale: inizieranno a muoversi, pur mantenendo un moto complessivamente caotico, in una direzione ben precisa con una certa velocità.

Va precisato che non è questo moto di elettroni di conduzione a indurre la carica elettrica: i fenomeni di induzione elettrica avvengono in tempi brevissimi, quasi istantanei, mentre gli elettroni di conduzione si muovono mediamente con velocità di circa $10^{-3} \text{ m} / \text{s}$. Ma sono questi elettroni a comportare la caratteristica fondamentale di un conduttore di poter trasferire carica elettrica: senza di essi non sarebbe possibile spostare eccessi di carica da una sezione all’altra di un materiale.

Il moto ordinato (nel senso di avente una direzione e un verso preciso) di carica elettrica prende il nome di corrente elettrica. L’intensità di questo flusso di carica si dice per l’appunto intensità di corrente elettrica, indicata dalla lettera $i$: se in un intervallo di tempo di durata $\Delta t$ si verifica, all’interno di un conduttore, un passaggio di una quantità $\Delta q$ di carica, allora l’intensità della corrente elettrica è data dal rapporto tra la quantità di carica fluita e il tempo da essa impiegato per attraversare una sezione di conduttore:$$ i = \frac{\Delta q}{\Delta t}$$L’entità della corrente elettrica all’interno di un conduttore è determinata dalle leggi di Ohm. L’unità di misura della corrente elettrica nel sistema internazionale è l’ampere, nome dovuto allo scienziato francese André-Marie Ampère, il quale diede fondamentali contributi alla comprensione dei fenomeni elettrici e magnetici. L’ampere si indica con la lettera $\text{A}$, ed è possibile definirlo operativamente mediante un esperimento (così fece Ampère stesso): si tratta di un’unità fondamentale de sistema internazionale. Da esso e dalla definizione di corrente elettrica si può risalire all’unità di misura della carica elettrica (che quindi risulta essere un’unità derivata): questa è il coulomb, indicato dalla lettera $\text{C}$. Una carica di un coulomb è la quantità di carica trasportata da una corrente di intensità di un ampere in un secondo: $1 \text{ C } = 1 \text{ A} \cdot 1 \text{ s}$. Espressa in coulomb, la carica elementare dell’elettrone vale circa $ -e = -1.6021 \cdot 10^{-19} \text{ C}$. Con queste unità di misura, la costante di Coulomb vale $K_0 = 8.9876 \cdot 10^{9} \text{ N m}^2 / \text{C}^2$, mentre la costante dielettrica del vuoto vale $\varepsilon_0 = \frac{1}{4 \pi K_0} = 8.854 \cdot 10^{-12} \text{ C}^2 / \text{N m}^2$.

Crediti immagine: Svdmolen / Jeanot https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Atom.svg