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Alfieri, "Della tirannide": introduzione all'opera

Scritti a Siena nel 1777, i due libri Della tirannide furono ritoccati a Parigi nel 1787 e qui pubblicati contro la volontà dell'autore tra il 1800 e il 1801. L'incipit del primo libro, oltre ad un sonetto iniziale, reca una dedica alla libertà, in contrapposizione a quegli autori che sono soliti dedicare le proprie opere ai potenti per conquistarne il favore. La prima parte è composta da diciotto capitoli, in cui l'Alfieri descrive la figura del tiranno e definisce il concetto di tirannia, parla dei tipici rapporti che si instaurano tra gli apparati di potere secondari (come ad esempio la milizia e la religione), traccia un paragone storico tra diversi modelli di governo dispotico e illustra il carattere e la qualità dei costumi sociali sotto il potere del tiranno. La tirannide è definita come quel governo in cui chi esegue le leggi può anche modificarle sotto ogni aspetto e mancare di rispettarle, basato sulla paura dell'oppresso (e cioè delle masse) e dell'oppressore (e cioè del tiranno). La seconda parte, composta da otto capitoli, analizza tutte le circostanze collegate alla sopportazione o al rovesciamento del governo tirannico: fino a che punto vi si possa sottostare e il valore del suicidio contrapposto alla "obbriobriosa vita servile". L'uomo libero deve vivere lontano dalle cariche, dai vizi e dagli onori dispensati dal tiranno e fare del bene alla collettività dedicandosi alla compilazione del suo libero pensiero e divulgarlo: "questo libricciuolo non è scritto pe' i codardi", si legge nelle ultime righe del terzo capitolo. Per Alfieri ogni tipo di monarchia è tirannide; per questo la sua riflessione si contrappone per alcuni aspetti a quello di Montesquieu e di Voltaire, pur utilizzando gran parte delle testimonianze degli scrittori illuministi. Il ricorso agli esempi classici contribuisce ad allontanare il discorso da qualsiasi riferimento all'attualità, ma nonostante ciò Alfieri decise prudentemente di non stampare il trattato durante la Rivoluzione per non alimentarne la violenza e non concedere agli insorti un aiuto alla loro causa. La tirannide assume la connotazione di un generico governo oppressore, estraneo a qualsiasi contesto storico concreto, mentre la libertà si traduce in un'aspirazione individuale, in un'elezione dello spirito del singolo che, in una realtà avversa, alimenta il proprio eroismo e la propria virtù con il coraggio del suicidio o delle proprie idee.