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Il totalitarismo imperfetto: il duce, la monarchia, i Patti Lateranensi

A partire dagli studi sul fenomeno del totalitarismo di Hanna Arendt (1906-1975) ne Le origini del totalitarismo (1951) - che identifica un sistema di governo dove un partito va a coincidere perfettamente con le strutture dello Stato e della società, e in cui un potere autoritario e repressivo è detenuto da un’oligarchia ristretta e dittatoriale - possiamo notare che la dittatura fascista in Italia, pur nella sua estensione cronologica considerevole (dalla Marcia su Roma del 1922 al crollo del regime nel settembre 1943) non assume del tutto i tratti dei totalitarismi novecenteschi.
 
Se infatti negli anni della sua affermazione il fascismo dispiega una potente macchina propagandistica per un’educazione integrale del nuovo cittadino di massa al mito del “partito-Stato” e se la dittatura scavalca la spesso mediazione della legge con la violenza squadristica che reprime dissensi ed opposizioni interne (come nel noto caso del delitto Matteotti, o della persecuzione dell’opposizione clandestina di matrice comunista), in questo disegno sono presenti alcune “crepe” che differenziano il Fascismo dal nazismo hitleriano o dallo stalinismo sovietico.
In primo luogo, Mussolini non opera una sostituzione totale dell’apparato statale liberale con quello del suo partito (emblematico il caso dei prefetti, che avrà profonde conseguenze sull’Italia del Dopoguerra fino agli anni Sessanta). In più, la monarchia mantiene, seppur formalmente, un potere legittimo e parallelo rispetto a quello del Duce; Vittorio Emanuele III, se da un lato appoggia in modo più o meno palese Mussolini e il fascismo, dall’altro  - caso anomalo tra i totalitarismi europei - mantiene la prerogativa di sollevare Mussolini dall’incarico, benché il suo ruolo e il suo prestigio siano notevolmente ridotti. Infine, non bisogna dimenticare il ruolo della Chiesa, che come istituzione mantiene una sua indipendenza, sia per gli accordi dei Patti lateranensi dell’11 febbraio 1929 (i quali risolvono l’annosa "questione romana" che dura dalla “breccia” di Porta Pia del 1870), sia per la tolleranza del regime nei confronti di alcune associazioni cattoliche. Pio XI, Papa dal 1922 al 1939, mantiene poi un rigoroso silenzio sulla dittatura (anche nei suoi frangenti più bui e feroci), sia per al tradizionale avversione della Chiesa all’Italia liberale sia per il timore del nemico comune, rappresentato dal movimento socialista.
 
La lezione è a cura del Laboratorio LAPSUS (Università degli Studi di Milano).
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Il totalitarismo novecentesco e le imperfezioni del regime fascista


Il più celebre studio sul fenomeno del totalitarismo, così come si è sviluppato nella prima metà del Novecento, è stato fatto da Hanna Arendt nel suo Le origini del totalitarismo. La sua definizione resta tuttora valida: possiamo definire totalitario quel sistema che identifica totalmente un movimento politico con le strutture dello Stato e della società, dove la supremazia politica e decisionale è nelle mani di un’unica organizzazione al cui vertice c’è un collegio ristretto o un dittatore. La piena identificazione di società e Stato con il partito unico è attuata con la repressione e l’autoritarismo, mediante un esteso e onnipotente sistema di polizia politica. La mediazione della legge è inesistente, nulla viene concepito e permesso al di fuori della cultura e dell’educazione unica, di massa, data dal partito-Stato. Se teniamo buona questa definizione, allora possiamo comprendere come mai il fascismo venga considerato da alcuni storici un “totalitarismo imperfetto”: il regime fascista acquista i propri tratti distintivi nel corso degli anni Venti e nel 1929 possiamo già dire che abbia avesse instaurato un sistema politico totalitario. Tuttavia, sono presenti alcune crepe nell’edificio della dittatura che lo rendono diverso dagli altri due regimi totalitari propriamente detti: il nazismo hitleriano e lo stalinismo sovietico.

 

Tre i principali elementi distintivi:

 

Nonostante l’identificazione progressiva tra Stato e Partito nazionale fascista, Mussolini non sostituisce totalmente gli organi di partito a quello statali: nel caso dei prefetti, ad esempio, preferisce politicizzare una figura statale già presente prima del fascismo e propria del sistema liberale, piuttosto che inventare una nuova funzione legata al solo movimento fascista. Questo avrà profonde conseguenze nella storia d’Italia del secondo dopoguerra.

Il ruolo, per quanto formale, della monarchia come potere parallelo e legittimante del regime fascista e mussoliniano.

L’autonomia concessa alla Chiesa cattolica, non solo tramite il Concordato, ma anche con la tolleranza verso le attività non disciplinate dal regime di alcune associazioni cattoliche.