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Gabriel García Márquez, “Cent’anni di solitudine”: riassunto e analisi

Introduzione

 

Cent'anni di solitudine è considerato il capolavoro di Gabriel García Márquez (1927-2014). Lo scrittore colombiano vi lavora febbrilmente nei diciotto mesi precedenti la pubblicazione, nella sua casa di Città del Messico. Esso è però il risultato di una riflessione che Márquez inizia da giovanissimo, sulla possibilità di costruire una saga familiare e insieme una vicenda che sia specchio deformato della sua Colombia e di quella che l'ha preceduto. Il titolo provvisorio resta a lungo La casa. Come Márquez ha dichiarato in una nota intervista:

Volevo che tutto lo sviluppo del romanzo avesse luogo dentro la casa e che tutto quello che avveniva all'esterno fosse descritto in termini d'impatto su di essa. Poi abbandonai l'idea di quel titolo, ma una volta arrivati a Macondo la storia non va mai oltre 1.

Prima edizione del romanzo conta 8.000 copie, stampate da un editore di Buenos Aires nel 1967; dopo solo due settimane, il volume è esaurito. Vengono immediatamente firmati diciotto contratti con editori stranieri per la sua traduzione, e tra questi vi è anche l'editore Feltrinelli. Ad oggi, l'opera di Márquez è stata tradotta in oltre trentasette lingue e ha venduto più di 20 milioni di copie.

 

Riassunto

 

Cent'anni di solitudine è una saga familiare ambientata nell'immaginaria e isolatissima cittadina di Macondo, situata nella Colombia caraibica. È qui che si svolge l'intera vicenda, ed è qui che sette generazioni si succedono, spesso condividendo un'improbabile contemporaneità. La famiglia Buendía, e coloro che in modo improprio vi appartengono, conta personaggi assurdamente longevi. Ursula Iguarán, la più vecchia donna di casa Buendía, vivrà 120 anni, arrivando a conoscere quasi tutti i membri della famiglia. Tra questi vi sono chiaroveggenti, alchimisti, colonnelli, dittatori, imprenditori, ricamatrici, accordatori di strumenti musicali, orafi, pasticceri, ribelli, suicidi, zingari, soldati, prostitute girovaghe e gigolò.

Il romanzo di Márquez è suddiviso in venti capitoli non numerati: alle vicende che coinvolgono la prima, la seconda e la terza generazione sono dedicati i primi nove capitoli. Dal capitolo sei però il contesto, pur restando quello di Macondo, ingloba quello più ampio delle guerre civili. Il sesto capitolo è una sorta di nuovo incipit del romanzo che, esaltando lo stile narrativo dell'intera opera e ricalcando quello del mito, utilizza strategicamente la figura della prolessi, la quale permette di “accennare, all'inizio di un ciclo vitale, alla sua conclusione così che il presente sia già anche percepito nella prospettiva di passato che gli darà futuro” 2.

La fondazione di Macondo avviene in seguito alla spedizione del capostipite e patriarca José Arcadio Buendía a di sua moglie e prima cugina Ursula Iguarán che decidono di abbandonare Riohacha a causa di un omicidio commesso da José Arcadio e alla seguenti apparizioni del fantasma del morto, Prudencio Aguilar. Così, José, Ursula, al tempo già incinta e ventuno amici lasciano il villaggio senza avere una meta precisa ma con il sogno di raggiungere il mare. Dopo ventisei mesi di viaggio nelle terre selvagge, durante i quali Ursula mette al mondo il primogenito José Arcadio, la comitiva si ferma e, per non dover intraprendere un distruttivo viaggio di ritorno, fonda Macondo sulla riva di un fiume. Qui nasce il secondogenito dei Buendía, Aureliano, primo nato di Macondo e bambino caratterizzato da uno sguardo lucido e attento che ritroveremo come caratteristica peculiare in tutti gli Aureliani di famiglia, dotati a volte anche del potere della chiaroveggenza.

In città si presenta ripetutamente lo zingaro Melquíades che rappresenta per Macondo un collegamento al progresso e al resto del mondo. Egli infatti porta sempre con sé invenzioni strabilianti: la calamita, il cannocchiale, i segreti dell'alchimia affascinano José Arcadio Buendía al punto da farlo rinchiudere in laboratorio per anni, durante i quali l'uomo perde di vista la cura della propria famiglia e si guadagna quella soledad che, nel corso di tutta la vicenda, sarà compagna sincera di ogni personaggio di Márquez. Ursula, furiosa per l’autoesclusione dal mondo del marito, lo riporta con i piedi per terra. Rinsavito, José Arcadio ricomincia a prendersi cura dei figli, ed è memorabile nel romanzo il momento in cui porta entrambi a vedere il ghiaccio, portato a Macondo come fenomeno da baraccone dagli zingari. Giunge poi in città Rebeca, una ragazzina di soli undici anni che si presenta sull’uscio di casa con un sacco contenente le ossa dei suoi genitori e viene adottata dai Buendía. Taciturna e introversa, Rebece si consola succhiandosi il pollice e mangiando convulsamente la terra, ed è causa di un’epidemia di insonnia che contagia l’intera Macondo, salvata solo dall’apparizione del fantasma di Melquíades, morto nel frattempo in uno dei suoi viaggi 3

La terzogenita di José Arcadio e Ursula è Amaranta. Amaranta è invidiosa della sorella adottiva Rebeca che, più bella e spigliata di lei, riesce a conquistare l'italiano Pietro Crespi, un cortese accordatore di strumenti musicali di cui entrambe le sorelle si invaghiscono durante l'adolescenza. La follia d'amore spinge Rebeca alle sue vecchie abitudini ossessive (mangiare la terra e succhiarsi il pollice) mentre Amaranta giura a se stessa che i due non si sposeranno né ora né mai. Così avviene: Amaranta augura ogni male alla sorellastra e, pianificando all'occorrenza anche un omicidio per avvelenamento, Amaranta finisce per causare inavvertitamente un altro lutto, quello della piccola sposa del fratello Aureliano. Ormai adulto egli infatti è da poco convolato a nozze con l'impubere Remedios Moscote, di soli nove anni, che muore tra le bambole del suo letto, durante l'aborto dei due gemelli che aveva in grembo. Il lutto non fa che rimandare le nozze di Rebeca e Pietro Crespi, proprio come desiderato da Amaranta. Intanto fa ritorno a casa Buendía il primogenito di José Arcadio, che da tempo si guadagna da vivere giacendo con donne diverse ogni notte grazie alle sue stupefacenti qualità di superdotato. Rebeca si innamora del fratellastro e i due vanno a vivere insieme. Pietro Crespi, devastato dal dolore, comincia a guardare Amaranta con altri occhi. Ma Amaranta è invasa dal senso di colpa per aver indirettamente causato la morte di Remedios e da allora indossa un drappo nero attorno alla mano, segno del lutto e del suo voto di vergine. Quando Pietro Crespi le chiede di sposarlo, Amaranta rifiuta e l'italiano si suicida.

Aureliano, disperato per la perdita di Remedios, continua a frequentare la casa dei Moscote e soprattutto il padre di Remedios, il correggitore don Apolinar Moscote. Qui assiste ai brogli elettorali dei conservatori e giura a se stesso che se da qualche parte deve schierarsi, lo farà coi liberali, perché i conservatori sono ladri. Altrove nel paese la ribellione armata è in corso: così, dopo qualche esitazione, Aureliano si mette a capo dell'insurrezione di Macondo. I primi a venire disarmati dall'autonominatosi colonnello Aureliano Buendía e dai suoi 21 soldati sono proprio i militari che si accompagnano al correggitore. Da questo punto in poi,le vicende di Macondo si intersecano con un lungo periodo di guerre civili:

Il colonnello Aureliano Buendía promosse trentadue sollevazioni armate e le perse tutte. Ebbe diciassette figli maschi da diciassette donne diverse, che furono sterminati l'uno dopo l'altro in una sola notte, prima che il maggiore compisse trentacinque anni. Sfuggì a quattordici attentati, a settantatré imboscate, e a un plotone di esecuzione. Sopravvisse a una dose di stricnina nel caffè che sarebbe bastata ad ammazzare un cavallo 4.

Aureliano nomina Arcadio luogotenente di Macondo. Arcadio è il primo figlio di José Arcadio e di Pilar Ternera, una donna con cui il fratello maggiore di Aureliano aveva avuto una storia durante l'adolescenza. Arcadio viene affidato aiBuendía e cresce con la convinzione di essere l'ultimogenito di Ursula e José Arcadio. Uomo di grande cultura, gestisce la prima scuola di Macondo ma a breve diviene arrogante e presuntuoso. Attratto da Pilar Ternera, che non sa essere sua madre, si innamorerà di Santa Sofia de la Piedad grazie a un escamotage di Pilar stessa e la donna gli darà tre figli. Durante la luogotenenza Arcadio accentra su di sé tutto il potere possibile, divenendo presto il tiranno di Macondo. Nonostante il tentativo di Ursula di far rinsavire il figliastro, Arcadio è incapace di arrendersi e di rispettare la resa dei liberali proclamata dal colonnello Aureliano e finirà per essere  catturato dai militari e giustiziato dal capitano Roque Carnicero. I liberali trattano dunque con il governo ma Aureliano li sconfessa e promuove una serie di sollevazioni armate, rientra vittorioso in Macondo e arriva a condannare a morte il sindaco militare colonnello Moncada. La guerra è totale e il lutto perseguita la famiglia Buendía: muore il capostipite José Arcadio, dopo aver tentato di resuscitare lo zingaro Melquíades con dei vapori al mercurio. La fine del patriarca giunge dopo un lungo periodo di demenza, che l’anziano trascorre legato a un castagno, accudito da Ursula, biasciando solo oscure parole in latino. Muore anche suo figlio, José Arcadio, brutalmente assassinato; muore fucilato Aureliano José, figlio della notte in cui Aureliano perde la verginità con Pilar Ternera. Intanto, a casa Buendía, vengono consegnati diciassette bambini di età diverse, tutti figli del colonnello Aureliano con altrettante donne. I liberali cominciano a perdere terreno: il colonnello Aureliano è sempre più solo e sempre più duro e crudele. Solo una crisi di coscienza evita che la condanna a morte dell'amico d'infanzia e compagno di guerra, Gerinaldo Márquez, venga eseguita. Prima che il tribunale militare giustizi Gerinaldo i due fuggono insieme con l'intento di porre fine alla guerra. Aureliano sigla la resa ma, incapace di guardare avanti, si spara un colpo al cuore, proprio al centro del cerchio che il suo medico gli aveva disegnato sulle vesti. Tuttavia il proiettile lo attraversa da parte a parte: si tratta - come il dottore sapeva - dell'unico punto in cui nessun organo vitale sarebbe stato leso dalla pallottola.

Aureliano si ritira a Macondo, dove torna alle passioni alchemiche che già avevano afflitto suo padre, e alla sua attività di orafo con la produzione di pesciolini d'oro, in cui si era specializzato in tenera età. Nel mentre i tre figli di Santa Sofia della Piedad, la vedova di Arcadio, accolta da Ursula dopo la morte del nipote, si affacciano all'adolescenza. I gemelli giocano a scambiarsi l'identità mentre Remedios è sempre più bella: vestita di una semplice tunica di canapa, vive in un mondo tutto suo, estraneo a quello reale, crescendo praticamente analfabeta. “Nonna” Ursula corre, come sempre, ai ripari impedendole di uscire se non velata e per andare alla santa messa. Ma quando quattro folli d'amore muoiono prematuramente si comincia a vociferare che Remedios ne sia la causa e che il suo respiro sia un alito di morte. Leggendaria è la descrizione che Márquez fa della sua ascensione al cielo:

Ursula, già quasi ceca, fu l'unica che ebbe tanta serenità da riconoscere la natura di quel vento ineluttabile, e lasciò le lenzuola alla mercé della luce, e vide Remedios la bella che la salutava con la mano, tra l'abbagliante palpitare delle lenzuola che salivano con lei, che uscivano con lei dall'aria degli scarabei e delle dalie, e con lei attraversavano l'aria in cui si spegnevano le quattro del pomeriggio, e con lei si perdevano per sempre nelle alte arie dove non potevano raggiungerla nemmeno i più alti uccelli della memoria 5

Oltre a Remedios, vi è un'altra donna di proverbiale bellezza, originaria dell'altopiano, che giunge a Macondo durante il Carnevale: è Fernanda del Carpio di cui si invaghisce l'impetuoso e caparbio Aureliano Secondo, uno dei fratelli gemelli di Remedios. I due si sposano, ma Fernanda non sarà l'unica donna di Aureliano Secondo: accanto alla sua storia coniugale infatti, vi sarà sempre quella con l'amante porta-fortuna Petra Cotes.

Fernanda si rivela essere una donna rigida, conservatrice, ancorata a prescrizioni antiche e a ritmi di vita differenti da quelli di casa Buendía. Dà alla luce tre figli: José Arcadio, che Ursula decide di spedire in seminario con la speranza che diventi papa, Renata Remedios detta Meme anch'essa mandata a studiare dalle suore in collegio e Amaranta Ursula, che studia in Belgio. A Roma, José Arcadio sperpera i soldi che la famiglia gli invia, conducendo una vita di stenti con altri giovani; Meme, che nonostante la rigida educazione cattolica ha il sangue impetuoso di papà Aureliano, si innamora di Mauricio Babilonia, un umile autista che lavora per la Compagnia Bananiera giunta a Macondo grazie alla ferrovia di nuova costruzione e per gentile intercessione di Mr. Brown, un americano amico di Aureliano Secondo, animato da un’inscalfibile fiducia nel progresso. Meme e Mauricio si frequentano nel bordello di Pilar Ternera che si dimostra più volte felice di concedere in prestito le proprie stanze per la felicità e le effusioni altrui. Quando Fernanda scopre la tresca della figlia, architetta un piano per eliminare Mauricio Babilonia che, colpito da una guardia, rimarrà paralizzato a vita. Meme viene rinchiusa in un convento sull'altopiano dove partorisce un figlio illegittimo che una suora porterà a Macondo. La ragazza morirà anni dopo, lontanissima da casa, e senza aver mai più proferito parola.

Da quando la Compagnia Bananiera di Mr. Brown si è installata a Macondo giudicando le terre che circondano la cittadina adatte alla coltivazione della frutta, molti abitanti cominciano a lavorarvi. Viene costruito un nuovo villaggio accanto alla “città vecchia” in grado di ospitare gli americani che conducono una vita indipendente da quella dei nativi. Non sono tuttavia rare le occasioni di attrito con gli abitanti di Macondo, tanto che l'anziano colonnello Aureliano Buendía arriva a desiderare con impeto una nuova guerra, per cacciare lo straniero. È l'amico di sempre Gerinaldo Márquez a farlo desistere, ma la disperazione lo coglie quando dei sicari inviati dagli americani, in una notte di sangue, uccidono sedici dei suoi diciassette figli in altrettante diverse località della Colombia, risparmiando solo il primogenito Aureliano Amador. Il vecchio colonnello, sempre più solo, si barrica in casa a lavorare ossessivamente ai suoi pesciolini d'oro. Non uscirà mai più se non una mattina, quando Aureliano Buendía muore improvvisamente appoggiato a un castagno.

Come lui anche la vecchia e stanca Amaranta muore di morte naturale. È la morte stessa ad annunciarsi e lo fa in un modo estremamente preciso: quando Amaranta avrà finito di tessere il lenzuolo funebre che sta preparando, la morte la prenderà con sé. Rebeca, dopo la misteriosa morte del marito e colpita dalla malafede di coloro che sospettano che a uccidere José Arcadio sia stata proprio lei, si chiude in una solitudine impenetrabile e rifiuta, con grande dispiacere di Ursula, di tornare a vivere nella casa dei Buendía. Viene trovata morta nel suo letto, con il fisico in rovina e il pollice in bocca, come quando era bambina e mangiava la terra.

Intanto José Arcadio Secondo, fratello gemello di Aureliano, uomo mite e riflessivo, diviene uno dei sindacalisti più in vista di Macondo. I lavoratori richiedono alla Compagnia di Mr. Brown salari più alti e condizioni di lavoro migliori: lo sciopero dilaga finché le autorità decidono di aprire un dialogo con i lavoratori. I braccianti e le loro famiglie si radunano in massa nei pressi della stazione per recarsi nel capoluogo ma ad aspettarli trovano i militari che sparano sulla folla con le mitragliatrici. I cadaveri vengono radunati su un vagone ferroviario diretto verso il mare: qui si sveglia con orrore José Arcadio, unico sopravvissuto della carneficina. José si getta dal convoglio in corsa, torna a Macondo, racconta della strage ma nessuno gli crede. Si chiude inascoltato nella stanza dello zingaro Melquíades e non ne uscirà mai più.

La stagione delle piogge investe Macondo. Il diluvio anomalo dura quattro anni, undici mesi e due giorni. I campi si allagano, divenendo inutilizzabili e il danno alle colture è irreversibile. La Compagnia Bananiera chiude i battenti a Macondo per riaprirli altrove. Quando cessa di piovere, la città conta più solo gli abitanti delle origini. Si apre una fase di lutti per i Buendía: muoiono contemporaneamente i gemelli Aureliano e José Arcadio Secondo e muore Ursula, ormai cieca. Dopo di lei muore anche l'altra matriarca, l'indovina e iniziatrice ai piaceri del sesso di tanti Buendía, Pilar Ternera.

La sesta e ultima generazione dei Buendía vede Amaranta Ursula, terzogenita di Fernanda del Carpio e Aureliano José Secondo, tornare dal Beglio a Macondo con il marito Gastón nella casa dei Buendía dove si è installato anche suo fratello José Arcadio, di ritorno da Roma. Qui vive anche il piccolo Aureliano Babilonia, il figlio illegittimo di Meme e Mauricio Babilonia. Dopo aver vissuto qualche tempo con altri buontemponi dediti alla bella vita e all’alcol nella casa di Macondo, José Arcadio muore assassinato dagli stessi compagni che fuggono con un tesoro di monete d'oro ritrovato nella stanza di “nonna” Ursula.

Nel mentre, Aureliano Babilonia, confinato nella stanza di Melquíades a tradurre gli scritti in sanscrito del vecchio zingaro, si invaghisce di zia Amaranta Ursula. I due cercano di resistere alla passione che li travolge ma, come già è accaduto nel passato dei Buendía, questo non risulta possibile. Dopo la partenza del marito Gastón per il Belgio, Amaranta Ursula dà alla luce un piccolo Buendía con la coda di porco, morendo però per le conseguenze del parto: si sta così avverando la profezia sull’animale mitologico che, come era stato predetto, avrebbe messo fine alla stirpe dei Buendía. Aureliano Babilonia, pur disperato, continua nell'impresa di salvare la memoria di Macondo e decifrare gli scritti dello zingaro Melquíades; ossessionato dall'impresa non si accorge che la casa di Macondo è invasa da un esercito di formiche. Mentre le termiti portano via l'ultimo Buendìa con la coda di porco, un vento terrificante s'alza sulla città, cancellando Macondo e sancendo la fine della solitudine dei suoi abitanti.

 

Lo stile del romanzo

 

Márquez ha dichiarato che uno dei trucchi che gli ha permesso di rendere credibile anche il più surreale degli episodi da lui descritti è stato l'inserimento di più dettagli possibili affinché l'impressione fosse che gli episodi avessero un fondamento di verità:

Per esempio, se dici che ci sono degli elefanti che volano in cielo, la gente non ti crederà. Ma se tu dici che ci sono quattrocentonovantacinque elefanti nel cielo, forse qualcuno ti darà credito. […] Quando scrissi l'episodio di Remedios la bella che salì in cielo, mi ci volle molto tempo per renderlo credibile. Un giorno uscii in giardino e vidi la donna che veniva a fare il bucato che stendeva le lenzuola fuori ad asciugare, e c'era moltissimo vento. Stava litigando col vento per non fare volare via le lenzuola. Capii che se avessi usato le lenzuola per Remedios la bella, sarebbe ascesa al cielo Ecco come feci, per rendere l'episodio credibile. 6

La prosa di Cent'anni di solitudine a tratti può ricordare l'incedere di certe genealogie bibliche. Sono solo piccole finestre però, in cui lo scrittore colombiano cerca di evocare il miti laddove è necessario fondare la mitologia del personaggio. L'oralità, il racconto, la leggenda sono nei contenuti più che nello stile. La narrazione infatti si mantiene semplice e veloce, e spesso è oltremodo ricca di avvenimenti, condensando in poche righe tempi lunghissimi.

 

Il tempo e la distanza

 

La struttura dei capitoli che compongono Cent'anni di solitudine segue, se non un vero e proprio modulo narrativo,per lo meno una formula ricorrente: ogni capitolo menziona all'inizio un fatto fondamentale per la vicenda narrata in quel dato capitolo. Tale fatto è, nella grande maggioranza dei casi, l'ultimo in ordine cronologico di cui si parlerà in quello stesso capitolo ed è momentaneamente sottratto dall'ordine cronologico dei fatti e messo in evidenza con una prolessi. Ogni capitolo comincia dunque con un salto nel futuro e prosegue con un unico flashback il cui la narrazione prosegue lineare verso il fatto menzionato all'inizio.

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio 7.

Questo è il celebre incipit del romanzo, che si dimostra una vera e propria dichiarazione di intenti. Oltre a racchiudere in nuce quella che sarà una vera e propria caratteristica del narrare di Márquez, ovvero una prosa che ama giocare col tempo, costruire paralleli tra la storia della Colombia e quella di Macondo, avvicinare l'inizio e la fine di ogni generazione, come accade con gli estremi di un cerchio. Márquez ha così disseminato l'intero romanzo di prolessi, ossia di momenti narrativi che anticipano azioni e pensieri dei personaggi coinvolti. Márquez affida al meccanismo della prolessi i sentimenti più profondi che animano i suoi personaggi e insieme ne dipinge i ricordi catapultandoli in un tempo futuro, prossimo alla morte:

I suoi racconti fantastici [dello zingaro Melquíades] sbalordirono i bambini. Aureliano, che allora non aveva più di cinque anni, lo avrebbe ricordato [suo padre José Arcadio] per il resto della sua vita come lo vide quel pomeriggio, seduto contro il chiarore metallico riverberante della finestra, mentre illuminava con la sua profonda voce di organo i territori più oscuri dell'immaginazione, intanto che colava dalle sue tempie l'untume sciolto del calore. José Arcadio, suo fratello maggiore, avrebbe poi trasmesso quella meravigliosa immagine, come un ricordo ereditario, a tutta la sua discendenza 8.

E ancora:

Quelle allucinanti sedute rimasero impresse in modo tale nella mente dei bambini, che molti anni più tardi, un secondo prima che l'ufficiale degli eserciti regolari comandasse il fuoco al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía rivisse il tiepido pomeriggio di marzo in cui suo padre aveva interrotto la lezione di fisica, ed era rimasto incantato, con la mano in aria e gli occhi immobili, per aver udito in lontananza i pifferi e i tamburi e i sonagli degli zingari che ancora una volta arrivavano al villaggio, proclamando l'ultima e meravigliosa scoperta dei savi di Menfi 9.

I cento anni di Macondo hanno origine in una preistoria mitica e terminano con una catastrofe che spazza via la città e con essa l'intera famiglia. Lo scrittore colombiano fa girare a piacimento la ruota del tempo verso i momenti cruciali del secolo di Macondo: la maggior parte delle anticipazioni ci portano a momenti “mortali” (per esempio, la fucilazione di Arcadio) durante i quali i personaggi sono soliti rivivere nel ricordo gli episodi decisivi della propria esistenza. Nel caso di Aureliano, Márquez porta questo meccanismo all'estremo: anticipando un'esecuzione che non ci sarà fa sì che alla morte mancata del colonnello facciano seguito tutte le morti effettive di altri personaggi di famiglia. La traiettoria verso il futuro (cioè, la prolessi e l’anticipo dei fatti) appare tanto veloce quanto quella verso il passato (cioè, la memoria), così che il presente possa già essere percepito dal lettore, oltre che come tale, anche come ricordo. L'autore e i personaggi si vengono incontro: l'uno sapendo già cosa deve avvenire, gli altri retrocedendo nel passato.

Analogo al contrasto tra il tempo cronologico e quello narrativo-memoriale, è il contrasto tutto spaziale che coinvolge la misura della distanza, a seconda che essa venga attuata da Macondo verso l'esterno o dall'esterno verso Macondo. Ci vogliono mesi e mesi di viaggio per giungere il luogo prescelto per la fondazione di Macondo, ma coloro che raggiungono Macondo da “altrove” impiegano un paio di giorni. Così come ci sono in Cent’anni di solitudine due tipi di tempo - un tempo mentale, che scavalcando gli anni congiunge momenti di più intensa coscienza, e un tempo cronologico, soggetto a regolari misure -  lo stesso vale per la distanza: quella, quasi leggendaria, che separa Macondo da resto del mondo, e quella, molto più modesta, che unisce il mondo esterno alla città mitica dei Buendía 10.

Non a caso, il tempo verbale scelto da Márquez per esprimere il passato mitico della sua saga è l'imperfetto. Esso segnala l'incertezza e il disordine tipici del ricordo, dato che è un tempo verbale che esprime la durata ma non il momento puntuale ed esatto in cui un evento si è verificato nel passato, che quindi diviene un tutto informe, composito, instabile. La nostalgia che il ricordo porta con sé è sempre nostalgia di un disordine.

 

La soledad

 

I Cent'anni di solitudine sono i cento anni della solitudine di Macondo e della famiglia Buendía 11. La soledad è una situazione mentale, una sorta di introversione che i discendenti ereditano dal patriarca José Arcadio. Tale introversione si trasmette di Buendía in Buendía secondo due differenti modalità: sotto forma di attività irrequieta ed eterogenea o, in seconda istanza, come risolutezza paranoica per imprese gratuite e senza futuro. In entrambi i casi si tratta di un'avversione a tutto ciò che è pratico, costruttivo, prosaico.

Il variare dei caratteri e delle vicende della famiglia Buendía non è quindi che un assortimento di tipi di soledad, che in alcuni si fa permanente - pensiamo a Rebeca che si barrica in casa tacciata di uxoricidio o alla totale non appartenenza di “Remedios la bella” al mondo reale - e in altri acquisita, secondo una rotazione che comporta alternanze e che ha il suo miglior esempio nel ritorno, ossessivo e cantilenante, dei medesimi nomi nella dinastia dei Buendía. Farà notare Ursula come gli Aureliani abbiano un carattere introverso e una mente lucida 12, mentre gli José Arcadio - dal superdotato José Arcadio, al dittatore Arcadio fino al gemello scambiato Aureliano Segundo - siano impulsivi, bisognosi di agire e compiere grandi imprese, a tratti gaudenti ma segnati da un destino tragico. Se la solitudine degli Aureliani aumenta con l'aumento del potere - si pensi innanzitutto al colonnello Aureliano - e la loro esistenza diviene un tentativo circolare e irrisolto di spezzare questa solitudine, gli José Arcadio sono tanto più soli quanto più la loro fisicità pantagruelica e al limite dell'irreale si sfoga divenendo simbolo d'incertezza. I due caratteri, l’aurelianeo e l’arcadico, sono di fatto uniti nel patriarca dei Buendía, José Arcadio, morto folle legato a un castagno 13.

La solitudine intesa come corrispettivo dell'incapacità di amare e di offrire solidarietà 14 è uno degli ingredienti fondamentali delle vite dei personaggi di Márquez e non stupisce che spesso l'espressione di tale sentimento sia affidata sempre alla prolessi: anticipando il futuro in un presente incerto e usando tale anticipazione come pretesto per raccontare un passato mitico ma altrettanto solitario, comprendiamo che la solitudine accompagna l'uomo per tutta la vita. Della solitudine non ci si libera, ed è perciò buona cosa stringere con essa un patto onesto.

 

Il real maravilloso di Cent'anni di solitudine

 

L'espressione “real maravilloso” 15 comparve per la prima volta nella prefazione a un testo di Alejo Carpentier, Il regno di questo mondo in cui l'autore, durante un soggiorno ad Haiti, ripensa in modo critico all'esperienza delle avanguardie europee affermando di essere venuto in contatto con una“realtà meravigliosa”, molto più stupefacente di quella descritta dai surrealisti. Meravigliosa è la realtà stessa e non una poetica che prova a spiegarla (come il termine “realismo magico” con cui real maravilloso venne tradotto sembra suggerire): il surrealismo haitiano è per Carpentier un fatto quotidiano e collettivo che riporta i voli pindarici di avanguardie e Modernismo sulla terra. Le complessità teoriche che questi movimenti hanno messo in evidenzia sul piano tecnico-formale (si pensi a Joyce o a Proust) in Cent'anni di solitudine vengono naturalizzate, semplificate, cucite nella trama 16.

Anche per questo, per Cent'anni di solitudine - e per altre opere degli anni Sessanta - si è parlato di un “ritorno alla narrazione” che sana la frattura tra un’avanguardia che spesso giunge all’incomunicabilità e la realtà più fattuale ed umana delle cose. Gli eventi vengono raccontati in una forma che ricorda quella della mito senza rinunciare però a dare spiegazioni, a rendere espliciti cause ed effetti, creando così un effetto molto particolare di sospensione tra realtà e trasfigurazione mitico-onirica.

 

Macondo e  la letteratura-mondo

 

Nel 1967 l'Europa accolse Cent'anni di solitudine con entusiasmo anche perché il romanzo di Márquez ha saputo dialogare attivamente con la tradizione occidentale e i suoi temi innestandovi la particolare visione mitica e “magica” del suo autore: nasce da questa commistione uno di quegli esemplari della Weltliteratur (la “letteratura mondiale”) di cui parlava Goethe e che secondo lo scrittore e filosofo tedesco è proprio fondata dall’interazione delle diverse culture mondiali, capaci di esprimere e simboleggiare la fiducia per “l’universale umano”.

Possiamo dire che centro e simbolo della “letteratura del mondo” di Márquez è proprio la dinastia dei Buendía

 

Il mondo di Macondo è tutto qui: un luogo isolato e lontanissimo ma profondamente reale e presente, che tutto accoglie e tutto vede. Le sei generazioni sei si susseguono con naturalezza ma a dispetto di ogni logica.

Amaranta Ursula [quinta generazione] e il piccolo Aureliano [sesta generazione] si sarebbero ricordati del diluvio come di un'epoca felice. Nonostante la severità di Fernanda [quarta generazione], diguazzavano nei pantani del patio, cacciavano le lucertole per squartarle e giocavano ad avvelenare la minestra buttandovi dentro polvere di ali di farfalle negli attimi di disattenzione di Santa Sofia de la Piedad [terza generazione]. Ursula [prima generazione] era il loro giocattolo più divertente 17.

Cinque generazioni su sei in sole cinquanta parole. La coesistenza è biologica e culturale insieme: coesistono la Storia e la memoria, la fede e il ragionamento, la politica e la magia, le dicerie e la statistica. Il vecchio e il nuovo si combinano nei modi più imprevedibili tenendo Macondo col fiato sospeso e incrementando la sensazione d'incertezza che permea l'intero romanzo e le vite dei suoi protagonisti. I morti continuano a vivere accanto ai vivi e il dialogo tra vivi e morti è come quella tra i testi della letteratura: polifonico e permanente 18.

 

Bibliografia

 

Opere:

- G. García Márquez, Cent'anni di solitudine, Mondadori, 1988

Saggi:

- S. Albertazzi, La letteratura postcoloniale, Carocci, 2013
- F. Moretti, Opere Mondo, Einaudi, 1994
- C. Segre, I segni e la critica, Einaudi, 1969
- P. Stone, Intervista con Gabriel García Márquez, Minimum Fax, 1996

1 P. Stone, Intervista con Gabriel García Márquez, Roma, minimum fax, 1996, pp. 66-67.

2 C. Segre, I segni e la critica, Einaudi, 1969, p. 253.

3 Come è facile notare, una delle caratteristiche del mondo magico ed onirico di Macondo (e della storia familiare dei Buendía, sempre a cavallo tra epica e grottesco) è proprio la labilità del confine tra i vivi e i morti.

4 G. García Márquez, Cent'anni di solitudine, Milano, Mondadori, 1988, p. 103.

5 Ivi, p. 233.

6 P. Stone, Intervista con Gabriel García Márquez, Minimum Fax, 1996, pp. 43-44.

7 G. García Márquez, Cent'anni di solitudine, cit., p. 3.

8 Ivi, p. 8.

9 Ivi, p. 17.

10 C. Segre, I segni e la critica, Torino, Einaudi, 1969, pp. 252-255.

11 Ivi, p. 241.

12 Tra questi: il colonnello Aureliano, il gemello sospettato di aver cambiato identità José Arcadio Secundo e l'ultimo della stirpe Aureliano Babilonia.

13 C. Segre, I segni e la critica, cit., pp. 255-263.

14 G. Marquez, Cent'anni di solitudine, cit., Introduzione, p. VIII.

15 F. Moretti, Opere Mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent'anni di solitudine, Torino, Einaudi, 1994, pp. 220-227.

16 Questa circostanza ha anche una spiegazione storica: l'Inquisizione ha per tre secoli proibito che in America Latina circolassero romanzi europei. Il risultato è un sistema letterario ricchissimo in cui l'assenza del romanzo ha permesso la sopravvivenza di tutta una serie di forme che in Europa il romanzo ha spazzato via. Si pensi alle forme narrative pre-realistiche quali miti, leggende e romanzi cavallereschi o a forme ibride che mescolano o sfumano il confine tra invenzione e fatto storico. È un mondo, dove lo straordinario, il mostruoso, il miracolo - in una parola: l'avventura - occupano ancora il centro del quadro.

17 G. García Márquez, Cent'anni di solitudine, cit., p. 320.

18 È stato il critico e filosofo russo Michail Bachtin (1895-1975) il primo a parlare di “dialogismo” e “polifonia” in letteratura.