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Dostoevskij: biografia e opere

Fëdor Michajlovič Dostoevskij nasce a Mosca nel 1821, secondo di sette fratelli. Il padre, Michail, è medico presso l’ospedale dei poveri ed è un uomo autoritario, progressivamente dedito all’alcolismo; la madre, Marija, proviene invece da una famiglia di mercanti: minata dalle continue gravidanze e dalla tisi muore nel 1837. In seguito a questa scomparsa, Dostoevskij fa domanda per entrare alla Scuola Superiore di Ingegneria di Pietroburgo e vi si trasferisce nel 1838. L’anno successivo il padre viene assassinato dai propri servi, esasperati dai suoi comportamenti: ricevuta la notizia, Fëdor ha il primo degli attacchi epilettici che segneranno la sua vita. Sulla figura paterna Dostoevskij modellerà almeno in parte, molti anni dopo, il personaggio di Fëdor Karamazov nei Fratelli Karamazov (1878-1880), il suo ultimo libro.

A Pietroburgo, Dostoevskij è più interessato alla letteratura che all’ingegneria: legge E. T. A. Hoffmann, Goethe, Hugo, Puškin, Schiller e si innamora di Gogol’ e Balzac – del quale, a soli 22 anni, traduce Eugénie Grandet. Sono gli anni di un apprendistato letterario che lo porterà a scrivere, nel 1844, il primo romanzo, Povera gente, che diventa subito un caso letterario. L’anno successivo, con Il sosia, Dostoevskij introduce nella propria narrativa uno dei suoi grandi filoni tematici: quello del doppio. Nel frattempo, contrae il vizio del gioco – che lo porterà più volte sull’orlo della bancarotta e del quale parlerà esplicitamente nel romanzo Il giocatore (1866). Affascinato dalle idee socialiste partecipa a Pietroburgo agli incontri del circolo Petraševskij, di ispirazione fourierista (dal nome e le idee del filosofo utopista francese Charles Fourier, 1772-1837): nel 1849, insieme ad alcuni compagni, viene arrestato e condannato a morte ma, come era pratica frequente all’epoca, davanti al plotone d’esecuzione la sentenza è commutata in una condanna ai lavori forzati in Siberia. Questo è, naturalmente, uno spartiacque nella vita di Dostoevskij, che trascorre i successivi quattro anni in un campo di prigionia di Omsk, in compagnia di altri forzati e di un unico libro: la Bibbia. Lì, matura una visione profondamente cristiana del mondo ("Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori dal Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità" scrive in una lettera 1; e più o meno le stesse parole pronuncerà nel 1871 Stavrogin, il protagonista dei Demoni) e si convince della “missione” del popolo russo, che da qui in poi sarà sempre visto come un ideale di purezza di spirito da contrapporre all’Occidente ateo e corrotto.

Questo punto di vista, che innerva tutta la seconda fase della sua vita e della sua produzione poetica, trova spazio nelle Memorie di una casa morta (1862), il resoconto degli anni della prigionia. Tornato a vivere a Pietroburgo, fonda con il fratello Michail la rivista di ispirazione nazionalista «Vremja» (Il Tempo), che verrà chiusa dopo pochi numeri. Nel frattempo, viaggia in Europa, gioca alla roulette e perde la prima moglie Marija, malata di tisi. È però iniziata la seconda fase della sua carriera letteraria, quella cosiddetta dei “grandi romanzi”. Nel 1864 esce Memorie dal sottosuolo, i cui primi capitoli vengono pubblicati su una nuova rivista co-diretta col fratello, «Epocha» (L’epoca): l’uomo del sottosuolo, altro grande Leitmotiv dostoevskiano, è un individuo abietto, che passa la propria vita nell’indigenza e nell’analisi impietosa delle proprie contraddizioni e bassezze. Convivono in lui la tentazione di umiliarsi mettendo sulla pubblica piazza le proprie miserie e la smania irrazionale di emergere: è l’evoluzione tutta dostoevskiana del già frequentato tema del doppio. Per uscire dal pantano della propria coscienza, d’ora in poi i personaggi dei romanzi di Dostoevskij non avranno altra via che l’immersione nel proprio io e l’accettazione dell’altro attraverso un atto d’amore e di umiltà che ha come punto d’arrivo finale la congiunzione con Cristo. La solitudine, la nevrosi, la sofferenza, il tormento intorno ai temi della verità, dell’armonia universale, della colpa e della redenzione sono ormai i cardini attorno a cui si muovono le figure che popolano i romanzi della seconda fase dostoevskiana: è così per Raskol’nikov, protagonista di Delitto e castigo (1866), per i Karamazov, per Stavrogin. Nelle figure del principe Myškin, protagonista dell’Idiota (1868) e di Alëša, il più giovane dei Karamazov, Dostoevskij ha invece voluto rappresentare degli uomini assolutamente buoni, vicini, per temperamento e per fascino, a un’idea di Cristo.

I grandi romanzi dostoevskiani sono scritti in modo febbrile sotto la pressione dei creditori (nel 1864 è morto il fratello Michail lasciando Fëdor pieno di debiti), l’acuirsi dei problemi di salute e di gioco e la morte, avvenuta nel 1868 a soli tre mesi, della figlia Sonja, avuta dalla seconda moglie Anna Grigor’evna. È forse questo avvenimento che rende i bambini, sinonimo di un’innocenza spesso violata e di vicinanza con l’Assoluto, un altro dei momenti fondamentali della poetica dostoevskiana. Nel 1876 pubblica il Diario di uno scrittore, dove raccoglie scritti politici, giornalistici e d’occasione: l’opera ottiene un grande successo commerciale. Nel 1880, a Mosca, viene invitato a partecipare all’inaugurazione del monumento a Puškin, e legge il celebre Discorso su Puškin, in cui, ancora una volta, ribadisce il ruolo messianico e universale dell’anima russa. Il 28 gennaio 1881, in seguito a un enfisema polmonare, muore nella sua Pietroburgo, il cupo e odiato sfondo della maggior parte dei suoi romanzi.

1 Lettera a N.D. Fonvizina, 1854, in Lettere sulla creatività, a cura di G. Pacini, Milano, Feltrinelli, 1994, p. 51.