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"La tregua" di Primo Levi: riassunto e analisi dell'opera

Introduzione

 

La tregua è un romanzo di Primo Levi composto tra il 1961 e il 1962 (anche se alcune pagine erano già state scritte nel biennio 1947-1948) e pubblicato nel 1963. L’opera è la prosecuzione delle vicende narrate in Se questo è un uomo e descrive il rientro a casa del protagonista dopo la liberazione di Auschwitz, nel gennaio del 1945, fino all’ottobre dello stesso anno, in un viaggio dalla Polonia alla Bielorussia, dalla Romania all’Austria e fino a Torino. L’atmosfera generale è quella della liberazione dall’incubo nazista e, al tempo stesso, della sospensione del proprio destino (di “tregua”, appunto) in attesa di ricominciare una vita “normale”.

La tregua è suddivisa in diciassette capitoli ed è preceduta - come Se questo è un uomo con Shemà - da un testo in versi che introduce i temi principali del libro.

 

Trama

 

L’itinerario di Levi verso casa è assai lungo e frammentato: dalla Polonia del sud, dove si trova il campo di Auschwitz, il protagonista è condotto dalle truppe dell’Armata Rossa prima in Ucraina e poi in Bielorussia. Da qui inizia la discesa verso la Romania e poi il transito verso l’Austria, attraverso Ungheria e Slovacchia. Una volta passato per Monaco di Baviera, Levi raggiunge Verona e, da lì, la città natale di Torino. Il viaggio inizia alla fine di febbraio del 1945 e si conclude nel capoluogo piemontese il 19 febbraio.

Il primo capitolo (Il disgelo, scritto tra 1947 e il 1948) descrive l’arrivo della prima pattuglia russa al campo di Auschwitz metre Levi e l’amico Charles stanno seppellendo il cadavere di un compagno morto, Sómogyi. In un’atmosfera di attesa e di stasi, Levi si ammala di scarlattina (capitolo secondo, Il Campo Grande, anch’esso databile al 1947-1948) ed è ricoverato all’interno del campo stesso, dove ora del personale polacco sta riorganizzando le baracche. Qui Levi conosce il giovane prigioniero Henek, che gli racconta della morte di Hurbinek, un bambino deforme di tre anni, nato ad Auschwitz, e Olga, una partigiana slovena che lo mette al corrente della morte di molti compagni del Lager.

Il terzo capitolo, Il greco, è successivo alla vera e propria liberazione del campo: Levi, scampato alla precettazione di un ex Kapo, si sposta verso Cracovia e poi a Katowice in compagnia di un personaggio memorabile, il greco Mordo Nahum, che, durante una giornata trascorsa con Primo, consegna al protagonista la massima per cui “guerra è sempre”. Mordo e Levi si separeranno, per poi incontrarsi successivamente nel corso dell’esodo. Nel capitolo seguente, Katowice, Levi si fa assumere all’infermeria del campo di Bogucice, dove conosce Galina (una giovane polacca che gli fa da interprete sul lavoro) e ritrova Cesare, con cui aveva diviso le sofferenze ad Auschwitz e che ora è impegnato in traffici al mercato (capitolo quinto, Cesare). L’otto maggio 1945 viene proclamata la fine delle ostilità (capitolo sesto, Victory Day) e tutta la città è in festa: Levi, durante una partita di calcio, si ammala di pleurite ed è nuovamente ricoverato.

Nel settimo capitolo, I sognatori, Levi descrive la propria guarigione grazie all’impegno del suo amico medico Leonardo e dal dottor Gottlieb; segue poi una carrellata su alcuni personaggi (i “sognatori”, appunto) che popolano la camerata e della loro tendenza a raccontare storie, spesso completamente inventate, sulla loro vita. Giunge poi la notizia (capitolo otto, Verso sud) che tutti i prigionieri italiani verranno condotti ad Odessa per le procedure del rimpatrio in Italia, sotto il comando del dottor Gottlieb: Levi e Cesare festeggiano la notizia a Katowice. Tuttavia, il treno del protagonista deve arrestarsi a Zmerinka per l’interruzione della linea ferroviaria e poi ripartire, insieme con altri deportati italiani, in direzione nord (capitolo nove, Verso nord). In Bielorussia, in attesa di notizie certe sul prosieguo del viaggio, Primo ritrova Mordo Nahum. Nel capitolo dieci (Una curizetta) gli italiani devono spostarsi a piedi nel villaggio di Staryje Doroghi: durante il tragitto, riescono a barattare i loro piatti con una gallina (kúritza, in russo), dopo che Cesare ha provato a farsi capire da una vecchia contadina russa imitando il verso dell’animale. I protagonisti raggiungono Staryje Doroghi grazie al passaggio di un carro, pagando otto rubli; una volta in paese, soggiorneranno presso il centro di raccolta dei profughi della “Casa rossa” (capitolo undici, Vecchie strade). Qui Levi trascorre quasi due mesi, durante i quali descrive (capitolo dodicesimo, Il bosco e la via) la vita del paese e qualche episodio rilevante, come la macellazione di alcuni cavalli dell’esercito (che permette al protagonista di mangiare finalmente carne dopo moltissimi mesi), i trucchi di Cesare per procurarsi cibo e denaro, l’incontro con un soldato russo che insegna a Primo qualche elementare termine della sua lingua.

Nel tredicesimo capitolo (Vacanza) il protagonista ritrova Flora, una donna ebrea che ad Auschwitz più volte gli aveva procurato del cibo. Sempre in questo periodo, la vita alla “Casa rossa” è allietata dalla proiezione di alcuni film, che suscitano l’entusiasmo di Levi e dei compagni. Questi ultimi (capitolo quattordicesimo, Teatro) organizzano anche una rappresentazione teatrale per tutti i rifugiati alal “Casa rossa”; in seguito, le autorità russe comunicano che tutti i reduci italiani saranno presto rimpatriati. Inizia così il nuovo viaggio verso sud (capitolo quindicesimo, Da Staryje Doroghi a Iasi) durante il quale Levi ritrova Galina. Il viaggio verso occidente (capitolo sedicesimo, Da Iasi alla linea) descrive il difficoltoso attraversamento della Romania (qui Cesare abbandona la compagnia per rientrare a Roma per via aerea), dell’Ungheria e dell’Austria: a Linz, Levi e gli altri reduci passano sotto la tutela americana. L’ultimo capitolo (Risveglio) narra le ultime tappe del viaggio: da Monaco, dove Levi scopre d’essere tra i pochissimi sopravvissuti di quanti dall’Italia erano partiti per il lager, fino a Torino. Qui l’apparente pace e la serenità familiare, in un’atmosfera onirica, sono sempre attraversati dal ricordo lacerante del campo di sterminio:

È un sogno entro un altro sogno, vario nei particolari, unico nella sostanza. Sono a tavola con la famiglia, o con amici, o al lavoro, o in una campagna verde: in un ambiente insomma placido e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena; eppure provo un’angoscia sottile e profonda, la sensazione definita di una minaccia che incombe. E infatti, al procedere del sogno, a poco a poco o brutalmente, ogni volta tutto cade e si disfa intorno a me, lo scenario, le pareti, le persone, e l’angoscia si fa più intensa e più precisa. Tutto è ora volto in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all’infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno: la famiglia, la natura in fiore, la casa. Ora questo sogno interno, il sogno di pace, è finito, e nel sogno esterno, che prosegue gelido, odo risuonare una voce, ben nota: una sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa. È il comando dell’alba in Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa: alzarsi, “Wstawać”.

 

Commento

 

Se questo è un uomo e La tregua mostrano una forte continuità tematica e narrativa che affonda le sue radici nel processo stesso di composizione delle due opere. Se, come affermato da Levi stesso, il libro del 1947 nasce da un urgente bisogno di racconto e di testimonianza, anche la Tregua condivide in parte questa necessità, tanto che i primi appunti e i primi capitoli del libro sono stati composti proprio nell’immediatezza del ritorno a casa, mentre Levi sta completando i capitoli del suo libro più noto e conosciuto. Tuttavia, per altro verso, La tregua si distanzia da Se questo è un uomo: se in quest’opera prevale la rappresentazione della perversa esperienza del campo di sterminio, ne La tregua i sentimenti del protagonista sono ambivalenti: da un lato, il senso della libertà riacquisita e dell’attesa del rientro a casa; dall’altro, l’angoscioso ricordo dei dolori e delle sofferenze del lager, accompagnati dall’acuta percezione che, nonostante tutto, è impossibile tornare ad una vita davvero “normale”.

Il brano che meglio rappresenta la condizione di scissione del “reduce” Levi è proprio la poesia che Levi pone ad incipit del proprio testo e che riporta in calce - come indizio della continuità tra Se questo è un uomo e La tregua - la data dell’11 gennaio 1946, ovvero un giorno dopo quella che compariva in Shemà:

  1. Sognavamo nelle notti feroci
  2. sogni densi e violenti
  3. sognati con anima e corpo 1:
  4. tornare; mangiare; raccontare 2.
  5. Finché suonava breve sommesso
  6. Il comando dell’alba 3;
  7. “Wstawać” 4;
  8. E si spezzava in petto il cuore.
  9. Ora abbiamo ritrovato la casa,
  10. il nostro ventre è sazio.
  11. Abbiamo finito di raccontare 5
  12. È tempo.
  13. Presto udremo ancora
  14. Il comando straniero:
  15. “Wstawać”.
  1.  

 

Questa lirica, quasi come Shemà, ha la funzione di fornire al lettore una modalità di lettura del testo: la condizione esistenziale di Levi è appunto quella del reduce, che vive una “tregua” provvisoria nella tragedia della vita. Si tratta insomma della prospettiva dei "salvati", ovvero di coloro che, anche scendendo a compromessi con le regole del campo, pensate per uccidere e sterminare i reclusi, hanno avuto salva la propria vita, e scontano la pena di essere sopravvissuti a tanti compagni morti. La liberazione del campo di Auschwitz non è e non può essere per Levi la conquista della vera libertà: l'orrore della reclusione nei campi di sterminio, il ricordo della fame e delle umiliazioni, continueranno a fare capolino nei sogni di Levi e degli altri superstiti. Come egli stesso spiega, nell’ultimo capitolo del libro:

Ritrovai gli amici pieni di vita, il calore della vita sicura, la concretezza del lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare. Ritrovai un letto largo e pulito, che a sera (attimo di terrore) cedette morbido sotto il mio peso. Ma solo dopo molti mesi svanì in me l’abitudine di camminare con lo sguardo fisso al suolo, come per cercarvi qualcosa da mangiare o da intascare presto e vendere per pane; e non ha cessato di visitarmi, ad intervalli ora fitti, ora radi, un sogno pieno di spavento.

La tregua è solo temporanea: anche una volta tornati a casa, l’ordine “Wstawac” incombe sempre nel ricordo degli ex internati. Nonostante tutto, lo scrittore-chimico riesce comunque a trasmettere un messaggio di vita ai suoi lettori attraverso le pagine de La tregua. La dimensione del viaggio, assente in Se questo è un uomo, e il lungo pellegrinaggio per l’Europa orientale dopo la liberazione di Auschwitz danno modo a Levi di confrontarsi con un variegato insieme di figure umane (Galina, Mordo Nahum, Cesare, i soldati russi), che contribuiscono al tono avventuroso e “picaresco” di molti episodi del libro, di cui il protagonista è un attento osservatore. Pur nella drammaticità della guerra, non mancano così accenti comici (come nella scena della gallina nel capitolo decimo) che fanno da contraltare alla vicenda tragica della guerra e del “campo”.

1 La dimensione onirica è centrale ne La tregua e in gran parte dell’opera di Levi: è infatti una chiara metafora della condizione umana del Lager che, in un contesto infernale, può solo sognare una vita felice e serena. Per altro verso, il sogno è invece il simbolo dell’illusione umana (come si vede anche dalle ultime righe del romanzo): quella del ritorno a casa e ad una vita “normale” non può infatti che essere una fugace visione destinata a svanire nel momento in cui si sente la voce di comando che invita i prigionieri ad alzarsi.

2 tornare; mangiare; raccontare: come si vede, le necessità dell’internato non sono solo quelle “fisiche” del ritorno a casa e del sostentamento fisico ma anche quella di condividere l’orrore che si è vissuto, provando a raccontarlo.

3 il comadno dell’alba: l’immagine dell’alba ritorna spesso in Levi, tanto che la ritroviamo anche in Se questo è un uomo, e ad essa si associa spesso una carica di tensione emotiva: l’alba da reclusi nei campi di sterminio non è certo un risveglio che guarda alla vita ma diventa, nella prospettiva allucinata del reduce, una convocazione al cospetto della morte.

4 Wstawać: voce in polacco che significa “alzarsi!”; è il comando che accompagnava ogni risveglio di Levi nelle baracche di Monowitz, e cioè il campo di lavoro che costituiva, con quello di sterminio di Birkenau, il complesso di Auschwitz.

5 La seconda parte della poesia è speculare alla prima: apparentemente, tutte le necessità dell’ex prigioniero sono state soddisfatte (il ritorno a casa, il cibo abbondante, l’ansia del racconto), ma l’angoscia del “comando straniero” non è ancora svanita.