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Foscolo, "All'amica risanata": analisi del testo e commento

Parafrasi Analisi

Introduzione

 

All'amica risanata è un’ode composta da Ugo Foscolo per celebrare la guarigione di Antonietta Fagnani Arese, con la quale il poeta ebbe una relazione tra il 1800 e il 1803. Il testo fu inserito nell'edizione definitiva dellePoesie, pubblicate a Milano nel 1803 assieme a dodici sonetti (tra cui A Zacinto, Alla sera e In morte del fratello Giovanni) e all'altra ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, comparsa già in precedenti edizioni.

 

Analisi e commento

 

All’amica risanata è un componimento d'occasione, cioè un testo che, secondo una “moda” tipica della poesia di fine Settecento, viene composto per celebrare un evento e un personaggio ad esso collegato. Qui l’occasione è la guarigione di Antonietta Fagnani Arese, nobildonna milanese e figura di spicco della società napoleonica del periodo, con cui Foscolo intreccia una relazione. La donna è malata nell’inverno tra 1801 e 1802 e si ristabilisce solo nella primavera di quell’anno; in quel momento Foscolo inizia la composizione del testo, che lo impegna fino ai primi mesi del 1803. L’ode è pronta quando ormai il legame tra i due si è sciolto: alla celebrazione della bellezza di Antonietta si affianca quindi nel testo la riflessione di Foscolo sul ruolo e sulle finalità della poesia.

Il testo è strutturalmente diviso in due parti: la prima (vv. 1-48) canta appunto la guarigione dell'amica e la riconquista della sua usuale bellezza, che finisce per acquisire un valore assoluto, secondo il tema - assai caro a Foscolo fino alle Grazie - della funzione consolatrice e rasserenante del bello, che già era presente in alcune pagine delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. La donna amata, secondo una raffinata descrizione neoclassica, diviene in tutto e per tutto simile ad una dea greca ed è il tramite per il raggiungimento di un ordine superiore, che riscatta la vita del poeta dalle sue delusioni e dalle sue sofferenze. Si tratta di un argomento già affacciatosi nell’ode A Luigia Pallavicini, ma che in questo caso viene sviluppato in maniera più completa ed organica. Come nelle ultime odi classicistiche di Giuseppe PariniAlla amica risanata mostra un chiaro gusto neoclassico per l’immaginario classico-mitologico: il risveglio dell’Arese dal letto è descritto in un’ampia perifrasi che occupa i vv. 1-12, con un paragone con il sorgere del’aurora fitto di rimandi classici (l’Eneide di Virgilio) e moderni (L’educazione di Parini). La contemplazione della donna si arricchisce di personificazioni (come quella delle “Ore” ai vv. 19-20), raffinati quadretti classicheggianti (vv. 21-29), che innalzano il livello stilistico dell’ode e svincolano il discorso poetico dalla contingenza della guarigione per trasporlo in un contesto erudito e letterario, che anticipa il tema della seconda parte del testo. Foscolo sottolinea - in particolar modo tra i vv. 31-49 - che il ritorno alla vita della Fagnani Arese coincide con il recupero della sua consueta bellezza (vv. 38-42: “ [...] e l’agile | corpo all’aure fidando, | ignoti vezzi sfuggono | dai manti, e dal negletto | velo scomposto sul sommosso petto”), che contribuisce alla divinizzazione della donna.

La strofa ai vv. 49-54 è lo snodo tra prima e seconda parte è una breve considerazione sulla fugacità della bellezza e della vita umane, che introduce il tema centrale (vv. 55-96) dell’ode, ovvero il ruolo eternante della poesia, che anticipa la materia poi sviluppata nel carme dei Sepolcri. Foscolo sviluppa qui complesse figurazioni mitologiche per citare “la casta Artemide” (v. 58), Bellona, “invitta amazzone” (v. 67), Venere (la “Citera” del v. 79): tutte e tre le dee, secondo la concezione evemeristica dei miti 1, erano creature mortali trasformate in divinità dai racconti degli uomini sulle loro imprese. Il compito che Foscolo assegna alla poesia è sostanzialmente questo: rendere eterna la bellezza femminile, perché essa è simbolo dei valori più alti dell’umanità. L’ode si chiude sulla celebrazione della poesia e del poeta stesso. Dal contenuto d’occasione si è allora passati ad una riflessione metaletteraria in cui il termine di paragone per i propri versi è la lirica eolica di Saffo (v. 87: “di Faon la fanciulla”), che Foscolo, avvicinato alla poetessa dai natali nell’isola di Zacinto (v. 85: “Ebbi in quel mar la culla”), dice d’aver tradotto (vv. 92-93: “[...] su l’Itala | grave cetra derivo”) nei versi italiani 2. Mentre gli ultimi versi (vv. 95-96: “e avrai divina i voti | fra gl’inni miei delle insubri nepoti”) assicurano la fama imperitura alla Fagnani (che è comunque passata in secondo piano), l’obiettivo di Foscolo è ben più profondo: si tratta infatti di riaffemare il valore della cultura classico-umanistica come un insieme di valori etici ed estetici che al poeta sembrano imprescindibili per affrontare (e superare) le ansie e le disillusioni della contingenza storica che egli sta vivendo. L’autobiografismo tipico di Foscolo si fa qui letteratura, ma è la letteratura stessa che è, per l’autore, sostanza della via.

Dal punto di vista stilistico, la struttura metrica dell’ode - sedici strofe di cinque settenari piani e sdruccioli e un endecasillabo finale, rimati secondo lo schema abacdD - si dimostra particolarmente funzionale a sviluppare il discorso del poeta. Il ritmo disteso, scandito dal rilievo delle vocali accentate - a - ed - e -, si sposa con l’andamento sintattico del testo, che è particolarmente complesso e articolato. Foscolo infatti privilegia un andamento paratattico, in cui però inserisce con abilità subordinate (relative, causali e temporali) ed incisi, scanditi da enjambements, che in alcuni casi (vv. 6-7, vv. 36-37, vv. 78-79, vv. 90-91) sono presenti anche tra una strofa e l’altra. Il lessico è prezioso e selezionato, come previsto dalla sensibilità neoclassica: i capelli dell’amata diventano “i rugiadosi crini” (v. 3), il suo corpo le “dive membra” (vv. 7-8), il letto della malattia, con metonimia, è “l’egro talamo” (v. 8), le calzature i “candidi coturni” (v. 25), con rimando alla Grecia classica.

1 L’evemerismo prende il nome dal filosofo Evemero da Messina (330-250 ca. a.C.) che nella sua Storia sacra formulò la tesi, di indirizzo materialistico e razionalistico, secondo cui l’origine degli dei è dovuta alle narrazioni orali sorte sulle gesta pressoché incredibili di uomini mortali, cui venivano assegnati poteri sovrannaturali.

2 Alle spalle di Foscolo c’è un significativo modello, quello del poeta latino Orazio, che nell’ode Exegi monumentum (Odi, III, 30) affermava un simile primato: quello cioè d’essere stato il primo tra i poeti latini a confrontarsi alla pari con la grande lirica eolica di Alceo e Saffo; vv. 10-14: “Dìcar quà violèns òbstrepit Àufidus | èt qua pàuper aquàe Dàunus agrèstium | règnavìt populòrum, ex hùmili pòtens | prìnceps Àeoliùm càrmen ad Ìtalos | dèduxìsse modòs”. Traduzione: “Si dirà di me, laddove violento rumoreggia l’Ofanto | e laddove povero di acqua Dauno regnò | su popoli agresti, che io, [divenuto] da umile grande, | per primo ho trasferito la poesia eolica nelle | modulazioni italiche”.