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“Dialogo di un folletto e di uno gnomo” di Giacomo Leopardi: riassunto e analisi

Introduzione

 

All’interno delle Operette morali di Giacomo Leopardi, il Dialogo di un folletto e di uno gnomo sviluppa uno dei temi centrali dell’intera raccolta, ovvero quello della polemica antiantropocentrica dell’autore, che mette in scena la scomparsa del genere umano, derubricandolo però a fatto di trascurabile importanza. Il Folletto e lo Gnomo, finalmente liberi dalle angherie degli uomini, possono liberamente irriderne le presuntuose convinzioni antropocentriche. Quella specie che si era autoproclamata migliore e più potente delle altre è ora silenziosamente svanita nel nulla, rivelandosi non solo indegna di commiserazione, ma addirittura oggetto di beffe e scherno sarcastico. Sulla stessa linea d’onda, possiamo ricordare il Dialogo della terra e della luna e il dialogo Copernico (incentrato sulla figura del celebre astronomo polacco).

 

Riassunto

 

Il dialogo tra i due protagonisti è vivace e brioso, le battute sono generalmente brevi e incalzanti, sia nella prima che nell’ultima parte. Si fanno invece più ampie nel mezzo del testo, dove si argomentano le ragioni della scomparsa dell’umanità e si sminuisce l’importanza che gli uomini davano a certe loro invenzioni e si scredita l’idea diffusa ma falsa che gli elementi naturali e gli altri esseri viventi fossero presenti sulla terra solo in quanto necessari all’uomo. Osservata da un’altra prospettiva, nessuna invenzione umana ha infatti utilità generale o un valore assoluto, così come nessun animale e nessun elemento naturale può essere stato creato per servire all’uomo, tanto che dopo la sua scomparsa tutto sopravvive come è sempre stato prima di lui. Le stesse scelte lessicali dei due interlocutori sono spie interessanti per rivelare la considerazione che il Folletto e lo Gnomo hanno degli uomini: essi sono definiti “furfanti” e “monelli”, oppure gente che “dà briga” e che è sempre intenta ad “apparecchiare” qualcosa contro le altre razze dei viventi. Non mancano inoltre le soluzioni umoristiche, spesso poste in boccca al Folletto, che confuta sistematicamente i riferimenti antropocentrici proposti dallo Gnomo. Si veda questo passaggio del dialogo:

[Folletto] “Voglio inferire che gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta”.
[Gnomo] “Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s'è veduto che ne ragionino”.
[Folletto] “Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?”
[Gnomo] “Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?”
[Folletto] “Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento?”

È al Folletto che Leopardi affida la propria voce, tesa a dimostrare come la Natura prosegua imperterrita il suo corso, per nulla scalfita dalla scomparsa di una specie uguale alle altre 1, anzi più stolta perché annientatasi con le sue stesse mani. Del resto, precisa il Folletto, non c’è da stupirsi: casi in cui intere specie sono scomparse di sana pianta dalla faccia della Terra sono capitati di frequente.

Dopo che il Folletto ha convinto lo Gnomo dell’effettiva morte del genere umano e, a furia di rimproveri, lo ha spinto ad abbandonare i riferimenti antropocentrici, passa ad elencare le ragioni di questa scomparsa. Gli uomini sono infatti morti perché “disordinavano tra loro”, continuavano cioè ad andare contro le prescrizioni della Natura; perché hanno “navigato”, e dunque si sono spinti troppo in là con le scoperte e le conoscenze, distruggendo l’illusione e l’immaginazione 2; perché si sono mangiati tra loro, hanno cioè praticato il più mostruoso dei gesti, il cannibalismo, che Leopardi sa essere praticato dalle popolazioni del Nuovo Mondo (dove, si badi, dovrebbero vivere gli uomini più vicini alla condizione edenica del primitivo!); perché si sono suicidati, proprio come il lord inglese di un’altra operetta, La scommessa di Prometeo, il quale, vivendo in una società troppo “stretta” e conducendo una vita che risponde solamente ai principi della ragione, ha smarrito tutte le illusioni, scoprendo il dolore incurabile della noia; perché sono “infracidati” nell’ozio, ossia hanno smesso di praticare, come facevano gli antichi, una vita attiva, all’insegna di gesti eroici e di amor patrio. Insomma, conclude il Folletto, hanno studiato “tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male”.

È proprio da questa battuta che comprendiamo come la posizione ideologica di Leopardi risulti qui ancorata a un pessimismo ancora di tipo storico, in cui i soli responsabili dell’infelicità e della morte sono proprio gli uomini, insuperbiti e ormai per sempre lontani dalle prescrizioni della Natura. Ma l’operetta vuole anche dimostrare come la presunzione di superiorità che caratterizza l’uomo non sia per niente originale. Essa è infatti ontologica, cioè appartiene da sempre a tutte le specie. L’uomo non era il solo a credere che il mondo fosse stato creato a suo uso e consumo: ogni essere vivente ne è convinto, e Folletto e Gnomo non mancano di battibeccare sull’argomento, restituendo con quelle battute la verve umoristica che avevamo trovato in apertura. La Natura, invece, cammina su un percorso parallelo, che ignora deliberatamente le pretese dei viventi. Essa segue un percorso drammaticamente indifferente alla vita di tutti i terrestri. I suoi elementi (la luna, il mare, le stelle qui citate) si prestano soltanto alla contemplazione, ma non si piegano ad essere utilizzati da nessuno.

 

Il collegamento con lo Zibaldone e la rielaborazione del testo


L’operetta, oltre a sviluppare diversi appunti dello Zibaldone sull’antiantropocentrismo, trova fonti importanti in Senofane (570-475 a.C.), nell’aforista francese Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757) e in Voltaire (1694-1778), ma soprattutto è l’unico caso di rielaborazione di un testo precedentemente abbozzato da Leopardi, che nel 1821 aveva scritto un Dialogo tra due bestie p. e. un cavallo e un toro, poi ripensato come Dialogo di un cavallo e un bue. Questo fatto dimostra quanto l’idea di contestare la visione antropocentrica tramite l’esempio di altri viventi affondi le radici già in un periodo in cui il progetto delle Operette morali non era del tutto definito. Leopardi ha successivamente abbandonato l’idea (tipica della tradizione classica, e rintracciabile anche di tutto il filone favolistico) di rendere protagonisti gli animali preferendo due esseri extraumani. Si tratta di una scelta senz’altro più innovativa e originale, che gli ha permesso di far muovere sulla scena personaggi più dinamici e dotati di una spiccata capacità di satira.

1 Quest’impassibilità della Natura, che ha come unico fine l’eterna conservazione di sé, si ritrova anche nel celebre Dialogo della Natura e di un Islandese.

2 Si ricordino i versi della canzone Ad Angelo Mai del 1820: “[...] Ahi ahi, ma conosciuto il mondo | non cresce, anzi si scema, e assai più vasto | l'etra sonante e l'alma terra e il mare | al fanciullin, che non al saggio, appare”, vv. 87-90.