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"Le novelle rusticane" di Giovanni Verga: riassunto e tematiche

Introduzione: tra Vita dei campi e I Malavoglia

 

Il tema verghiano della “roba”, che già attraversa la celebre raccolta di Vita dei campi e che ispira pure la vicenda de I Malavoglia, ha una particolare rilevanza nelle Novelle rusticane, seconda raccolta di testi brevi di Giovanni Verga, edita dall’editore Casanova di Torino nel dicembre 1882 (ma con data 1883). In questa raccolta - dai tratti più ironici ma nel complesso più cupi rispetto alla precedente - l’autore si ripropone di dar conto anche delle problematiche socio-economiche della Sicilia del tempo, le quali gravano pesantemente sulle vite di coloro che sono travolti dalla “fiumana del progresso”. Chi può far fronte agli imprevisti della natura, ai mutamenti dell’assetto politico o alle dispute di paese è apparentemente chi può accumulare nel corso della vita quanti più beni gli riesce, perché la legge del più forte, espressa in Vita dei campi dai motivi dell’amore e della violenza, si esplica nelle Rusticane soprattutto attraverso il possesso di terre e denaro (come per il personaggio di Mazzarò ne La roba), o al limite, nella sventura, di un asino buono. D’altra parte la raccolta, aprendosi alla realtà storica del secondo Ottocento, prosegue gli esiti tematici dei Malavoglia, in cui l’intero microcosmo di Aci Trezza gravita attorno alla "casa del nespolo", simbolo supremo del valore della “roba” in un sistema patriarcale sempre meno rigido e messo in crisi anche dalle novità imposte dall’Unità nazionale, quali la leva militare.

 

Tematiche delle novelle

 

Che uno dei fili conduttori delle Novelle rusticane sia proprio questo allargamento analitico del campo d’indagine, con particolare riferimento al valore dei beni e ai diritti delle persone, lo dimostra fin da subito il testo di apertura Il Reverendo, il quale rappresenta l’ascesa di una figura votata alla sola cura dei propri interessi materiali (“non pretendeva di essere un sant’uomo, no! I sant’uomini morivano di fame” 1), mai sfiorato dal timore di perdere i propri possedimenti (“che c’entra il Papa con la roba mia?” 2), protetto dal guscio della propria arroganza finché “colla rivoluzione” 3. non penetra finalmente anche in paese una prima educazione scolastica per il popolo, e “ciascuno vuol dire la sua” 4. Ma l’autorità secolare dei prepotenti a norma di legge resiste al cambiamento. Il tema della roba, legato a quello della Giustizia, è poi esplicitamente calato nelle tre vicende giuridiche di Don Licciu Papa: quello della zia Santa salvata dalla protezione del barone; quello di compare Vito zittito e pignorato della mula (“se foste venuto coll’avvocato, vi lasciavano parlare ancora”); quello di curatolo Arcangelo sloggiato di casa dallo stesso Reverendo di cui sopra a forza di spese per “la Giustizia”, che del resto “è fatta per quelli che hanno da spendere” 5.

Nelle Rusticane la cura della roba si configura quindi come forma di difesa contro un mondo esterno percepito come minaccia che può ridurre in rovina le fatiche di una vita. D’altra parte gli sconvolgimenti della natura coinvolgono tutti, anche i galantuomini dell’omonima novella, che “son fatti di carne e di ossa come il prossimo” 6. L’autore ci descrive perciò una mentalità del possesso così radicata da condizionare alla base i rapporti sociali tra gli individui, tra le famiglie, a tal punto da determinare il valore della vita di una persona, come espresso dall’oste disperato di Malaria:

Compare Carmine, l’oste del lago, aveva persi allo stesso modo i suoi figlioli tutt’e cinque, l’un dopo l’altro, tre maschi e due femmine. Pazienza per le femmine! Ma i maschi morivano appunto quando erano grandi, nell’età di guadagnarsi il pane. 7

Ne Gli orfani Verga rappresenta il problema materiale della perdita all’interno del nucleo famigliare accostando non a caso la defunta moglie di compare Meno all’asino morente della vicina di casa. La sventura dei protagonisti è indirettamente messa in scena grazie alla drammaticità delle due morti che prospettano disagi materiali: il pane (“come lo faceva la buon’anima, nessuno lo sa fare” 8) e la dote; quanto all’asino, sarà bene venderne cara la pelle. Così la Storia dell’asino di S. Giuseppe brutalmente sfruttato, che si deprezza passando di padrone in padrone - quasi una favola amara - non è che l’ironica rappresentazione della degradazione ciclica della roba, perché “si dice che ‘la roba vecchia muore in casa del pazzo’” 9: è fondamentale, ancora una volta, non farsi minchionare, non farsi ingannare per non scendere fatalmente nella scala sociale e non soccombere nella lotta darwiniana per la sopravvivenza.

 

La roba e Libertà: le novelle-simbolo della raccolta

 

Significativamente, Gli orfani e la Storia dell’asino di S. Giuseppe sono collocate nell’indice a ridosso de La roba, novella centrale della raccolta. Nel mondo arcaico-feudale siciliano si affacciano nuove figure di possidenti di umili origini che riescono nella loro ossessiva accumulazione a oltrepassare gli steccati sociali consolidati. “La roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare” 10: e infatti Mazzarò riesce a espropriare il barone dalle sue stesse terre, acquistandogliele. Ma in questo personaggio arricchito troviamo una fuoriuscita dal sistema feudale solo parziale, a riprova del fatto che la vecchia nobiltà viene esautorata da nuove classi sociali legate a un mondo di valori e a strutture economiche non diverse dal passato:

a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra 11.

Un’ossessione, quella di Mazzarò, che preannuncia le tragiche disillusioni del Mastro-don Gesualdo. Anche la vicenda di Lucia in Pane nero è perciò emblematica dei rapporti socio-economici: umiliata in famiglia e impossibilitata a sposarsi perché priva di dote, la ragazza va serva in casa d’altri, ottenendo condizioni di vita più favorevoli e un futuro marito in uno dei domestici, ma diviene l’amante del padrone per denaro suscitando l’iniziale sdegno famigliare, salvo poi trovare il consenso di tutti al capezzale della madre morta senza cure (“Sa che la dote ce l’avete, ed è tranquilla, poveretta. Mastro Brasi ora vi sposerà di certo” 12).

Ma la rappresentazione più cruda e stridente della lotta per la roba, dell’immutabilità dei rapporti di forza e degli irriducibili problemi della Sicilia all’epoca dell’unificazione del paese, ci è data da Libertà, novella che, chiudendo la raccolta prima del manifesto teorico di Di là del mare, apre la poetica verghiana alla mescolanza di finzione e realtà storica. L’occhio del narratore verista mette e a fuoco la famosa rivolta di Bronte dell’agosto 1860. Quando giunge la notizia dello sbarco dei Mille garibaldini la folla diventa incontenibile e la vendetta popolare contro i grandi e piccoli oppressori, “i cappelli”, viene lavata nel sangue. Il popolo siciliano è abbacinato da mutamenti che non può comprendere né assimilare (“Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti!”) e la roba, consumata la sommossa, non cambia padroni.

 

Bibliografia essenziale:

 

- Storia della letteratura italiana, Roma, Salerno Editrice, 1999.
- R. Luperini, Verga, in Letteratura italiana Laterza, Roma-Bari, Laterza, 1975.
- G. Verga, Tutte le novelle, introduzione di C. Riccardi, Milano, Mondadori, volume I, 2004.

1 G. Verga, Tutte le novelle, introduzione di C. Riccardi, Milano, Mondadori, volume I, 2004, p. 218.

2 Ivi, p. 223.

3 Ivi, p. 224.

4 Ivi, p. 225

5 Ivi, p. 236.

6 Ivi, p. 311.

7 Ivi, p. 250.

8 Ivi, p. 258.

9 Ivi, p. 280.

10 Ivi, p. 266. Si noti che Mazzarò per sintetizzare la sua legge di vita, ricorre proprio ad un proverbio siciliano, a testimoniare il modo in cui la mentalità comune sia ormai intrisa dei “valori” del possesso materiale.

11 Ivi, p. 267.

12 Ivi, p. 310.