Il mito: introduzione e considerazioni generali

Parlare del mito significa parlare di qualcosa che è alle basi della nostra cultura.
Che cosa è il mito? Quali sono i suoi caratteri, le sue funzioni e finalità? Il mito è una espressione culturale di un mondo arcaico e primitivo scomparso per sempre o c’è una sua sopravvivenza anche al giorno d’oggi?
Cercheremo di rispondere presentando alcuni riferimenti a quelli dei popoli della antichità, in particolare i miti dell’area mesopotamica e della Grecia. Dai miti passeremo alle tragedie classiche greche che accolgono e reinterpretano gli elementi mitologici e, inoltre, vedremo l’inserimento di miti nel tessuto dei dialoghi platonici.
Partiamo dalla definizione di mito che dà lo stesso Platone nella Repubblica, 392: "Il mito è racconto intorno a dèi, esseri divini, eroi e discese nell’aldilà". Quindi in primo luogo esso ha la forma del racconto di storie sulla vita del mondo, degli dèi e degli uomini.
In un altro dialogo, il Fedro, si sostiene l’opportunità di razionalizzare il mito, aggiungendo che esso riveste in forma fantastica fatti reali e comuni; ad esempio, il racconto della fanciulla Orizia rapita dal Dio Borea non è che la storia di una giovane donna caduta da una rupe per un forte colpo di vento. Che nell'iconografia pittorica i miti siano stati in ogni tempo una potente fonte ispiratrice è indubbio: proprio Borea e Orizia sono presenti nella Sala delle Stagioni della reggia settecentesca di Caserta a simboleggiare l’inverno.

Da questa impostazione si precisa una linea interpretativa ancor oggi maggioritaria: se ne deduce una svalutazione del racconto mitico, relegato a pura fantasticheria dell’epoca primitiva (mythos = racconto favolistico). Che poi il giudizio negativo di Platone sia stato di fatto da lui contravvenuto nella pratica di scrittura dei suoi dialoghi con un abbondante ricorso a vari miti è un punto da analizzare. I caratteri peculiari del mito in questa tradizione interpretativa sono stati sintetizzati così: 1) si presenta in forma immediata e rivelativa; 2) non si trasmette seguendo procedure riflessive; 3) non è aperta alla critica e alla verifica razionale. Dunque, il mito appartiene ad una fase inferiore della civiltà umana, quella arcaica, che poi si è sviluppata in direzione della riflessione razionale.


Il passaggio dal mythos al logos ha aperto la strada alla nascita della filosofia greca come pratica di pensiero razionale. Questa tesi è stata ripresa in età moderna. Vico, ad esempio, ne La scienza nuova (1725-1730) trova nel mito i materiali storici e culturali dell’uomo primitivo all’inizio dell'evoluzione mentale di se stesso e della società umana in generale.

Nel ‘900 emerge una posizione divergente sia da parte di autori della "fenomenologia del sacro", sia di studiosi come Kerènyi e Mircea Eliade, che appoggiandosi a Jung vedono nei miti degli archetipi universali dello spirito umano. Dietro i miti sarebbe presente, quindi, un sapere, che è il prodotto della memoria di un popolo e affonda le proprie radici nelle origini di quello stesso popolo, e li riprende nella sua cultura come elemento di riconoscimento e di identificazione, nonostante i suoi aspetti truculenti. Max Muller ebbe a sostenere che gli stessi greci erano traumatizzati per la violenza dei conflitti nei miti, che avrebbero sconvolto anche i pellerossa più selvaggi.
Secondo questa tesi, la produzione dei miti non è da assumere come pura favola ma costituisce - sotto la forma del racconto - la messa in atto di una via autonoma e specifica di accesso ai grandi interrogativi della vita. Essa implica una totalità di senso, che tiene insieme il sovrannaturale, il naturale e l’umano, ponendo stretti legami tra una teogonia (l'origine e l’esistenza delle divinità), una cosmogonia (l’origine e l’esistenza del cosmo) ed una antropogonia (la nascita e la determinazione della nostra umanità).
Quindi i miti contengono un sovrappiù rispetto a quello che è conoscibile razionalmente e tendono a stabilire i legami tra il Principio e la Fine.

La seconda tesi riguarda la ri-emergenza di aspetti della mentalità mitica nella comunicazione mediatica di oggi, a dire che il mito non è da archiviare nel passato arcaico, ma si collega a strutture profonde dell’umanità: la mitopoiesi è una funzione dello spirito umano.
Rispetto a questi miti intessuti tutti di grande violenza, fa eccezione il racconto della Bibbia, con il quale tuttavia si trovano molti punti in comune (come il diluvio universale o la citazione diretta del dio babilonese Marduk con il nome di Bel, in Daniele 14). Esso, però, si differenzia da tutti gli altri per un aspetto sostanziale: il passaggio dal caos al cosmo non avviene mediante la violenza di terribili conflitti ma con la creazione da parte di un Dio buono, fin dagli inizi in una atmosfera di felice armonia.
Ecco il racconto nel libro della Genesi: "Nel principio Dio creò cielo e terra. La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Dio disse: Sia luce. Dio vide che la luce era buona […] Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono." (Genesi, 1-4, 31). E poi si aggiunge che "Dio è Re" in particolare sulla potenza delle acque: "Ma più del frastuono delle acque, più forte dei flutti del mare, potente è il Signore nell’alto". Anche sotto questo aspetto, oltre che per il punto decisivo di praticare una concezione rigidamente monoteista, la cultura ebraica espressa nella Bibbia evidenzia la sua peculiarità rispetto a quella di tutti gli altri popoli antichi.

Franco Sarcinelli, docente di Storia e Filosofia nei Licei milanesi, si è occupato in vari saggi di temi di epistemologia delle scienze umane e storiche, di fenomenologia e di ermeneutica. Tra i suoi volumi ha pubblicato per Mimesis "Filosofia della mancanza" (2007) ed è nel comitato di redazione di "Fenomenologia e società". Da due anni è invitato ad intervenire alle International Conferences on Ricoeur Studies per i suoi approfondimenti sul pensiero del filosofo Paul Ricoeur.