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“Lasciatemi divertire” di Palazzeschi: analisi del testo

Introduzione

 

Lasciatemi divertire, pubblicata nel 1910 nella raccolta L’incendiario, è uno dei testi che, insieme con Chi sono? e La fontana malata, meglio definisce la poetica e l’identità di Aldo Palazzeschi. La poesia, dal sottotitolo eloquente Canzonetta, è una tagliente critica, con le armi del riso, del paradosso e dell’ironia, contro la tradizione poetica e il buon gusto del pubblico medio. Palazzeschi, qui nella sua fase più esplicitamente futurista 1, irride i modelli passati, dalla funzione del “poeta-vate” alla maniera dannunziana alle eccessive difficoltà stilistiche di chi scrive “in giapponese” (v. 71), passando per chi si spaccia per poeta senza aver nulla da dire. Il poeta palazzeschiano, invece, si vuole solo divertire.

 

Analisi del testo

 

Lasciatemi divertire si presenta come un originalissimo manifesto di poetica e, al tempo stesso, come una dichiarazione di identità dell’io poetico che si inserisce nel panorama abbastanza variopinto della poesia di inizio Novecento.

Possiamo innanzitutto pensare all’immagine di poeta e di poesia che traspare dal Futurismo, e in particolar modo dal celebre Manifesto, pubblicato sul quotidiano francese "Le Figaro" del 20 febbraio 1909: qui è esplicito e programmatico il rifiuto, con forza militante (“Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie”) della tradizione passata e dei modelli convenzionali di versificazione, su cui interverranno più avanti il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), la Distruzione della sintassi e le Parole in libertà (entrambi del 1913). Il Manifesto recita, tra le altre cose:

La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

Se dunque quella futurista è una reazione violenta e frontale all’idea tipica di letteratura, ci sono anche altri modelli con cui possiamo mettere a confronto, per antitesi e differenza, Lasciatemi divertire di Palazzeschi. Uno è sicuramente Gabriele D’Annunzio, che, ad inizio secolo, rappresenta sicuramente l’immagine del letterato o del “vate”in grado di ricoprire contemporaneamente i ruoli di poeta (le Laudi sono assai indicative in tal senso), romanziere (si pensi a Il Piacere del 1889 oppure a Il fuoco del 1900), intellettuale a tutto tondo. Sull’asse diametralmente opposto per stile, atteggiamento e concetto della poesia sta la corrente crepuscolare, che affronta anch’essa la questione del ruolo del poeta in un mondo che, invece, pare rifiutare la poesia (si pensi alla Desolazione del povero poeta sentimentale di Sergio Corazzini). E, rispetto ai toni intimi e dimessi di quest’ultimo, non bisogna dimenticare l’atteggiamento ironico e disincantato del “crepuscolare” Gozzano che, autodefinendosi ne La via del rifugio (1907), scrive:

Ma dunque esisto! O Strano!
vive tra il Tutto e il Niente
questa cosa vivente
detta guidogozzano 2

Palazzeschi, con il suo atteggiamente caratteristico, “attraversa” queste diverse esperienze per consegnare alla pagina un particolarissimo profilo di poeta e poesia. Di fronte alla rottura eversiva futurista (cui pure in questo periodo Palazzeschi è assai vicino), all’atteggiamento retorico e magniloquente di D’Annunzio o a quello disilluso e demistificato dei crepuscolari, il poeta palazzeschiano rivendica il diritto al divertimento e al disimpegno, fino alla licenza per il paradosso e il nonsense. La percezione vitalistica dell’attività poetica diventa insomma occasione di gioco, innanzitutto con se stesso e con il materiale della propria creazione; la poesia si apre così con una serie di onomatopee, frequentemente ripetute nel testo, che parodizzano la tipica cura formale dei poeti “ufficiali”. Come spiega lo stesso Palazzeschi, si tratta di un ribaltamento dei canoni più convenzionali (vv. 44-50):

Non è vero che non voglion dire,
vogliono dire qualcosa.
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

La “presa in giro” di se stesso e della poesia si realizza così sia sul piano contenustitico che su quello più propriamente metrico-formale. Palazzeschi organizza le strofe come una sorta di dialogo tra il poeta “incendiario” e il pubblico tradizionale, mescolando paroliberismo futurista e rime (baciate o alternate o sostituite dall’assonanza) assolutamente tradizionali e ormai vuote, che però conferiscono al testo un tipico andamento cantabile, da filastrocca infantile. Così, le richieste del poeta (vv. 8-12: “Non lo state a insolentire, | lasciatelo divertire | poveretto, | queste piccole corbellerie | sono il suo diletto”) e i suoi toni sarcastici (vv. 25-29: “Sapete cosa sono? | Sono robe avanzate, | non sono grullerie, | sono la… spazzatura | delle altre poesie”) si alternano con le accuse del pubblico, spiazzato dalle provocazioni senza senso di chi scrive (vv. 34-37: “Se d’un qualunque nesso | son prive, | perché le scrive | quel fesso?”; vv. 69-71: “Come si deve fare a capire? | Avete delle belle pretese, | sembra ormai che scriviate in giapponese”; vv. 75-78: “Lasciate pure che si sbizzarisca | anzi, è bene che non lo finisca, | il divertimento gli costerà caro: | gli daranno del somaro”). L’approdo sembra quello all’inutilità della poesia, alla negazione di valore dell’espressione in versi (vv. 91-95):

Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:

Eppure, il poeta non vive questa situazione come una condanna all’irrilevanza, né vi vede la necessità di una reazione violenta contro i modelli tradizionali, ormai irrecuperabili. Palazzeschi vede in questa consapevolezza lo spunto fondamentale per una nuova libertà all’insegna del divertimento, dell’irrisione giocosa di tutte le prospettive serie e seriose nei confronti della poesia e del ruolo del poeta; l’appello finale non può quindi che essere quello alla libertà d’espressione (v. 96):

e lasciatemi divertire!

 

Testo di Lasciatemi divertire (canzonetta)

 

Tri, tri tri
Fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu, ihu.

Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione.

Farafarafarafa,
Tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!

Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la… spazzatura
delle altre poesie.

Bubububu,
fufufufu,
Friù!
Friù!

Se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?

Bilobilobiobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù,
U.

Non è vero che non voglion dire,
vogliono dire qualcosa.
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

Aaaaa!
Eeeee!
liii!
Qoooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!

Ma giovinotto,
diteci un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con cosi poco
tenere alimentato
un sì gran fuoco?

Huisc… Huiusc…
Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku… Koku koku,
Sciu
ko
ku.

Come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.

Abi, alì, alarì.
Riririri!
Ri.

Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi, è bene che non lo finisca,
il divertimento gli costerà caro:
gli daranno del somaro.

Labala
falala
falala
eppoi lala…
e lala, lalalalala lalala.

Certo è un azzardo un po’ forte
scrivere delle cose così,
che ci son professori, oggidì,
a tutte le porte.

Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!

1 La raccolta L’incendiario è dedicata a Filippo Tommaso Marinetti, celebrato enfaticamente come “anima della nostra fiamma”.

2 G. Gozzano, La via del rifugio, vv. 33-36. Ne La signorina Felicita, Gozzano, ammetterà ironicamente attraverso il proprio alter ego letterario di “vergognarsi d’essere un poeta!”.