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Petrarca, "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono": parafrasi del testo

Parafrasi Analisi

Sonetto d’apertura del Canzoniere petrarchesco, è stato scritto intorno al 1349-1350, cioè in un periodo successivo rispetto alla stesura delle "rime sparse" alle quali si fa riferimento al primo verso; a quest’altezza cronologica si può pertanto collocare il lavoro di sistemazione e di ordinamento del libro. Nel testo proemiale - che ovviamente ha una capitale importanza per introdurre il proprio uditorio all'intera opera - Petrarca, rivolgendosi direttamente ai lettori con l’utilizzo del “Voi” (v. 1), affronta i temi generali dei Rerum vulgarium fragmentala passione amorosa, descritta come un giovenile "errore" da cui egli si è ormai riscattato, la fugacità della vita terrena (l’amore è infatti presentato come un “breve sogno”, presto smascherato dalla maturità), la ricerca di una redenzione individuale ai propri tormenti intimi ("spero trovar pietà, nonché perdono", v. 8), l'attento lavoro stilistico e formale sul testo poetico (oltre alle "rime sparse", il "vario stile" del v. 5).

Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE.

  1. Voi ch’ascoltate 1 in rime sparse 2 il suono
  2. di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
  3. in sul mio primo giovenile errore 3
  4. quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono 4
  5. del vario stile 5 in ch’io piango et ragiono 6
  6. fra le vane speranze e ’l van dolore 7,
  7. ove sia chi per prova intenda amore,
  8. spero trovar pietà, nonché perdono 8.
  9. Ma ben veggio 9 or sì come al popol tutto
  10. favola fui gran tempo, onde sovente
  11. di me medesmo meco 10 mi vergogno;
  12. et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
  13. e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
  14. che quanto piace al mondo è breve sogno 11.
  1. O voi che ascoltate in testi in volgare di diversa forma
  2. il suono di quei sospiri con i quali io nutrivo il cuore
  3. al tempo della mia prima giovanile colpa,
  4. quando ero in parte diverso dall’uomo che sono ora,
  5. spero di trovare comprensione e perdono
  6. dello stile mutevole con il quale io mi lamento e
  7. scrivo, tra inutili speranze e vano dolore,
  8. presso chi abbia esperienza diretta d’amore.
  9. Ma ormai ben so che sono stato per tutti 
  10. oggetto di derisione per lungo tempo, cosa per cui
  11. spesso io provo, tra me e me, vergogna di me stesso.
  12. e la vergogna è frutto della mia inutile vanità, e così
  13. il pentimento, e l’essere del tutto consapevole
  14. che quanto si desidera in questa vita terrena è cosa labile.

1 Voi ch’ascoltate: l’apostrofe al lettore conferma il carattere incipitario del componimento, e fa da contraltare, nell’appello ad un insieme indistinto di uditori (identificati dal “voi”), all’insistenza dei versi successivi sulla centralità dell’io del poeta (“ond’io”, “mio”, “i’ sono”, “io piango et ragiono”, vv. 2-5), che conferma la dimensione individual-narcisistica della lirica petrarchesca.

2 in rime sparse: traduce il primo latino dell’opera, Rerum vulgarium fragmenta, e allude, sin dal primo testo, all’operazione poetica di raccolta ed ordinamento di frammenti sparsi ed eterogenei della poesia (e quindi dell’anima) petrarchesca (per di più, nel Canzoniere, in volgare e non in latino, e cioè non nella lingua della comunicazione dotta "ufficiale", ma in quella dell'uso quotidiano, per quanto raffinata e curatissima dal punto di vista tecnico-formale).

3 Il "giovenile errore" è l’amore per Laura: il sostantivo va chiaramente inteso nel senso cristiano di “peccato” e “sviamento” provocato dall’attrazione per le cose terrene, e risolto solo dalla Canzone alla Vergine che, con perfetta simmetria, chiude i Rerum vulgarium fragmenta.

4 quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono: l’intero verso dà conto di una radicale presa di distanza dall’io di un tempo; nel progetto complessivo del Canzoniere, Petrarca vuol dare appunto sviluppo narrativo al percorso di formazione (e di spiritualizzazione delle pulsioni terrene...) della propria anima, anche attraverso il meticoloso ordinamento dei testi.

5 Il "vario stile" cui Petrarca qui allude va di pari passo sia con la varietà degli stati d’animo espressi nel Canzoniere (si pensi all'alternanza tra testi "in vita" e "in morte" di Laura) sia con l'eterogeneità di forme poetiche (sonetto, canzone, sestina, ballata e madrigale) che il successo dei Rerum vulgarium fragmenta rendono centrali nella nostra tradizione poetica.

6 piango et ragiono: sintagma ricorrente nel Canzoniere, tanto da diventare quasi un’endiadi, visto che allude alle reazioni speculari dell'io pèeotico rispetto alla propria vicenda d'amore (la sofferenza e l'elaborazione intellettual-letteraria).

7 le vane speranze e 'l van dolore: ancora una dittologia tipicamente petrarchesca, i cui due termini sono correlati da una congiunzione copulativa, con anafora dell’aggettivo ("vane - van"), che ribadisce uno dei campi semantici fondamentali del libro, ovvero quello della vanità delle cose terrene.

8 Costruzione vv. 5-8: “Spero trovar pietà, nonché perdono del vario stile in ch’io piango et ragiono fra le vane speranze e ‘l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore”.

9 Ma ben veggio: la congiunzione avversativa e il tempo presente segnano un netto stacco, all’inizio delle terzine, nel ragionamento di Petrarca: l’uomo che scrive oggi è ben conscio della frattura che lo separa da colui che era la tempo del “giovenil errore” del v. 3. Sono passaggi su cui il poeta tornerà, quasi ossessivamente, in tutto il Canzoniere.

10 di me medesmo mecoinsistita allitterazione della "m" e dei pronomi personali di prima persona, con l’effetto di portare al centro dell’attenzione la storia individuale di un’anima. Per altro, si avverte un'eco abbastanza percettibile di un passo biblico (Salmo 43: "Tota die verecundia mea contra me est", "sempre la mia vergogna è avversa a me").

11 Lo stile concitato della terzina conclusiva, sostenuto dalle allitterazioni e dall’anafora della congiunzione coordinante “e”, dà conto del disincanto espresso da Petrarca in merito a qualsiasi bene materiale: il poeta ribadisce, con ancor maggior forza, di aver preso atto delle proprie colpe passate e della labilità delle cose terrene.