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Il feudalesimo: riassunto

Poche cose, tanto nell'immaginario collettivo quanto nella letteratura scientifica, rappresentano il Medioevo meglio delle istituzioni feudali. Anche quegli storici che, come Henri Pirenne 1, sottolineano la continuità dei primi secoli del cosiddetto Alto Medioevo con la tarda-antichità, non possono esimersi dal rilevare la sostanziale estraneità dell'impianto sociale, economico, politico e militare della civiltà feudale rispetto al modello classico. In altre parole, il feudalesimo rappresenterebbe una delle maggiori – se non la maggiore in assoluto – innovazioni che dal mondo germanico si sono estese in tutto il territorio europeo: un portato originale delle nuove popolazioni insediatesi in Europa Occidentale dopo la caduta dell'Impero

Ora, è indubbio che proprio per questo motivo tutto quello che ha a che fare con la civiltà feudale, che accentuando in qualche misura quanto detto potremmo ritenere come rappresentativa della civiltà medioevale nel suo insieme, presenti quella ricchezza simbolica e polisemica che è uno dei tratti più significativi della mentalità del tempo. Parlare, ad esempio, di investitura feudale implica introdurre nel discorso elementi di storia della cavalleria, di storia dei rapporti fra Chiesa ed Impero, di storia economica e produttiva.

Nel tentativo di fornire una bussola per orientarsi nel discorso, partiremo da un fatto piuttosto semplice, vale a dire l'accelerazione cui tutte le dinamiche appena citate vanno incontro a partire dall'affermazione della dinastia carolingia.
Quando Carlo Magno si trovò a dover amministrare un Impero egli non poté che riprodurre in esso l'idea di società propria alle tribù germaniche, solo su scala infinitamente più grande e con conseguenze di capitale importanza per la storia europea. Come scrive Jacques Le Goff:

i Franchi, malgrado gli sforzi per attingere da Roma la sua eredità politica e amministrativa, non avevano acquistato il senso dello Stato. Il regno era considerato dai Franchi come una loro proprietà, allo stesso modo dei possessi e dei tesori. Ne facevano comodamente parte ad altri […] ma si avverte ormai quello che sta accadendo di decisivo nell'epoca carolingia per il mondo medioevale. Ogni uomo dipenderà sempre più dal suo signore, e questo orizzonte limitato, questo giogo tanto più pesante quanto più è portato in un circolo ristretto, saranno riconosiuti nel diritto, la base del potere sarà sempre più il possesso della terra, e il fondamento della moralità sarà la fedeltà, la fede che sostituirà per molto tempo le virtù civiche greco-romane. L'uomo antico doveva essere giusto o retto, l'uomo medioevale dovrà essere fedele. I cattivi saranno d'ora in poi gli infedeli 2.

Alle popolazioni germaniche risultava completamente aliena l'idea di Stato, essendo la famiglia allargata, la tribù, l'unità sociale costitutiva ritenuta sede naturale dell'esercizio dell'attività di governo oltre che l’organismo chiamato a risolvere ogni disputa eventualmente occorsa. Per questo motivo, allorché lo stanziamento dei barbari in Italia rese possibile un loro affinamento culturale e politico con conseguente passaggio ad un diritto scritto, questo avvenne comunque attraverso la riproposizione di un modello all'interno del quale ogni aspetto della vita pubblica passava per i rapporti personali esistenti fra le persone coinvolte. Risulta allora chiara la ragione per la quale Carlo Magno, trovandosi a dover gestire un territorio sterminato, abbia scelto di farlo primariamente condividendo le responsabilità di governo con i propri uomini più fidati: i condottieri più valorosi, ossia i membri di spicco della cavalleria. Dono e, al tempo stesso, vincolo di fedeltà divenne allora il feudo, dal termine germanico vieh ossia “bene”, “pecunia”, “risorsa materiale”. Quale risorsa potesse mai essere stimata la più preziosa e pertanto la più vincolante in una società basata sul possesso e sul mantenimento dei cavalli risulta piuttosto ovvio: la terra.

D'altronde, ed allo scopo di guardare le cose da un altro punto di vista, è anche possibile osservare con Henri Pirenne che:

se è vero che il re si considera proprietario del suo regno, la regalità non ha pertanto un carattere così privato come s'è sostenuto. Il re separa la sua sostanza privata dal tesoro pubblico […] alla morte del re i suoi stati si dividono fra i figli; ma questo fenomeno è una conseguenza della conquista […] il loro stato [dei Franchi] fu più barbaro, ma non germanico. Anche qui l'organizzazione delle imposte e della moneta è conservata; anche qui ci sono conti in ciascuna città, essendo le province sparite .[...] se si considera l'insieme di tutti questi regni barbari vi si trovano tre aspetti in comune. Essi sono assoluti e laici, e gli strumenti del potere sono il fisco e il tesoro 3.

Le parole di Pirenne hanno il merito di chiarire un paio di aspetti fondamentali.

In primo luogo, fino all'VIII secolo non è possibile tracciare una linea di confine netta fra Impero romano e regni germanici, in quanto nel momento stesso in cui questi ultimi iniziarono ad esistere in quanto tali, finirono con l'assorbire i principali tratti della tarda romanità, fra i quali l'assolutezza del potere regio ed il suo esprimersi attraverso l'estensione del patrimonio fondiario.

In secondo luogo, lo stesso Pirenne introdurrà in seguito la tesi che il primo sovrano autenticamente “germanico” sarebbe proprio Carlo Magno, il quale, a causadella eccezionale estensione dei suoi domini e dell'espansione musulmana fra VII ed VIII secolo, si sarebbe finalmente trovato costretto a forzare e superare la dimensione “romana” del potere regio. In particolare, l’espansione islamica comportò la chiusura del Mar Mediterraneo alle rotte cristiane e il definitivo venir meno di una civiltà, come quella classica e medioevale fino a quel momento, basata sulla centralità economica, commerciale e culturale del mare nostrum, e pertanto su un sistema economico aperto fondato sul commercio e sulla circolazione della moneta.

In luogo di questa, emerse una civiltà schiettamente continentale, caratterizzata da un'economia basata sul possesso fondiario ed anche da un diverso modo di fare la guerra.

Non è possibile spiegare i travolgenti successi ottenuti dai Franchi sui campi di battaglia europei senza parlare dello strumento che consentì loro di conseguirli: lo sviluppo e la diffusione in Europa Occidentale della cavalleria pesante. L'uso strategico della cavalleria non appartiene, com'è noto, alla tradizione militare romana, e viene introdotto solo fra il II ed il III secolo, particolarmente nelle legioni orientali, grazie all'influenza delle tecniche impiegate dalle popolazioni delle steppe asiatiche. Inoltre, pare che l'introduzione in Occidente della staffa, strumento indispensabile per rendere possibile la carica a piena forza sul cavallo senza rischio di disarcionamento, vada attribuita al generale bizantino Belisario, che servì sotto Giustiniano nella guerra greco-gotica (535-553) 4. In Occidente, il ricorso diffuso alla cavalleria pesante si deve alle popolazioni germaniche, e si deve in particolare ai Franchi il perfezionamento della sua efficacia mediante un più approfondito e razionale sviluppo della metallurgia, tant'è vero che lo sfruttamento di una buona parte dei giacimenti superficiali di ferro presenti nell'area franco-tedesca risale proprio al periodo carolingio.

La centralità assunta dalla cavalleria nell'esercito franco fece sì che i carolingi disegnassero un modello sociale pensato intorno alla classe sociale che componeva i suoi ranghi. Si trattava di una aristocrazia militare che basava la sua forza sul possesso e sul mantenimento del destriero, che si trasformava così nella vera arma decisiva di tutte le battaglie di età medioevale. Si può dire infatti che, fino alla Guerra dei Cent'Anni (1337-1543), la cavalleria sia rimasta l'indiscussa protagonista dei campi di battaglia europei e, con essa, la società che le era stata costruita intorno, vale a dire la società feudale.

La necessità di mantenere un livello di guardia costantemente alto lungo le frontiere dell'Impero, nei confronti di nemici vecchi e nuovi, sortì dunque l'effetto di radicalizzare la convinzione che la via migliore per garantire solidità alla compagine imperiale fosse obbligare gli uomini più potenti a prestare giuramento e legarsi ad un rapporto di vassaticum, in cambio della concessione dei diritti di sfruttamento su un territorio più o meno esteso. Nacquero così le Contee, territori interni sottoposti al controllo indiretto di un Conte, per quanto riguarda l’aspetto amministrativo e di esercizio della giustizia, e le Marche, territori più estesi posti in zone di frontiera e controllati direttamente da un Marchese a fini militari. A partire dalla metà del IX secolo, con la crescente insicurezza generata dalle prime ondate dei nuovi invasori Vichinghi da Nord e Ungari da Est, il termine miles prende sempre più spesso il posto del termine vassus, che viene invece utilizzatoper indicare il servo: la militarizzazione crescente imposta dalle urgenze belliche impresse una velocizzazione al processo di feudalizzazione.

La classe dominante qualificava se stessa essenzialmente in forza di due prerogative. La prima è di natura economica: il feudatario nasce come cavaliere, ossia come persona in grado di provvedere alla cura ed al mantenimento di uno o più cavalli. La seconda, invece, è di natura militare: il feudatario, in quanto uomo d'armi, è persona in grado di garantire la sicurezza sua e di coloro che associa a se stesso nella gestione del potere, oltre che di coloro che ne accettano la signorìa per ricevere in cambio protezione. In realtà, i due aspetti sono strettamente collegati, in quanto è la proprietà del cavallo a trasformare il feudatario in un “professionista” della guerra. Non per niente imparare a combattere a cavallo ed a convivere con esso rappresentava una tappa decisiva ed irrinunciabile nella formazione di ogni giovane nobile. Si potrebbe dire che il cavallo sia statoil grande co-protagonista della società feudale, su un gradino appena inferiore al feudatario stesso. Il cavallo era infatti al centro di buona parte del sistema produttivo, ed occupava un ruolo di assoluto prestigio in quanto vero status symbol dell'epoca:

nel mondo cavalleresco questi animali erano oggetto di altrettanta considerazione, cura, brama delle automobili da corsa o delle super moto dei nostri tempi. I signori più ricchi se ne disputavano gli esemplari migliori, si rovinavano per acquistarli ed i mercanti di cavalli erano fra gli uomini d'affari più facoltosi […] ai contadini era fatto obbligo di trasportare nella fortezza vicina al villaggio grossi carichi d'avena e anche buona parte della terra coltivata era destinata all'approvvigionamento delle scuderie feudali 5.

Questo non stupirà se si tiene presente come l'aristocrazia feudale legittimasse se stessa in quanto parte di un sistema militare. Hegel, nella Fenomenologia dello Spirito, coglie questo punto con estrema lucidità, asserendo che la divisione della società in signori e servi nasce a seguito di una lotta per il riconoscimento dalla quale il signore esce vincitore grazie al suo coraggio e alla sua determinazione che lo portano a rischiare la propria stessa vita, mentre il servo, non essendo disposto a perdere tanto, sceglie di servire pur di vedere garantita la propria sopravvivenza 6. Così, se il possesso e l'esercizio delle armi sono il carattere distintivo del signore, l'obbligo al lavoro lo è del servo. Due terzi della società medioevale – bellatores e laboratores – trovano così giustificata la loro ragion d'essere. I rapporti fra signore e servo sono dunque fondati sul mantenimento di determinati ruoli: il signore è la personificazione vivente della legge e dell'ordine, che egli amministra per conto del Re o dell'Imperatore – i quali, a loro volta, nella mentalità medioevale, esercitano le loro prerogative per conto di Dio, pensato come una sorta di “signore feudale supremo” –, inoltre garantisce al servo un'esistenza il più possibile al riparo dalle angherie dei fuorilegge e della violenza degli altri signori, in cambio di una parte dei raccolti. I due diritti fondamentali, quello alla sopravvivenza e quello alla sicurezza, sono dunque salvaguardati dal signore. 

Il servo, dal canto suo, in forza del giuramento di fedeltà prestato si impegna ad offrire al signore i frutti della sua attività agricola, oltre una quantità di prestazioni gratuite ed illimitate (le corvées).

È pertanto facile comprendere come il controllo sull'intera società medioevale dipendesse dalla capacità di investire qualcuno di un titolo feudale (Duca, Conte o Marchese nella maggioranza dei casi) legandolo a sé con un legame di fedeltà che, indirettamente, si sarebbe esteso anche a tutti coloro che costui avrebbe a sua volta investito come suoi vassalli. In questo modo compare sulla scena anche il terzo ceto della società medioevale, vale a dire quegli oratores che troviamo non a caso contrapposti ai bellatores in quella che sarebbe passata alla storia come lotta per le investiture. La piramide feudale non poteva avere che uno ed un solo vertice, ma la spaccatura che separava le due istituzioni universali della Cristianità era talmente impossibile da sanare che nel 1122, il Concordato di Worms, sancì che in Germania la massima autorità sarebbe stata quella imperiale, mentre in Italia sarebbe stata quella papale. L'annoso problema, sollevato da Ottone il Grande nel X secolo con la creazione dei vescovi-conti, si chiuse non già separando realmente le due investiture, ma risolvendo di riconoscere come prioritaria quella temporale in Germania e quella spirituale in Italia.

In definitiva, l'impressione è che le dinamiche feudali si siano estese anche alla Chiesa, la quale in teoria avrebbe dovuto essere l'istituzione più di tutte ad essa impermeabile, in quanto ben più antica e ben più “romana” di ogni tradizione feudale, e dunque germanica. Anche in questo caso, dunque, il feudalesimo si conferma come reale minimo comune denominatore dell'Evo Medio.

L'emanazione, nell'877, del cosiddetto capitolare di Quierzy con il quale Carlo il Calvo decretava il diritto all'ereditarietà dei benefici feudali e che nelle intenzioni del sovrano avrebbe dovuto rafforzare la lealtà dei feudatari. In realtà conduce a una netta sottrazione di sovranità del potere centrale su una serie di territori che la Corona cessava di fatto di poter reclamare: tutto, anche in questo caso, dipendeva dalla tenuta dei rapporti personali instauratisi fra Re e vassalli, i più potenti dei quali iniziarono a loro volta a conferire l'investitura a uomini a loro fedeli (che presero il nome di valvassori) per condividere l'onere dell'amministrazione dei territori più estesi. In questo modo, il legame di fedeltà vincolava sì i vassalli al Re, ma non i valvassori, i quali, reciprocamente, giuravano sulla spada del vassallo che assegnava loro una parte dei suoi domini. In questa situazione, quand'anche il Re fosse stato nella condizione di poter contare sulla fedeltà di tutti i suoi vassalli – dai quali dipendeva non solo per riscuotere tributi, ma anche e sopratutto per arruolare truppe e costituire eserciti – la tenuta del patto feudale veniva a poggiare anche sulla fedeltà di tutti i valvassori nei confronti dei vassalli, rispetto alla quale il Re non disponeva di alcuno strumento di controllo o influenza diretta.

Oltre questi limiti strutturali il Sacro Romano Impero non seppe andare, come dimostra la sua brevissima vita di appena quarantatre anni. Alla sua disgregazione le nazioni d'Europa trovarono vie diverse per rimediare ai vuoti di potere insiti nella piramide feudale.

In Germania la sclerotizzazione del policentrismo feudale sopravvive fino alla Bolla d'Oro (1356) ed oltre, fondando la realtà di un potere imperiale che esprime il precario equilibrio raggiunto dai Prìncipi Elettori: i destini dell'Impero appaiono così indissolubilmente legati a quelli del feudalesimo, al punto che l'Impero sconta con la debolezza dell'autorità centrale la maggiore debolezza del principio feudale. Si tratta di una conseguenza inevitabile, perché se il feudalesimo rappresenta la quintessenza del modello sociale ed economico proprio alla civiltà medioevale, così l'Impero è la stessa materializzazione dell'universalismo politico che esclude a priori il principio nazionale ed è base della riflessione politica più autenticamente medioevale: basti pensare al De Monarchia di Dante.

Al contrario, in Francia e in Italia centro-settentrionale l'allontanamento dal modello feudale è particolarmente precoce, e prende, rispettivamente, la forma di una monarchia accentrata e destinata a divenire assoluta in Francia, e dell'esperimento comunale destinato a mutare nella direzione delle signorie e dei principati in Italia: in entrambi i casi il superamento del modello feudale coincide con l'uscita dal Medioevo e l'ingresso di queste aree nella prima modernità.

In Inghilterra e in Italia del Sud il feudalesimo viene portato dai Normanni, nel primo caso con lo sbarco vittorioso di Guglielmo il Conquistatore ad Hastings (1066), nel secondo con la fondazione del Regno di Sicilia (1130). Questi due stati conosceranno una storia molto diversa: in Inghilterra l'impianto feudale si mantiene vitale fino alla graduale affermazione di un modello basato sulla divisione dei poteri fra Corona e Parlamento, mentre in Italia meridionale esso dura molto più a lungo, garantendo una singolare longevità alla classe nobiliare locale, significativamente fondata sul monopolio del possesso fondiario e sull'assenza della piccola e media proprietà terriera.

1 Cfr. H. Pirenne, Maometto e Carlomagno, a cura di M. Vinciguerra, Laterza, Bari 2015.

2 J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale, a cura di A. Menitoni, Einaudi, Torino 1999, pp. 57-62.

3 H. Pirenne, Maometto e Carlomagno, cit., pp. 41-43.

4 Tuttavia l’uso della staffa non dovette essere pienamente affermato, in quanto ancora nel VII Secolo compaiono raffigurazioni rappresentanti cavalieri privi di staffa

5 G. Duby, L'avventura di un cavaliere medioevale, a cura di C.M. Carbone, Laterza, Bari 2015, p. 34.

6 Si tratta della dialettica servo-padrone trattata da Hegel alla fine della IV sezione della Fenomenologia dello Spirito. Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2000, pp.279-291.