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Biomasse ed energia rinnovabile: i biocarburanti

Come è noto i governi mondiali stanno cercando nuove fonti di energia alternative ai combustibili fossili, principalmente il petrolio, grazie ai quali siamo in grado di ottenere l’energia necessaria a riscaldare e illuminare le nostre case, alimentare le nostre automobili e così via. Il problema primario è legato alla disponibilità effettiva di questa fonte di energia, oltre al rinomato problema di inquinamento. L’uso di questi combustibili causa un’elevata emissione di anidride carbonica (CO2), la quale sappiamo essere il principale responsabile del cosiddetto “effetto serra”.

Eolico, solare e idroelettrico sono le principali tipi di fonti di energia rinnovabili di cui si sente spesso parlare poichè i più largamente utilizzati in Italia. Esse sono “rinnovabili” in quanto derivanti da fonti di energia, come il Sole, che non si esauriranno praticamente mai. In altre Nazioni un’altra fonte di energia rinnovabile viene molto sfruttata: le biomasse. Per biomasse si intende tutto ciò che deriva da organismi viventi, costituiti quindi da composti organici: dal latte alle muffe, dagli scarti alimentari alle piante. In realtà l’idea di utilizzare biomasse per produrre energia non è del tutto nuova: l’uso della legna da ardere per riscaldare l’ambiente ne è un esempio. Tuttavia si è pensato di valorizzare in qualche modo la biomassa, trasformandola in propellenti, liquidi o gassosi, per mezzi di trasporto: essi prendono il nome di biocarburanti, o biofuels.

I biocarburanti sono costituiti da molecole organiche, al pari del petrolio, il quale è una miscela di idrocarburi lineari e idrocarburi ciclici vari, e come tali una loro combustione causa inevitabilmente l’emissione di CO2. Tuttavia la stessa anidride carbonica emessa può essere assorbita dalle piante mediante la fotosintesi clorofilliana, sfruttando l’energia gratuita del Sole. Le piante produrranno in questo modo nuova biomassa, la quale a sua volta viene trasformata in biocarburante, ottenendo così si ottiene una specie di ciclo a “impatto zero”, in quanto non c’è aumento netto di CO2 nell’atmosfera. Anche il petrolio deriva in realtà da organismi viventi, in quanto ottenuto da loro fossilizzazione a temperature e pressioni particolari. Le tempistiche di rigenerazione del petrolio non sono tuttavia compatibili con la vita dell’uomo, poichè dell’ordine di milioni di anni.

Bisogna comunque considerare l’anidride carbonica emessa durante tutto il processo di produzione del biofuel, a partire dalla generazione della biomassa (come la coltivazione delle piante) fino al trasporto al consumatore, passando per gli step effettivi di sintesi del prodotto: anche queste emissioni devono essere calcolate per avere un vero e proprio “impatto zero”.

Per trasformare la materia prima, ovvero la biomassa, in biocarburante si utilizzano dei meccanismi biologici, come cellule intere, nel caso di fermentazioni, o enzimi, come nel caso delle biotrasformazioni: la “fabbrica” che utilizza questi mezzi prende il nome di bioraffineria. La bioraffineria può utilizzare come biomassa di partenza piante o loro derivati, ma anche prodotti di “seconda mano”, come la componente umida dei rifiuti urbani o gli scarti dell’industria cartiera o casearia: l’importante è che esso sia utilizzabile dalle cellule o sia un potenziale substrato per gli enzimi.

Il biofuel deve anche possedere caratteristiche simili a quelle del tipo di carburante che vuole sostituire, in modo da pensare una sua completa sostituzione in futuro: motori dei veicoli e infrastrutture di produzione e trasporto andrebbero altrimenti adattati al nuovo propellente. Fra i vari biocarburanti oggi esistenti, il biodiesel corrisponde al gasolio, mentre il biobutanolo e il bioetanolo alla benzina. Spesso questi propellenti ecologici non vengono venduti in forma pura, ma miscelati con benzine e diesel in diversa percentuale. Il mercato dei biocarburanti ha permesso anche di aprire nuovi orizzonti e sfide per le aziende del settore energetico e automobilistico, oltre allo sviluppo di realtà locali in zone rurali. Le bioraffinerie infatti possono integrarsi ottimamente a livello di piccole aziende, in quanto si potrebbe utilizzare i prodotti di scarto ottenuti per esempio dalle coltivazioni per trasformarli, o meglio valorizzarli, in carburante da utilizzare per il trasporto delle merci stesse dell’azienda. In questo modo, oltre a un effetto benefico sull’ambiente, l’azienda risulterebbe indipendente dal carburante fornito dall’esterno e risparmierebbe molto denaro nel suo acquisto.

Tra i biofuels esistenti, il candidato che più assomiglia per caratteristiche al gasolio è il biodiesel, chiamato anche FAME, ovvero metilestere di acidi grassi (fatty acid metylesters). Il nome ci suggerisce che essi siano acidi grassi esterificati da un gruppo metilico, caratterizzati da un elevato contenuto energetico: gli acidi grassi infatti vengono utilizzati dalle cellule come deposito di energia, da utilizzare al momento opportuno. Per produrre il biodiesel è necessaria una reazione di transesterificazione fra trigliceridi (chiamati anche tracilgliceroli) e il metanolo, ottenendo metilesteri e glicerolo. L’enzima lipasi è in grado di catalizzare questa reazione, la quale può essere portata a termine utilizzando anche alcoli diversi dal metanolo, ottenendo i più generici esteri alchilici.

La fonte di biomassa primariamente utilizzata è la soia, dalla quale è possibile estrarre gli oli contenenti i trigliceridi. Il biodiesel contenuto nei propellenti può avere diverse concentrazioni: al 5% nel cosiddetto B5, al 20% nel B20 e al 100% nel B100. Quest’ultimo oltre che in alcune automobili, è utilizzato in molti modelli di trattori e macchine agricole e in mezzi pubblici di trasporto come autobus.

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Autobus alimentato a biodiesel, come confermato dalla scritta. Soprattutto negli Stati Uniti, l’uso di biocarburanti viene sponsorizzato quando possibile per sensibilizzare l’opinione pubblica all’argomento.