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Guido Cavalcanti, "Voi che per li occhi mi passaste 'l core": parafrasi e commento

Nel panorama tematico di Guido Cavalcanti (1259 circa - 1300), ricorrono con una buona frequenza l'argomento del dolore e dello “sbigottimento”, cioè la descrizione complessiva di una fenomenologia d'amore spesso definita “d'angoscia”, che, assieme al genere della “loda” (in cui vengono esaltati gli effetti “mirabili” e positivi dello sguardo e del saluto della donna), rappresenta un importante aspetto della lirica stilnovista.

 

Nella dottrina cavalcantiana questa tematica è espressa inoltre con particolare intensità (come nella canzone Donna me prega), dovuta principalmente al razionalismo aristotelico dell'autore: in gran parte delle rime (52 componimenti in tutto), Cavalcanti rifiuta l'ottimismo filosofico-teologico tipico di autori come Dante e Cino da Pistoia, per abbracciare una visione più materialistica e problematica (è noto che il suo averroismo esprime un ateismo radicale). Voi che per gli occhi mi passaste il core è un testo che unisce al suo interno diversi riferimenti ai canoni della precedente tradizione volgare: dalla dottrina di Giacomo da Lentini (l'amore che nasce dalla vista, come in Amor è un desio), alle metafore militari presenti anche in Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo di Guido Guinizzelli, fino all'uso retorico delle personificazioni (in particolare quella di Amore): “Voi, che attraverso gli occhi mi arrivaste al cuore e mi risvegliaste la mente addormentata, pensate alla mia vita dolorosa, che Amore distrugge di sospiri” (vv. 1-4).

 

Da sottolineare qui la sostanziale variazione che Cavalcanti introduce nella descrizione della dinamica amorosa, e cioè l'introduzione, assieme agli occhi e al cuore, della “mente che dormia”, e cioè la ragione. Nella sua dottrina infatti è l'anima intellettiva che subisce in misura maggiore gli effetti devastanti dell'amore. “Egli (Amore) arriva colpendo di taglio con una forza tale che tutte le mie deboli facoltà se ne vanno; e restano in suo potere soltanto la mia figura e la mia tanta voce che parla di dolore” (vv. 5-8). La dottrina degli spiriti vitali (i “deboletti spiriti”) che lasciano il corpo dell'innamorato, è un tema presente anche in altre rime. “Questa forza d'amore, che mi ha così diviso, si mosse rapida dai vostri nobili occhi, come una freccia che mi si conficcò nel fianco, e il colpo arrivò così preciso al primo lancio, che l'anima si scrollò per il tremore, vedendo che il cuore era morto sul lato sinistro” (vv. 9-14). In conclusione della metaforica battaglia l'innamorato è bloccato nella sua parte sensitiva e soffre del proprio smarrimento.