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Boccaccio, "Guido Cavalcanti": riassunto e commento

Introduzione

 

Guido Cavalcanti è la nona novella della sesta giornata del Decameron. La storia, narrata da Elissa, regina della giornata, è incentrata sul motto finale espresso da Guido Cavalcanti, poeta e amico di Dante. La narratrice rievoca brevemente il passato di Firenze di fine Duecento, quando c’erano “nella nostra città assai belle e laudevoli usanze” e “si ragunavano insieme i gentili uomini delle contrade e facevano loro brigate”. L’ambientazione è quella della Firenze di fine Duecento (la stessa della novella di Cisti fornaio, sempre nella sesta giornata), che nella realtà storica era straziata dalle lotte, anche sanguinose, tra Guelfi “bianchi” e Guelfi “neri”; qui Boccaccio evita l’analisi approfondita e realistica dei motivi sociopolitici dello scontro, e si concentra sulla raffigurazione di Cavalcanti e sulla celebrazione della sua brillante intelligenza.

 

Riassunto

 

La novella si apre con il ricordo dell’usanza delle classi fiorentine più agiate della fine del XIII secolo di riunirsi in gruppi secondo le contrade di appartenenza per tenere banchetti, divertirsi, celebrare insieme le festività cittadine o i successi militari, e per indire tornei di scherma e spada 1. Tra queste brigate, c’è quella di Betto Brunelleschi, che vuole far entrare nel proprio gruppo Guido Cavalcanti 2, per il prestigio del suo nome e per le sue virtù nobili. Il poeta ci viene descritto da Elissa, narratrice di questa novella, con grandi onori e lodi, che ne sottolineano soprattutto la spiccata propensione alla filosofia (“un de’ miglior loici che avesse il mondo”) e le doti di uomo di cultura:

egli fu un de’ miglior loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale [...] fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uomo molto, e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente, seppe meglio che altro uom fare; e con questo era ricchissimo, e a chiedere a lingua sapeva onorare cui nell'animo gli capeva che il valesse.

Inoltre, Elissa sottolinea che proprio l’amore per la filosofia e la conoscenza, che ha fatto avvicinare Guido alla corrente dell’epicureismo 3, lo ha anche isolato dal resto degli uomini (“Guido alcuna volta speculando molto abstratto dagli uomini divenia”), così da farlo sembrare altezzoso e superbo. Cavalcanti viene così fermato un giorno dalla brigata di Betto presso la porta di San Giovanni, dove si trovano le tombe dei primi abitanti di Firenze. Betto e i suoi uomini circondano Guido e, con intento scherzoso ma anche desiderando “dargli briga”, gli chiedono di giustificare sia il suo rifiuto di unirsi a loro sia il suo ateismo:

“Guido tu rifiuti d'esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto?”

Guido risponde con una arguta, ma enigmatica risposta, cui egli abbina un gesto atletico che gli permette di saltare oltre le tombe e gli archi di San Giovanni:

“Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace”. 

I membri della brigata rimangono attoniti, poiché non hanno compreso il motto del poeta-filosofo, che viene però compreso e spiegato da Betto: per Cavalcanti, filosofo e poeta coltissimo, gli uomini della brigata sono “idioti e non letterati” e quindi assomigliano in tutto e per tutto ai cadaveri contenuti nelle tombe di San Giovanni, dove quindi si trovano a casa (“siamo, a comparazion di lui e degli altri scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra”).

 

Cavalcanti, la figura dell’intellettuale e la Firenze di fine Duecento

 

In questa novella Boccaccio esalta Guido Cavalcanti come emblema dell’intellettuale che non viene compreso dalla massa, che in lui vede solo, in maniera molto superficiale, una figura originale e solitaria, presa in maniera ossessiva dai propri pensieri. La “beffa” di Guido ai danni della brigata di Betto vuole invece ribadire proprio questa distanza incolmabile tra la gente comune e chi detiene il privilegio della cultura e del sapere: per questo Guido paragona i suoi avversari a dei morti, cioè a corpi ormai privi di vita e di senno.

Da questo episodio traspare anche la prospettiva con cui nel Decameron si guarda al tempo passato e ai valori ch’esso incarna: Boccaccio, infatti, esclude del tutto dalla rappresentazione la questione politica 4. Piuttosto, alla luce dell’ideologia dell’opera e della visione del mondo del suo autore, conta la rievocazione, venata di nostalgia, del passato ideale della città di Firenze, in cui ancora esistevano figure, come quella di Cavalcanti, che rappresentavano al meglio un'aristocrazia non solo dei titoli o dei possedimenti ma anche dell’intelletto e della cultura umanistica.

 

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1 ”Dovete adunque sapere che né tempi passati furono nella nostra città assai belle e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna ve n’è rimasa, mercé dell’avarizia che in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l’ha discacciate. Tra le quali n’era una cotale, che in diversi luoghi per Firenze si ragunavano insieme i gentili uomini delle contrade e facevano lor brigate di certo numero, guardando di mettervi tali che comportar potessono acconciamente le spese, e oggi l’uno, doman l’altro, e così per ordine tutti mettevan tavola, ciascuno il suo dì, a tutta la brigata; e in quella spesse volte onoravano e gentili uomini forestieri, quando ve ne capitavano, e ancora de’ cittadini; e similmente si vestivano insieme almeno una volta l’anno, e insieme i dì più notabili cavalcavano per la città, e talora armeggiavano, e massimamente per le feste principali o quando alcuna lieta novella di vittoria o d’altro fosse venuta nella città”.

2 Guido Cavalcanti (1258ca. - 1300) è uno dei principali poeti italiani del Duecento. Proveniente da una nobile famiglia guelfa, fu un esponente importante della poetica dello Stilnovismo (ricordiamo la sua canzone Donna me prega e il sonetto Voi che per li occhi mi passaste ‘l core) ma coltivò anche interessi filosofici vicini alla corrente dell’averroismo, che estremizza alcuni punti della filosofia di Aristotele, venendo ricordato - cosa che al tempo doveva suscitare un certo scalpore - come ateo. Il padre di Guido, Cavalcante, era invece seguace della filosofia epicurea, e ricordato per questo da Dante nel decimo canto dell’Inferno. Guido, coinvolto nei gravi scontri tra la fazione bianca, cui egli apparteneva, e i “neri”, venne esiliato dall’amico Dante, eletto priore per quell’anno, e morì di lì a poco di malaria.

3 Si spiega: "egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri, si diceva tralla gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse".

4 Betto Brunelleschi era uno dei capi della fazione “nera”, ma nella novella non c’è nemmeno accenno alle lotte intestine tra “bianchi” e "neri" che poi portarono all’esilio di Guido stesso