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La Guerra dei Trent’anni: dalla defenestrazione di Praga alla Pace di Westfalia

Introduzione

 

Gran parte della prima metà del Seicento fu sconvolta da un vastissimo conflitto armato che ebbe origine nei territori del Sacro Romano Impero e che vide l’intervento, in fasi successive, delle maggiori potenze europee del tempo. La Guerra dei Trent’anni (1618-1648) fu un interminabile e devastante conflitto continentale, una guerra civile tedesca nonché l’ultima delle grandi guerre di religione provocate dalla rottura dell’unità cristiana ad opera di Martin Lutero nel 1517. Fu infatti dalle contraddizioni politiche, religiose e sociali dell’Impero che lo scontro trasse origine e si sviluppò; per tutte queste ragioni si può senz’altro affermare che la pace di Westfalia, che pose termine alla guerra nel 1648, segnò l’inizio di una nuova era negli equilibri tra gli Stati europei e negli stessi princìpi su cui si sarebbero da quel momento basati i rapporti tra le potenze del continente.

 

Per fissare i concetti

  • La Riforma protestante e la guerra tra Carlo V e i principi protestanti tedeschi
  • La Pace di Augusta, un compromesso fragile e incompleto
  • Le difficoltà di applicazione rigida del principio della confessionalizzazione
  • La struttura, il destino e il significato stesso dell’Impero e della dignità imperiale in un’Europa segnata dallo sviluppo degli stati moderni
  • La rivalità franco-tedesca

 

I fattori e le cause della guerra

 

Da dove bisogna partire per capire a pieno il significato della Guerra dei Trent’anni? E quali questioni politiche e religiose furono alla base del suo scoppio e della sua prosecuzione?

I fenomeni e gli eventi remoti da cui partire sono senz’altro quelli legati alla Riforma protestante del primo Cinquecento e ai conflitti da quest’ultima scatenati nei territori dell’Impero, che videro come protagonisti i principi luterani tedeschi, riuniti nella Lega di Smalcalda, contrapposti ai principi cattolici e all’imperatore Carlo V, desideroso di ripristinare l’unità religiosa nei suoi territori, pietra angolare del suo progetto politico e religioso.

La Pace di Augusta del 1555 fu l’amaro compromesso a cui l’imperatore dovette addivenire una volta constatata l’impossibilità militare di aver ragione dei protestanti: Carlo d’Asburgo fu costretto a piegarsi e a riconoscere ufficialmente l’esistenza della confessione luterana all’interno dei propri territori. Durante la Dieta di Augusta Carlo V recepì la Confessio Augustana, la prima esposizione ufficiale della dottrina luterana, e fu stabilito il principio in base al quale le due confessioni religiose avrebbero potuto convivere nell’Impero: non la libertà di coscienza, bensì l’imposizione da parte del principe della propria confessione all’insieme dei sudditi, principio riassunto dalla formula latina del cuius regio, eius religio (in latino: “di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione”).  In questo modo i principi territoriali imponevano l’uniformità religiosa all’interno dei propri territori; per i dissenzienti era prevista la possibilità di usufruire del beneficium emigrandi (la possibilità di emigrare in un altro territorio). Tale principio costituì la base del processo di confessionalizzazione.

Da quel momento in poi, almeno teoricamente, per tutti - cattolici e protestanti - l’appartenenza politica avrebbe dovuto coincidere con l’appartenenza confessionale. La pacificazione di Augusta era un compromesso fragile e soprattutto incompleto, in quanto non teneva conto dell’esistenza di altre confessioni religiose oltre alla cattolica e alla luterana; sarebbe stata proprio la rapida diffusione del calvinismo nell’Europa centrale a partire dalla metà del Cinquecento a provocare, come vedremo, l’inizio della guerra. Anche il conflitto religioso che investì la Francia a partire dagli inizi degli anni Sessanta del XVI secolo, e che si concluse con il riconoscimento di una pur limitata tolleranza religiosa attraverso l’Editto di Nantes del 1598, avrebbe del resto aperto una clamorosa breccia nell’applicazione rigida del principio della confessionalizzazione.

Immagine: Carlo V riceve la Confessio Augustana (incisione).

Altri fattori che è necessario prendere in considerazione sono da una parte la struttura e il destino del Sacro Romano Impero e il significato stesso della dignità imperiale in un’Europa ormai segnata dal rafforzamento delle moderne entità statuali e dall’avvento dell’Assolutismo monarchico. D’altra parte occorre considerare anche la rivalità tra la monarchia francese - prima dei Valois e poi dei Borbone - e la casata asburgica, che dopo l’abdicazione di Carlo V si era divisa nei due rami degli Asburgo di Spagna e degli Asburgo d’Austria.

 

La scena politica internazionale

 

Agli inizi del Seicento la Francia era appena uscita da una sanguinosa guerra civile, scatenata anch’essa da motivazioni religiose. Il conflitto si era concluso con la definitiva presa del potere da parte di Enrico IV di Borbone, ufficialmente sovrano dal 1589 ma consacrato solo nel 1594 con l’abiura e la presa di Parigi.

L’ugonotto Enrico, già re di Navarra, uscito vincitore dalla “guerra dei tre Enrichi” (1585-1589), si convertì al cattolicesimo pur di diventare re di tutta la Francia 1. Fu grazie a lui che l’editto di Nantes del 1598, atto conclusivo di quasi quattro decenni di guerra civile, poté essere siglato. Enrico IV governò per diversi anni amato dal popolo, rispettato da aristocrazia e clero e protagonista di rilievo della politica internazionale 2. A Enrico IV succedette Luigi XIII, che all’epoca aveva solo nove anni. Durante la reggenza della madre, Maria de’ Medici, la situazione politica interna peggiorò sensibilmente. La reggente si circondò di favoriti corrotti e incapaci e l’aristocrazia di sangue tentò di rialzare la testa. Luigi uscì dalla minore età nel 1617 e nel Consiglio di Stato fece ingresso il duca di Richelieu, vescovo di Luçon e poi cardinale, che divenne presto il vero arbitro dei destini della monarchia francese.

Immagine: Jacopo Chimenti, Matrimonio tra Enrico IV e Maria de’ Medici (1600).

La monarchia spagnola si trovava in una fase di preoccupante declino politico, economico e finanziario, a cui contribuì pesantemente la rivolta dei Paesi Bassi, provocata dalla politica di intransigenza cattolica di Filippo II d’Asburgo. Chiamata anche la “guerra degli ottant’anni” (1568-1648), la rivolta delle Fiandre fu un colpo durissimo per le finanze di una Monarchia spagnola a cui non giungevano più con la stessa intensità di un tempo i metalli preziosi americani, soprattutto l’argento 3. Filippo II volle puntare tutto sulla difesa a oltranza del cattolicesimo e sulla forza militare 4, ma mantenere le Fiandre sotto il dominio di sua maestà cattolica si rivelò presto un costo insostenibile che portò lentamente la Spagna al dissesto. Il successore, Filippo III d’Asburgo (1598-1621), fu artefice della cosiddetta Pax Hispanica, una politica di compromesso che prendeva atto della impossibilità per la Spagna di dominare politicamente la Francia, di ripristinare il cattolicesimo in Inghilterra e di debellare la rivolta dei Paesi Bassi. Essa fu posta in atto attraverso una serie di trattati di pace: la Pace di Vervins del 1598 con la Francia, il Trattato di Londra del 1604 con l’Inghilterra, la Tregua dei Dodici Anni del 1609 con le Province Unite.

All’inizio della Guerra dei Trent’anni il sovrano asburgico considerò vitale per i propri interessi intervenire al fianco dell’Impero contro i protestanti, ma le forze che era in grado di mettere concretamente in campo non erano certamente all’altezza delle sue aspettative. In mancanza di risorse finanziarie adeguate alle proprie ambizioni egemoniche Filippo III accentuò il carattere “cattolico” della Monarchia, anche da un punto di vista simbolico, mostrandosi il campione dell’ortodossia e della difesa della Chiesa di Roma. Fu durante il suo regno, infatti, che i moriscos (cioè i musulmani convertiti a forza al cattolicesimo) vennero definitivamente cacciati dalla Spagna (fenomeno che contribuì ad indebolire ulteriormente il tessuto sociale e produttivo della Castiglia e dell’Aragona), e che talune devozioni cattoliche assursero a vere e proprie simbologie del potere asburgico (come l’Immacolata Concezione, l’Eucarestia, il Santissimo Sacramento). Fu anche grazie alla sua azione, del resto, che un vento di riconquista cattolica cominciò a soffiare nell’Europa centro-settentrionale.

Immagine: Tiziano Vecellio, Filippo II d’Asburgo.

Dal canto suo la Repubblica delle Sette Province Unite, entità politica nata nel 1581 a seguito della separazione delle province fiamminghe meridionali cattoliche rimaste fedeli alla Monarchia spagnola, fu in grado di dimostrare una straordinaria vitalità e di porsi nel giro di pochi anni - nonostante la perdurante lotta per l’indipendenza dalla Spagna, che si concluse ufficialmente solo con la Pace di Westfalia - come una realtà politica di primo piano nell’Europa del Seicento dal punto di vista economico, commerciale, militare, coloniale e culturale. Potenza egemone nei commerci marittimi, in grado di competere vittoriosamente con la concorrente Inghilterra, la Repubblica d’Olanda costruì un vasto impero coloniale e seppe diventare la principale piazza commerciale e finanziaria del continente. Si trattava di una piccola realtà politica, se raffrontata con le principali monarchie europee, dotata di una struttura non centralizzata e che anche dal punto di vista religioso era lungi dall’applicare i dettami dell’intolleranza così in voga in Europa, visto che confessioni religiose diverse dal calvinismo erano sostanzialmente tollerate. L’opulenza raggiunta da un numericamente consistente ceto borghese, mista ad un clima di grande apertura intellettuale, posero le Province Unite all’avanguardia dello sviluppo delle arti figurative e del pensiero filosofico e scientifico del Seicento.

Immagine: La piazza della Borsa di Amsterdam in un dipinto del 1659.

Nel settore settentrionale del continente europeo due regni avrebbero giocato un ruolo di assoluto rilievo nelle vicende della Guerra dei Trent’anni: la Danimarca e la Svezia. Nel 1592 Sigismondo Vasa, già eletto re di Polonia nel 1587 - la Polonia era l’unica monarchia elettiva presente in Europa - ereditò anche la corona di Svezia. Lo zio di Sigismondo, Carlo, si oppose alla realizzazione di ciò che avrebbe comportato la formazione di una vastissima e potente aggregazione di territori nell’Europa settentrionale, senza contare i conseguenti rischi di una restaurazione cattolica in Svezia. Appoggiato dall’aristocrazia e al termine di una guerra civile, Carlo fece deporre Sigismondo dalla Dieta svedese e assunse formalmente la corona con il nome di Carlo IX. Il nuovo sovrano manifestò da subito mire espansionistiche sia ai danni della Polonia sia ai danni della Danimarca di Cristiano IV (re dal 1588 al 1648), padrona dei dazi del Sund grazie al possesso di vasti territori nel sud della Svezia. Il figlio e successore di Carlo IX, Gustavo Adolfo, continuò la politica del padre e nel giro di due decenni riuscì ad imporre la supremazia svedese su tutto il Baltico. Tra il 1611 e il 1613 la Danimarca aveva ingaggiato la Guerra di Kalmar contro il sempre più potente Regno di Svezia. Essa si concluse con la cessione alla Danimarca di alcuni territori norvegesi che la Svezia aveva occupato nel tentativo di conquistare un accesso al mare che eludesse il pagamento dei dazi che la Danimarca imponeva ai traffici tra il Baltico e il Mare del Nord.  Al termine del conflitto armato con la Russia (1617) la Svezia si vide inoltre riconosciuto il possesso dell’Ingria e della Carelia orientale, fondamentali per il dominio completo sul Golfo di Finlandia. Nel 1621 invase inoltre la Livonia e si impadronì del porto di Riga, in Lettonia.

Immagine: Svezia, Norvegia e Danimarca nel XVII secolo.

 

Per fissare i concetti

  • La Francia esce indebolita dalle guerre di religione ma con Enrico IV, l’ugonotto convertito al cattolicesimo che concesse l’editto di Nantes nel 1598, riesce rapidamente a risalire la china e a porsi di nuovo come potenza europea di primo piano
  • La Monarchia spagnola di Filippo II è ancora la potenza egemone in Europa da un punto di vista militare, ma i primi segni di indebolimento cominciano a farsi sentire: la crisi finanziaria, l’interminabile guerra delle Fiandre, il fallimento della politica estera verso Francia e Inghilterra. Con Filippo III si apre il periodo della cosiddetta Pax Hispanica
  • Le Province Unite diventano nella prima metà del Seicento la maggiore potenza marittima e commerciale del continente nonostante la sfiancante guerra di indipendenza dalla Spagna.
  • I regni di Svezia e Danimarca si scontrarono tra tardo Cinquecento e inizi Seicento per l’egemonia su Mar Baltico. Fu per questa stessa motivazione che intervennero nella Guerra dei Trent’anni
     

Verso la guerra

 

Ma qual era la situazione nel centro focale del conflitto, l’Impero tedesco? Sin dal XV secolo gli Asburgo d’Austria avevano inaugurato una politica di guerre di conquista ma anche, se non soprattutto, di alleanze matrimoniali che li portarono a dominare sull’insieme dei territori dell’Impero 5. Nel XVI secolo l’abile politica matrimoniale continuò senza sosta, tanto da diffondersi un’immagine dell’Europa rappresentata come una fanciulla dalle fattezze appartenenti alla sposa di Carlo V, Isabella del Portogallo, la cui testa era posizionata nella penisola iberica, il cuore in Germania e il braccio nella penisola italiana.

Immagine: Heinrich Bunting, Europa Prima pars Terrae in forma virginis, 1548.

L’Impero tedesco era ciò che rimaneva del Sacro Romano Impero, erede a sua volta dell’Impero romano. Nei fatti il potere dell’imperatore nei confronti dei sovrani di altri stati era però pressoché nullo: contava solo nei territori dove egli era sovrano, ossia nei possedimenti ereditari degli Asburgo (Austria, Ungheria, Boemia, le Fiandre fino all’abdicazione di Carlo V). Tra le istituzioni politiche dell’Impero la più importante era senza dubbio la Dieta (Reichstag), assemblea dei rappresentanti dei vari ordini o ceti (Stände), di cui facevano parte i principi territoriali, i principi elettori laici ed ecclesiastici e le “città libere”. La Dieta si occupava essenzialmente di politica internazionale, di tasse e di spese militari; le votazioni avvenivano per ordine e non per testa. I conflitti religiosi del Cinquecento avevano avuto in realtà una posta in gioco di natura politica di importanza enorme. La Pace di Augusta segnò infatti la sconfitta dell’Impero e la vittoria inequivocabile dei principi protestanti, i quali poterono trarre enormi benefici dalla divisione religiosa dell’Impero e dall’incameramento dei beni ecclesiastici. I principi guadagnavano non solo la possibilità di scegliere il personale ecclesiastico ma anche quella di radicare nelle coscienze, insieme alla fedeltà ad una Chiesa, l’obbedienza al sovrano. Un potere enorme nell’Europa del XVI secolo.

Come già accennato, il calvinismo aveva conosciuto una rapida diffusione nei territori tedeschi e boemi e non essendo tale confessione contemplata dalla Pace di Augusta non si sapeva esattamente come risolvere le innumerevoli controversie che quotidianamente sorgevano 6. La situazione era potenzialmente esplosiva, tanto che vennero man mano formandosi due leghe: una “Lega Evangelica”, che riuniva i principi protestanti, formalizzata nel 1608 e guidata dall’elettore del Palatinato Federico V e, nel 1609, una “Lega Santa”, cattolica, guidata dal duca di Baviera Massimiliano I.

Ormai era chiaro a tutti che l’inizio della guerra sarebbe stato solo una questione di tempo. Già nel 1609 si aprì una crisi di successione nel ducato di Jülich-Kleve-Berg, in quanto alla morte senza eredi del duca Giovanni Guglielmo si fecero avanti due candidati, uno cattolico sostenuto dalla Lega Santa e dalla Spagna, l’altro sostenuto dalla Lega Evangelica, spalleggiata dall’Inghilterra, dall’Olanda e dalla Francia di Enrico IV. La morte del sovrano francese l’anno successivo non fece che ritardare di qualche anno il conflitto generale. Contrariamente a quanto accadde nella Spagna di Filippo II e di Filippo III, almeno fino al 1612, e cioè fino all’elezione imperiale di Mattia, il ramo austriaco degli Asburgo si dimostrò piuttosto tollerante nei confronti delle altre confessioni religiose. Ferdinando I e, soprattutto, Rodolfo II (1576-1612) non ritennero di dover inaugurare una politica di intransigenza religiosa come quella portata avanti nella penisola iberica e nelle Fiandre. Rodolfo, in particolare, creò nella sua reggia imperiale di Praga un ambiente di grande apertura intellettuale verso il quale confluirono personaggi - artisti, filosofi, esoteristi, maghi - tutt’altro che ortodossi.

Il clima cambiò radicalmente con l’elezione al trono imperiale del fratello Mattia, già sovrano nei domini ereditari di Austria e Ungheria che lasciò al fratello Ferdinando, personaggio di tutt’altra formazione culturale e inclinazioni spirituali: educato dai gesuiti alla stretta osservanza dell’ortodossia romana, Ferdinando mise in atto in quella stessa Boemia abituata alla tolleranza rudolfina un sistematico progetto di annientamento delle confessioni non cattoliche. Si arrivò all’emanazione dell’ordine di distruggere gli edifici di culto delle confessioni non cattoliche se costruiti su terreni soggetti ad autorità di obbedienza romana. Il 23 maggio del 1618 il conte di Thurn, a capo di una delegazione di aristocratici riformati boemi, entrò a forza nel castello di Praga per protestare e ottenere la revoca dell’ordine. Il sovrano non era lì in quel momento, ma la folla che lo seguiva catturò due consiglieri imperiali con il loro segretario, gettandoli dalla finestra. La cosiddetta “defenestrazione di Praga” accese la miccia della rivolta boema, e anche quella della guerra generale.

Immagine: Matthäus Merian il Vecchio, La defenestrazione di Praga.

 

La fase boemo-palatina (1618-1625)

 

Gli insorti praghesi nominarono subito un governo provvisorio, cercarono di reclutare un esercito e chiesero l’aiuto internazionale in vista dell’inevitabile guerra contro le truppe degli Asburgo. L’aiuto arrivò dall’elettore palatino Federico V, calvinista, a cui nel 1619, a seguito della morte dell’imperatore Mattia, fu offerta la corona di Boemia al posto del neo-eletto Ferdinando II nella speranza che intorno a lui potesse agglomerarsi una coalizione di principi protestanti pronti a battersi contro le potenze cattoliche. La richiesta di aiuto non fu però ascoltata da tutti: l’elettore di Sassonia, ad esempio, luterano e ostile al calvinismo, appoggiò l’imperatore. Quest’ultimo chiese a quel punto aiuto alla Spagna e alla Lega Santa; nella primavera-estate del 1620 l’esercito imperiale e quello bavarese penetrarono in Boemia e sbaragliarono le forze dei ribelli nella battaglia della Montagna Bianca (8 novembre).

Pieter Snayers, La battaglia della Montagna Bianca.

Il Palatinato venne invaso e smembrato. Ne seguì una dura repressione, che vide i capi della ribellione giustiziati e i pastori luterani e calvinisti espulsi, mentre ritornavano trionfanti i gesuiti. Il trattato di Magonza del 1625 sancì definitivamente la sconfitta della Lega Evangelica. La Boemia veniva inglobata nei possedimenti asburgici, sparendo in tal modo dalla carta geografica europea. Vi sarebbe tornata da entità indipendente solo nel XX secolo, a seguito dei trattati di Versailles, che posero fine alla Prima guerra mondiale nel 1919. Il successo delle armi cattoliche sembrava a quel punto totale e inarrestabile.

 

La fase danese (1625-1629)

 

Nel 1621, terminata la Tregua dei Dodici Anni, si erano riaperte le ostilità tra la monarchia spagnola e le Province Unite. Le operazioni belliche stagnarono per un po’, ma il cambiamento di attitudine della politica francese e l’interessamento alla guerra in atto nell’Impero da parte di Cristiano IV di Danimarca mutarono le sorti del conflitto. La Francia di Luigi XIII si era inizialmente mantenuta neutrale, ma proprio negli anni 1624-1625 la tradizionale rivalità con gli Asburgo provocò un movimento di avvicinamento e di sostegno alla causa protestante. Il sovrano danese, che era anche duca di Holstein (un ducato appartenente al Sacro Romano Impero) e quindi direttamente interessato alla politica tedesca, aveva come obiettivo prioritario la conquista della zona delle foci dell’Elba e del Weser. Entrò in territorio tedesco nei primi mesi del 1625 come condottiero dei protestanti della Bassa Sassonia, ma si trovò di fronte un grande esercito imperiale guidato dai generali Johann Tserclaes, conte di Tilly, e dal nobile ceco convertito al cattolicesimo Albrecht von Wallenstein.

Immagine: Anthony Van Dyck, Albrecht Von Wallenstein (1629).

Sconfitto a Lutter am Barenberge dal Tilly (1626), invasa la Danimarca da questi e dal Wallenstein, Cristiano IV dovette rifugiarsi nella parte insulare del suo regno, da cui continuò a combattere. Nella pace di Lubecca del 1629 riottenne il regno ma dovette rinunciare ai suoi piani tedeschi e abbandonare la guerra. Il Wallenstein, in particolare, era riuscito ad accumulare ricchezze enormi che gli avevano permesso di mettere in piedi un esercito di 30.000 uomini dedito a rapine ed estorsioni ai danni della popolazione dei territori occupati. Con le sue truppe invase il Meclemburgo, la Pomerania e, appunto, la penisola dello Jutland (la parte continentale della Danimarca). La sua potenza rivaleggiava ormai con quella degli Asburgo.

 

La fase svedese (1629-1635)

 

Siamo al culmine dell’offensiva cattolica. A questo punto sembrava che gli Asburgo e i loro alleati dovessero in breve tempo vincere definitivamente la guerra, tanto che anche nelle Fiandre la presa della Fortezza di Breda da parte degli spagnoli aveva dato loro un considerevole vantaggio. Ma le potenze protestanti, e dietro a loro la Francia dei Borbone, non potevamo assistere inerti allo spettacolo del trionfo degli Asburgo senza tentare nuovamente di rovesciare le sorti del conflitto. Tra il 1628 e il 1630 il centro nevralgico della guerra si spostò dalla Germania all’Italia settentrionale. Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova, era morto alla fine del 1627 senza lasciare eredi. Il successore designato era il francese Carlo, duca di Nevers, ma gli Asburgo rivendicarono l’appartenenza all’Impero sia del ducato di Mantova, sia del Marchesato del Monferrato. Ne seguì una guerra che si concluse con l’accordo di Cherasco, sulla base del quale Mantova e il Monferrato restavano al Gonzaga-Nevers, che si riconosceva suddito dell’Impero, mentre Pinerolo restava alla Francia.

Nel frattempo Gustavo II Adolfo di Svezia stava preparando il suo ingresso nelle “guerre civili tedesche” a suon di manifesti pubblici in cui denunciava l’arroganza asburgica e il pericolo che la politica dell’Impero costituiva per gli interessi svedesi nel Baltico. La guerra non fu presentata come una crociata protestante ma come una “giusta guerra” in difesa della sicurezza generale del Regno e dell’Europa tutta. Grazie ai fondamentali aiuti finanziari francesi e all’appoggio dell’elettore del Brandeburgo, Gustavo II Adolfo poté finalmente riportare il primo grande successo delle forze protestanti ai danni di quelle cattoliche nel 1631, nella battaglia di Breitenfeld. La via per la Germania meridionale era così aperta, non senza che tale evento provocasse lo sconcerto dell’imperatore, che non aveva minimamente preso sul serio la serietà della minaccia proveniente dal regno scandinavo. L’invasione della Boemia e della Baviera da parte delle truppe svedesi e sassoni convinse il Wallenstein a raccogliere un nuovo esercito di 100.000 uomini con il quale espulse i sassoni dalla Boemia e affrontò gli svedesi in marcia verso nord. Nella battaglia di Lützen, nei pressi di Lipsia, nel 1632, gli svedesi ebbero il sopravvento ma Gustavo Adolfo cadde sul campo di battaglia. Poco dopo lo stesso Wallenstein fu ucciso da sicari inviati dall’imperatore Ferdinando, che ne temeva ormai lo strapotere e lo sospettava di connivenze col nemico.

Immagine: Gustavo II Adolfo di Svezia (ritratto d’epoca)

Nonostante la perdita del sovrano la Svezia non si diede per vinta, in quanto era vitale mantenere un piede in Pomerania e in Prussia, essenziali per il controllo del Baltico. L’erede Cristina aveva solo sei anni; fondamentale fu allora l’abilità politica di Axel Oxenstierna, cancelliere del Regno, che rinnovò l’alleanza con la Francia e con i riformati tedeschi. Anche senza l’abilità militare del Wallenstein l’esercito asburgico (spagnolo e imperiale) travolse però quello degli avversari nella Battaglia di Nordlingen, in Baviera, nel 1634. Fu così che si giunse alla Pace di Praga del 1635 tra l’imperatore e gli elettori della Sassonia e del Brandeburgo, frutto della politica di mediazione voluta dall’imperatore e dal primo ministro spagnolo, il Conte Duce di Olivares, che sperava in tal modo di calmare le acque in Germania per sferrare l’attacco decisivo contro i ribelli fiamminghi. La Svezia rimase dunque sola contro l’Impero, ma a quel punto fu la Francia a decidere di entrare in guerra a volto scoperto.

 

La fase francese (1635-1648)

 

La Francia si trovava in quel momento nelle condizioni economiche, finanziarie e militari di sostenere un impegno del genere. Obiettivi dell’intervento erano il rafforzamento dei confini nazionali e la conquista di territori come il Rossiglione, i passi alpini, l’Alsazia, parte delle Fiandre. Le cose non andarono però subito come sperato da Luigi XIII e dall’onnipotente primo ministro Richelieu: il primo attacco alla Spagna non fu affatto risolutivo e non provocò la prevista ribellione nei territori sottoposti al dominio spagnolo, specialmente nelle Fiandre. Anzi, fu l’attacco asburgico a mettere in crisi l’esercito francese, visto che a nord le truppe imperiali arrivarono a poche decine di miglia da Parigi. Ma il trionfo asburgico era impedito da vari fattori: da una parte la tenacia della Svezia di Oxenstierna nell’osteggiare la Germania, dall’altro lo stato di costante e rovinosa guerra civile all’interno dell’Impero, ormai intollerabile per gran parte della popolazione, che aveva dovuto subire violenze e ruberie di ogni genere. C’era bisogno di pace e questo spinse il nuovo imperatore Ferdinando III (1637-1657) a riunire una Dieta a Ratisbona nel settembre del 1640, tra l’altro sotto la minaccia costante delle truppe svedesi. La decisione più importante che fu presa riguardava l’Editto di Restituzione (promulgato nel 1629 da Ferdinando II e che stabiliva la restituzione alla Chiesa di Roma dei beni ecclesiastici secolarizzati dopo il 1552): nonostante le pressioni del nunzio papale la Dieta decise di far cadere l’editto stabilendo che chi aveva incamerato beni ecclesiastici fino al 1627 poteva definitivamente tenerseli. Nel 1641 l’elettore del Brandeburgo raggiunse una pace separata con la Svezia. Intanto l’esercito svedese, ancora alleato della Francia, continuava la sua vittoriosa avanzata in territorio imperiale. Sul fronte spagnolo nel 1640 la doppia rivolta della Catalogna e del Portogallo (unito alla Corona dal 1580) costrinse Filippo IV a ritirare le truppe da altri fronti per impiegarle all’interno, mentre Olivares cadeva definitivamente in disgrazia.

Immagine: Philippe de Champaigne, Il cardinale Richelieu.

Furono dunque eventi interni ai vari paesi - come ribellioni e rivolte, la morte di Luigi XIII e Richelieu, la guerra civile in Inghilterra - nonché l’impossibilità per nessuna delle forze in campo di ottenere la vittoria decisiva sullo schieramento avversario, a convincere le parti che l’unica strada era quella di giungere ad una pace generale.

 

La pace di Westfalia e l’equilibrio degli stati europei

 

Le potenze in campo arrivarono alla pace stanche e sfibrate da una guerra devastante e da una congiuntura politica molto difficile per tutti. Gli stati tedeschi avevano perso una fetta consistente della popolazione (si stima tra il 20% e il 30%), mentre i sopravvissuti avevano conosciuto la miseria, le deportazioni, lo svuotamento di villaggi, le epidemie, le brutalità delle soldatesche. La flotta spagnola era stata distrutta dagli olandesi nella Battaglia delle Dune (1639), mentre le truppe francesi erano riuscite a battere l’esercito asburgico a Rocroi (1643). I negoziati erano stati avviati sin dal 1641; nel 1648 si arrivò ad una serie di trattati firmati nelle città di Münster e Osnabrück (rispettivamente tra Olanda e Spagna, Francia e Impero, Svezia e Impero) noti collettivamente come Pace di Westfalia.

Venne innanzitutto riconosciuta definitivamente l’indipendenza dei Paesi Bassi dalla Spagna, ora liberi anche di proseguire nelle loro penetrazioni commerciali in Asia e in Brasile. La Francia si vedeva riconosciuto il possesso dei vescovadi di Metz, Toul e Verdun, di gran parte dell’Alsazia, di altre piazzeforti sul Reno e in Piemonte. La Svezia, che negli anni 1643-1645 aveva combattuto contro la Danimarca, si vedeva riconosciuto il controllo della Pomerania occidentale e della provincia di Haland, raggiungendo in tal modo un indiscusso predominio sul Baltico. All’elettore del Brandeburgo, Federico Guglielmo, vennero dati la Pomerania orientale, i vescovadi di Magdeburgo, Minden e Halberstadt, ponendo così le basi per la successiva ascesa del regno di Prussia. Rimase in piedi il conflitto tra Francia e Spagna, definito solo con la Pace dei Pirenei del 1659.

Immagine: Gerard Ter Borch, La pace di Westfalia (1648).

Dal punto di vista religioso il calvinismo fu finalmente riconosciuto come confessione, accanto a cattolicesimo e luteranesimo, mentre fu spostato al 1624 l’annus normalis, l’anno a partire dal quale i beni ecclesiastici secolarizzati avrebbero dovuto essere restituiti alla Chiesa di Roma. Il delegato papale si rifiutò di sedersi al tavolo dei negoziati accanto ai rappresentanti delle potenze protestanti e il papa Innocenzo X non riconobbe mai le deliberazioni prese a Westfalia.

Ma quale fu il destino dell’Impero? Il suo potere politico concreto era ormai ridotto a nulla, visto che non aveva alcuna possibilità di intervenire negli affari degli stati tedeschi, nemmeno nelle questioni di politica estera. Da questo momento in poi gli Asburgo d’Austria avrebbero cominciato a interessarsi più dei propri possedimenti ereditari (Austria, Ungheria e Boemia) che degli stati tedeschi. Gli imperatori riuscirono tuttavia a mantenere alto il loro prestigio, soprattutto sganciandosi definitivamente dalla politica confessionale portata avanti dal ramo spagnolo della casata, anche a causa della minaccia costituita dalla aggressiva politica estera di Luigi XIV di Francia, il Re Sole, e dai continui attacchi dell’Impero Ottomano, che in Germania fecero sentire distintamente il bisogno di un legame comune e di una comune guida.

La Francia ne usciva sanzionata come prima potenza continentale a discapito di una non doma Spagna, che volle nonostante tutto proseguire la guerra ma che alla fine dovette finalmente cedere il Rossiglione e l’Artois.

La Pace di Westfalia riveste un’importanza storica straordinaria. Rappresentò la conclusione definitiva del periodo delle guerre di religione e l’inizio di un processo di secolarizzazione delle relazioni internazionali, che si sarebbero da ora in poi basate sugli interessi degli Stati e non su interessi confessionali. La metà del Seicento segna la nascita del sistema degli Stati europei, il cui principio cardine è costituito dall’equilibrio: bisognava evitare che qualche potenza acquisisse una forza tale da coltivare progetti di egemonia continentale. Fu per tale ragione che l’aggressiva politica di Luigi XIV destò più di una preoccupazione nei sovrani europei della seconda metà del Seicento.

 

Suggerimenti di lettura

- John Barclay Pick, The Last Valley, 1959, da cui fu tratto l’omonimo film inglese del 1970, diretto da James Clavell e interpretato da Omar Sharif e Michael Caine.
- Miguel de Cervantes Saavedra, Don Chisciotte della Mancia, (1605-1615).
- Alexandre Dumas, La regina Margot (1845), da cui fu tratto l’omonimo film di Patrice Chéraux del 1994 intepretato da Daniel Auteil, Isabelle Adjani e Virna Lisi.
- Arturo Pérez-Reverte, Purezza di sangue, Il Saggiatore, Milano, 2010.
- Id., Il capitano Alatriste, Rizzoli, Milano, 2015 da cui è tratto il film Il destino di un guerriero, di Agustín Díaz Yanes, del 2006.
- Simon Schama, Il disagio dell'abbondanza. La cultura olandese dell'epoca d'oro, Collana Storia, Mondadori, Milano, 1993.
- Id., Gli occhi di Rembrandt, Collana Storia, Mondadori, Milano, 2000.

1 A lui è attribuita la famosa frase: “Parigi val bene una messa”.

2 sposato una prima volta nel 1572 con la protestante Margherita di Valois, nel 1600 prese in moglie la figlia di Cosimo I de’ Medici, Maria, guadagnando in tal modo un alleato importante sullo scacchiere italiano. La mano di un fanatico cattolico pose però fine alla sua esistenza il 14 maggio del 1610.

3 Il mantenimento di un esercito stabile nei Paesi Bassi costava da solo ben due milioni di ducati all’anno, a cui bisogna aggiungere i costi legati alla flotta; l’afflusso di argento era sceso a un milione di ducati l’anno a fronte di un gettito fiscale di tre milioni di ducati.

4 Si ricorderà l’aggressiva politica nei confronti dell’Inghilterra di Elisabetta I e il disastro della Invencible Armada nel 1588.

5 Sin dal 1438, quando Alberto V venne eletto imperatore con il nome di Alberto I, gli Asburgo presero controllo dei regni di Boemia e di Ungheria nonché del ducato di Borgogna. Sebbene negli anni successivi quegli stessi territori furono a più riprese perduti, la strada era ormai segnata, e un furente Mattia Corvino, re d’Ungheria (1458-1490), poté coniare i famosi versi latini che per molto tempo ricordarono a tutti la principale abilità del nobile casato austriaco: “Bella gerant alii! Tu felix Austria nube | Nam quae Mar aliis, dat tibi Regna Venus”, ovvero, in latino: “Siano gli altri a combattere; tu, Austria fortunata, organizza matrimoni | Infatti, quei regni che agli altri dà Marte, a te li regala Venere”.

6 Le più spinose riguardavano naturalmente la restituzione dei beni ecclesiastici: il principio del Reservatum ecclesiasticum fissato alla pace di Augusta aveva stabilito che se un principe che ricopriva una carica ecclesiastica cattolica fosse passato al luteranesimo, questi non avrebbe più potuto incamerare i beni e renderli ereditari alla famiglia; i beni incamerati fino alla data del 1552 (pace di Passavia) furono regolarizzati, mentre quelli secolarizzati dopo tale data avrebbero dovuto essere restituiti.
Che fare con i principi che volevano convertirsi al calvinismo? Il vescovo-principe di Colonia, Gerhaldt Truchsess, sposatosi con una contessa e convertitosi al calvinismo, tentò di secolarizzare i beni del vescovado. Ne nacque una contesa che si risolse con la sconfitta del Truchsess nel 1584.