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Le novelle di Verga: tra mercato e ricerca letteraria

Introduzione e poetica Tra arte e mercato

Giovanni Verga è riconosciuto come uno dei più grandi, se non il più grande, novelliere italiano del secondo Ottocento, tanto che lo studioso Romano Luperini afferma che “con Verga comincia la novella moderna” 1. Tuttavia, la prima adesione dello scrittore catanese alla tipologia della narrazione breve - che, come si vedrà, sarà per lui fondamentale per la propria ricerca letteraria, a fianco della narrazione “lunga” dei romanzi I Malavoglia e Mastro don Gesualdo - è in realtà da contestualizzare nel lavoro di artigianato letterario che Verga svolge nel corso della vita per ragioni di sussistenza economica (esemplare in questo caso la pubblicazione di Nedda):

Nel gennaio del ’74 il Verga, superate le perplessità iniziali, aveva accettato di collaborare con brevi scritti a riviste e giornali, senza sentirsi affatto impegnato verso una ricerca tematica o stilistica originale. 2

Siamo nei decenni successivi all’Unità d’Italia, e siamo soprattutto a Milano, dove Verga vive dal 1872: è il momento della grande espansione di una più moderna forma di industria editoriale, che mostra i suoi effetti, talvolta dirompenti, soprattutto nel pullulare di periodici e di giornali quotidiani. Su questi prodotti editoriali si afferma la novella in prosa (mentre nella precedente tradizione italiana era più frequente quella in versi), che si affianca e si sostituisce ai romanzi di appendice 3:

nell’epoca della borghesità adulta, l’Ottocento, le pubblicazioni periodiche, almanacchi rassegne riviste, offrono ospitalità larga alle prose narrative leggibili in una sola puntata: proprio analogamente a quanto fanno i quotidiani, ma anche le dispense, come contenitori per i romanzi e romanzoni sezionati in un gran numero di puntate, secondo le formule della suspense appendicistica. Il racconto autoconcluso si affianca al continuum interminabile degli intrecci d’appendice, al servizio entrambi di prodotti giornalistici che intendono mantenere e allargare il loro pubblico assolvendo anche una funzione di intrattenimento ludico-estetico. 4

Anche Verga è a suo modo protagonista di questi fenomeni, che sono al tempo stesso cultural-letterari ed economico-editoriali. Da un lato, la sua originale linea di ricerca artistica lo conduce prima ad avvicinarsi alla narrativa filantropico sociale, come nel caso di Nedda, poi alle sperimentazioni nel clima scapigliato milanese, per approdare infine alla fondazione della poetica verista nelle opere maggiori; dall’altro lato, in parallelo, le ragioni economiche tengono impegnato lo scrittore in una produzione destinata al grande pubblico, fatta di narrazioni di argomenti accattivanti e mondani: si pensi alla pubblicazione nel 1882 di Il marito di Elena, e due anni dopo dei Drammi intimi, non a caso una raccolta di novelle di ambientazione altoborghese e nobiliare. Lo si potrebbe definire un “inizio singolare, dunque: stupefacente certo per uno dei massimi novellieri dell’800 aver cominciato quasi per caso e per necessità di guadagno e aver proseguito solo per l’insistenza profetica di Emilio Treves, come accondiscendendo a un capriccio dell’editore, ma infastidito e distaccato nel cimentarsi in un genere considerato minore” 5. Si potrebbe persino ipotizzare che il “recupero in senso nostalgico di un mondo memoriale” 6 – quello che determinerà la genesi di Nedda, antefatto alla più matura poetica verghiana – dipenda proprio da una sorta di reazione a questa condizione di vita, anche nel senso del lavoro letterario, modernamente cittadina e industriale.

Quel che è certo è che Verga, addestrato da questo tirocinio, saprà reinterpretare il genere della novella, rifondandolo secondo i capisaldi della poetica verista. È quello che accade soprattutto con la raccolta Vita dei campi (pubblicata nel 1880 proprio dall’editore Treves, e che raduna novelle già apparse in rivista nei due anni precedenti). Accanto a reminiscenze di tenore mitico e idilliaco (in testi come La Lupa oppure Cavalleria rusticana), compare qui la realtà, in tutta la sua forza tragica. Rosso Malpelo è uno degli esiti esemplari di queste tensioni. Il lettore riconosce dunque lo scrittore nel pieno del percorso che lo condurrà alla più sicura linea verista dei Malavoglia. Infatti, la raccolta del 1880 si configura per un verso come una rassegna di personaggi e di casi eccezionali: la Lupa, Gramigna, lo stesso Rosso Malpelo; e ciò si rivela coerente con i caratteri della novella tradizionale e di successo, in cui appunto “deve succedere qualcosa di straordinario e di nuovo” 7. Ma, dall’altra parte, le novelle di Vita dei campi sono anche le sedi in cui Verga collauda le proprie personali ricerche formali e tecniche che lo condurranno alla poetica dei Malavoglia (si pensi al carattere anticipatore e programmatico del testo Fantasticheria rispetto al romanzo): i protagonisti della raccolta “sono la mediazione necessaria per i personaggi del romanzo” 8. Lo scrittore, soprattutto, cerca di abbandonare il punto di vista del narratore onnisciente, per assumere quello dei personaggi stessi; con la conseguente opzione per un lessico e una sintassi irregolari. La scrittura delle novelle di Vita dei campi rivela dunque un carattere quasi di officina per la messa a punto delle tecniche di scrittura del romanzo. Se ciò vale per il progresso interno all’opera verghiana, Romano Luperini assegna a questi caratteri di novità - soprattutto alla sperimentazione dell’impersonalità 9 - un valore più generale, che fa di Vita dei campi un punto di svolta per tutta la tradizione della novella in Italia:

al centro della narrazione si colloca ora il trauma, la situazione di crisi, [e] il racconto verista li cala nella quotidianità. L’inaudito si concilia finalmente con il normale e il quotidiano. I naturalisti scoprono che l’eccezionale è riconducibile alla norma sociale o alla spiegazione scientifica di una patologia. 6

E la via alla narrativa breve di Pirandello e Tozzi è aperta. Un uguale carattere – al livello dei rapporti tra novella e romanzo nella scrittura verghiana – hanno le narrazioni brevi composte a ridosso o in parallelo al lavoro dell’autore sul Mastro don Gesualdo. Le raccolte – su tutte Le novelle rusticane (1883) e Vagabondaggio (1887) – rispecchiano la tormentata genesi del romanzo. Così i testi novellistici rivelano l’inclinazione dell’autore allo studio del tessuto sociale cangiante e in celere trasformazione che è l’oggetto del Mastro.

Tutto ciò conferma dunque – a fronte dell’iniziale occasionalità dell’adozione della forma novella da parte di Verga – la sua successiva messa in pratica in questa tipologia testuale di un intento sperimentale, di avvicinamento e persino di collaudo dei temi, delle tensioni e delle tecniche poi impiegati nella scrittura romanzesca. Ciò non esclude, come anticipato, la vita autonoma delle raccolte di novelle: piuttosto ne accresce il valore, in termini di varietà delle soluzioni praticate, di originalità contenutistica e di innovazione tecnica e formale. Fino al punto di rifondere la narrazione breve italiana.

 

Bibliografia essenziale:

- Tipologia della narrazione breve. Atti del Convegno di studio. «Il Vittoriale degli Italiani», MOD - Società italiana per lo studio della modernità letteraria (Gardone Riviera, 5-7 giugno 2003), a cura di N. Merola e G. Rosa, Vecchiarelli Editore, 2004.
- T. Todorov, I formalisti russi, Torino, Einaudi, 2003.
- B. Tomaševskij, Teoria della letteratura, introduzione di M. Di Salvo, Milano, Feltrinelli, 1978.
- G. Verga, Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 1979.

1 R. Luperini, Il trauma e il caso, in Tipologia della narrazione breve. Atti del Convegno di studio. «Il Vittoriale degli Italiani», MOD - Società italiana per lo studio della modernità letteraria (Gardone Riviera, 5-7 giugno 2003), a cura di N. Merola e G. Rosa, Vecchiarelli Editore, 2004, p. 75.

2  C. Riccardi, Introduzione in G. Verga, Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 1979, pp. IX-X.

3  Con l’espressione “romanzo d’appendice” o feuilleton ci si riferisce ad un tipo di narrazione, assai di successo tra metà Ottocento fino ai primi anni del Novecento, diffusasi inizialmente in Francia e composta di romanzi pubblicati a puntate nel piè di pagina dei principali giornali e quotidiani. Tra i romanzieri d’appendice di maggior successo, Victor Hugo, Alexandre Dumas (il padre), Honoré de Balzac ed Eugène Sue.

4  V. Spinazzola, I vantaggi della brevità, in Tipologia della narrazione breve, cit., p. V. Il confronto tra novella e romanzo è sviluppato con attenzione anche in P. De Meijer, La prosa narrativa moderna, in Le forme del testo, vol. 3, tomo II, La prosa. Letteratura italiana, dir. A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1996, pp. 782-847.

5 C. Riccardi, Introduzione, cit., p. X.

6 Cfr. ibidem.

7 R. Luperini, Il trauma e il caso, cit., p. 65; alle pp. 63-65 di questo stesso testo si rimanda per una rapida rassegna degli studi teorici sulla novella e il racconto breve. Le prospettive di studio attuali devono poi molto all’impostazione di B. Tomaševskij, Teoria della letteratura, introduzione di M. Di Salvo, Milano, Feltrinelli, 1978 (ed. or. Teorija literatury, Leningrad, 1928) e della raccolta di saggi in T. Todorov, I formalisti russi, Torino, Einaudi, 2003.

8 C. Riccardi, Introduzione, cit., p. XIV-XV.

9 Ciò produce, secondo Luperini, un “cambiamento di strategia narrativa: salta la mediazione di un narratore che racconta in prima persona filtrando la vicenda attraverso il proprio punto di vista; la rappresentazione diventa oggettiva” (R. Luperini, Il trauma e il caso, cit., p. 70).

10 Cfr. ibidem.