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Jacopone da Todi, "Donna de paradiso": analisi del testo

Donna de Paradiso è una lauda dialogata che rafforza la forma tradizionale del “contrasto” (strofe cioè in cui si alternano le battute di due personaggi), per sviluppare una scena drammatica a più voci, facendo assumere al testo una dimensione teatrale. È considerata il componimento di avvio della “lauda drammatica”, un genere che matura nell'area fiorentina nel Trecento e Quattrocento.

 

Jacopone sospende in questa occasione la carica polemica della corrente pauperistica in lotta contro le gerarchie della Chiesa (un elemento molto frequente nelle sue laude, come in O Papa Bonifazio, molt'hai iocato al monno), per concentrarsi solo sulla vicenda della Passione di Cristo. A differenza del racconto evangelico, che il testo segue comunque da vicino, l'autore colloca il personaggio di Maria al centro del dramma, mentre al Cristo vengono attribuite tre brevi battute. L'appellativo di “donna de paradiso”, riprende l'usanza delle antiche laude (ad esempio la lauda veronese Benedeta sia l'ora e 'l çorno) e la scena presenta un'ambientazione e un impianto corali, anche per la muta presenza di altri personaggi ed elementi (oltre al Nunzio, Cristo e la Folla), che la protagonista chiama in causa nel suo dialogo, e cioè la Maddalena, Pilato e la stessa Croce. Un carattere questo, che acuisce il sentimento drammatico della narrazione, collocandola ad un livello di tragica verosimiglianza:

 

Succurri Maddalena!

Ionta m'è addosso piena:

Cristo figlio se mena,

com'è annunziato. [...]

(vv. 16-19)

 

O Pilato, non fare

el figlio mio tormentare,

ch'io te pozzo mustrare

como a torto è accusato.

(vv. 24-27)

Al Nunzio è affidato il compito di annunciare la progressione degli eventi, mentre alla Folla quello di incarnare la voce accusatoria del popolo:

 

Crucifige, crucifige!

Omo che se fa rege,

secondo nostra lege,

contradice al senato.

(vv. 28-31)

A partire dalla prima battuta di Cristo (che nel dramma svolge per lo più una funzione consolatoria), compaiono le strofe del dolore disperato di Maria, i cui versi ripetono in anafora la parola “figlio” e ne riproducono man mano la spezzatura dei singhiozzi. Nell'imminenza ormai certa della perdita, rappresentano un ultimo, sconsolato tentativo di rivendicare in quanto madre il possesso di Cristo sulla croce:

 

Figlio, l'alma t'è 'scita,

figlio de la smarrita,

figlio de la sparita,

figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,

figlio senza simiglio,

figlio, a chi m'apiglio?

Figlio, pur m'hai lassato!

Figlio bianco e biondo,

figlio volto iocondo,

figlio, per che t'ha 'l mondo,

figlio, così sprezzato?

[...]

(vv. 112- 123)

Il carattere popolare del testo affiora anche nella lingua, che riproduce le forme dialettali (sermo cotidianus) nelle battute di Maria e di Cristo, alternate ai registri più formali di quelle del Nunzio e della Folla. La lauda si compone di trentatrè strofe di quattro versi ciascuna (per lo più settenari, alternati a qualche ottonario), con una terzina iniziale a rima AAB e le successive quartine a rima AAAB, (in cui B si mantiene costante).