Il "Fermo e Lucia" e il tema amoroso

Lettura e commento del capitolo primo del tomo secondo del Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni, a cura di Alessandro Mazzini.

Manzoni, dopo aver descritto la separazione dei due "promessi sposi", interrompe la narrazione dei fatti per affrontare quella che egli stesso definisce una "discussione di princìpi". Si tratta di un tipo di esigenza già manifestata nella prefazione al Conte di Carmagnola: quella di non lasciare che il fruitore del testo venga semplicemente coinvolto dalla storia, ma di indurlo a riflettere sulle implicazioni etiche presentate dalla storia stessa attraverso le parole dell'autore, che si pone come guida e coscienza critica per il pubblico.

La discussione che qui si presenta è tra la voce narrante e un personaggio ideale, che critica l'assenza dello sviluppo del tema amoroso nella vicenda. Manzoni, con un gioco ironico, sfrutta per rispondere la risorsa del manoscritto: la storia in realtà - afferma l'autore - trabocca di argomenti d'amore, che tuttavia nel suo rifacimento si è scelto di saltare; egli giustifica la decisione affermando "io sono del parere di coloro i quali dicono che non si deve scrivere d’amore in modo da far consentire l’animo di chi legge a questa passione". Manzoni dichiara poi che, parlando d'amore, verrebbe compromessa l'universalità del pubblico a cui il romanzo si rivolge. Ma l'argomentazione più autentica dello scrittore è espressa da questa frase: "vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisogno, e che uno scrittore secondo le sue forze può diffondere un po’ più negli animi: come sarebbe la commiserazione, l’affetto al prossimo, la dolcezza, l’indulgenza, il sacrificio di se stesso: oh di questi non v’ha mai eccesso; e lode a quegli scrittori che cercano di metterne un po’ più nelle cose di questo mondo: ma dell’amore come vi diceva, ve n’ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie."

Alessandro Mazzini è professore di Greco e Latino presso il Liceo Classico Manzoni. Si è laureato in Letteratura Greca con il professore Dario Del Corno presso L'Università degli Studi di Milano. Ha collaborato con riviste di divulgazione culturale e ha insegnato per 10 anni Lingua e Letteratura Italiana e Lingua e Letteratura Greca presso il Liceo della Scuola Svizzera di Milano. Dal 2001 è ordinario di Italiano e Latino nei Licei e dal 2003 ordinario di Greco e Latino al Liceo Classico.
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Nel capitolo primo del tomo secondo del Fermo e Lucia, dopo la separazione dei due promessi costretti ad abbandonare il proprio paese, Manzoni interrompe la narrazione dei fatti per affrontare quella che egli stesso definisce una ”discussione di principi”. L’introduzione della storia propriamente detta ci consente di focalizzare l’attenzione su di una struttura organizzativa della materia che costruisce l’attuazione di un’esigenza che l’autore aveva manifestato già a partire dalla Prefazione al Conte di Carmagnola, quando parlava del coro. L’esigenza di non lasciare che il fruitore del testo fosse semplicemente coinvolto dalla storia, ma di indurlo a riflettere sulle implicazioni etiche presentate dalla storia stessa attraverso le parole dell’autore che si pone come guida e coscienza critica per il pubblico.


In effetti sia il Fermo e Lucia”, in misura maggiore, che I Promessi Sposi, si presentano come romanzi-saggi, come opere in cui l’elemento narrativo è costantemente affiancato dalla riflessione, condotta dalla voce narrante, sulle implicazioni etiche che la vicenda comporta. Nella fattispecie la discussione sui principi che apre il tomo secondo si presenta come una discussione tra la voce narrante e un personaggio ideale che critica l’assenza di sviluppo del tema amoroso nella vicenda. L’obiezione, insomma, è che la storia narrata non dimostra innamorati i due giovani, soprattutto dopo che il loro distacco è avvenuto per costrizione e quindi la storia ometta qualsiasi manifestazione d’amore tra i due. La risposta dell’autore a questa obiezione sfrutta innanzitutto la risorsa del manoscritto, con un gioco ironico che è costante del romanzo; in realtà, afferma l’autore, la storia trabocca di questi argomenti d’amore, ma nel suo rifacimento egli confessa di saltare questi elementi e si giustifica in questo modo:

 

Perché io sono del parere di coloro i quali dicono che non si deve scrivere d'amore in modo da far consentire l'animo di chi legge a questa passione.

Inizialmente Manzoni sostiene questa posizione argomentando che la storia potrebbe essere letta da persone che per la loro situazione particolare - cita l’esempio di una donna non più giovane rimasta nubile o di un prete - sono costrette a rinunciare al sentimento amoroso. Dunque implicitamente Manzoni si fa carico dell’esigenza di attenzione che un’opera letteraria deve avere a non danneggiare, a non offendere i possibili lettori dell’opera, sottintendendo in questo modo l’universalità del pubblico a cui un romanzo si rivolge. Tuttavia si ha l’impressione che l’argomentazione più vera di questo rifiuto a scrivere d’amore sia espressa da queste affermazioni:

 

Concludo che l'amore è necessario a questo mondo: ma ve n'ha quanto basta, e non fa mestieri che altri si dia la briga di coltivarlo; e che col volerlo coltivare non si fa altro che farne nascere dove non fa bisogno. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisogno, e che uno scrittore secondo le sue forze può diffondere un po' più negli animi.

Alla fine questa si rivela la giustificazione della prassi letteraria e del fare letteratura:

 

Come sarebbe la commiserazione, l'affetto al prossimo, la dolcezza, l'indulgenza, il sacrificio di se stesso: oh di questi non v'ha mai eccesso; e lode a quegli scrittori che cercano di metterne un po' più nelle cose di questo mondo: ma dell'amore come vi diceva, ve n'ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque opera imprudente l'andarlo fomentando cogli scritti; e ne son tanto persuaso; che se un bel giorno per un prodigio, mi venissero ispirate le pagine più eloquenti d'amore che un uomo abbia mai scritte, non piglierei la penna per metterne una linea sulla carta: tanto son certo che me ne pentirei.

L’autore poi prosegue citando il caso di pentimento che caratterizzava l’approccio di Petrarca e Racine ai loro scritti d’amore e davanti all’obiezione dello sconcertato interlocutore, che gli fa presente come togliendo l’argomento d’amore l’autore tolga un argomento potente di interesse nei confronti dei lettori, Manzoni osserva:

 

Se le lettere dovessero aver per fine di divertire quella classe d'uomini che non fa quasi altro che divertirsi, sarebbero la più frivola, la più servile, l'ultima delle professioni. E vi confesso che troverei qualche cosa di più ragionevole, di più umano, e di più degno nelle occupazioni di un montambanco che in una fiera trattiene con sue storie una folla di contadini: costui almeno può aver fatti passare qualche momenti gaj a quelli che vivono di stenti e di malinconie; ed è qualche cosa.

Per Manzoni la letteratura non può essere fine a se stessa e il bello non è fine a se stesso; questa idea infatti trova ulteriore sviluppo in un passo tratto dai Materiali estetici, una raccolta di materiali che Manzoni appuntò per i suoi vari trattati senza mai pubblicarli; in essi osserva quanto segue: "Egli è strano udire un uomo che in un componimento fatto per cantare verbigrazia le nozze del signor tale con la signora tale […], facendo riferimento alla poesia d’occasione che caratterizzava la lirica italiana, “o altro fatto di simile importanza”, ovviamente detto con ironia, “l’udirlo, dico, parlare con disprezzo di coloro che per sete d’oro tentano l’elemento infido, e tali altre bazzecole, le quali non voglion dir altro se no anche il commercio è una corbelleri, anzi una peste, e l’uomo che vuol bene meritare dei contemporanei e dei posteri deve starsene a scander versi per le nozze del signor tale con la signora tale. Così nei libri di scienze scritti da un di quegli uomini che vedono una cosa sola, e non sanno distinguere nemmeno le più vicine a quella, è parlato della poesia come di una baja di fanciulli. E non è raro di trovare l'epiteto poetico per qualificare una immaginazione falsa, non fondata, o stravagante. Il che non vuol dire altro se non che questi scrittori non sanno che sia, che sia stata e che possa essere la poesia.”

 

Se la letteratura deve solo divertire è meglio lasciarla perdere.