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"I promessi sposi", capitoli 20-21: riassunto e commento

Introduzione

 

Nei capitoli ventesimo e ventunesimo del romanzo assistiamo ad uno snodo fondamentale della trama dei Promessi sposi: Lucia infatti viene rapita su ordine dell’Innominato (e con la complicità di Egidio e della Monaca di Monza)  e condotta dal Nibbio al castellaccio del signorotto locale. Quest’ultimo attraversa però già da tempo un periodo di turbamenti interiori, che lo mettono continuamente di fronte alla sua vità di delitti e scelleratezze. Il confronto con Lucia, che gli ricorda l’esistenza del perdono cristiano e la possivbilità di redimersi e salvarsi l’anima, e la notte insonne che ne segue portano il personaggio a mutare completamente vita.

 

Capitolo XX: il castello dell’Innominato e il rapimento di Lucia

 

Il capitolo XX dei inizia con la descrizione del castello dell’innominato, meta di don Rodrigo e dei suoi bravi; l’ambientazione, cupa e selvatica, sembra preannunciare - con un gusto da romanzo gotico, antitetico alla descrizione d’apertura sul “ramo del lago di Como” - il fosco personaggio che l’abita:

Il castello dell’innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. [...] Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto 1.

L’orgoglio e la superbia dell’Innominato, simboleggiate nel suo castello sopra cui nessun altro può ergersi, sono tali che nemmeno la legge ufficiale può entrare nelle sue terre, sottoposte esclusivamente al suo potere personale 2. Anche don Rodrgio, tradizionalmente sprezzante di qualsiasi autorità, deve sottostare alle regole di questo tiranno: lui e il suo seguito di bravi si fermano infatti alla taverna della “Malanotte” 3. Qui don Rodrigo domanda l’Innominato è in casa e, dopo essersi disarmato (condicio sine qua non per poter recarsi dal suo ospite), s’incammina con il Griso su per la salita. Mentre i due procedono vengono raggiunti da un “bravo” dell’innominato, che li scorta sino al castello. Dopo che il Griso è stato lasciato alla porta del castello, don Rodrigo viene introdotto all’interno del maniero e, dopo un lungo e tortuoso percorso per corridoi e sale e dopo una lunga attesa, incontr a finalmente l’Innominato. Di quest’ultimo Manzoni dà una descrizione fisiognomica e psicologica, che sottolinea la grandiosa forza che alberga in lui:

Era grande, bruno, calvo; bianchi i pochi capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gli si sarebbe dato più de’ sessant’anni che aveva; ma il contegno, le mosse, la durezza risentita de’ lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi, indicavano una forza di corpo e di animo, che sarebbe stata straordinaria in un giovine 4.

Don Rodrigo espone il suo problema al potente e temibile signorotto che, quando apprende che l’odiato fra Cristoforo è invischiato nella vicenda, accetta d’impulso l’impegno dell’impresa. Così liquida don Rodrigo dicendo che lo informerà dopo aver portato a termine l’azione. Inoltre Egidio, l’amante di Gertrude, protettrice di Lucia nel convento di Monza, è uno dei più stretti complici dell’Innominato nelle sue “scelleratezze” 5, e ciò naturalmente semplifica il piano del rapimento.

 

Una volta rimasto solo però, l'uomo si pente di aver dato la propria parola, conscio dell’avvicinarsi della morte e del “crescere e crescere d’un peso già incomodo”, da cui deriva la “costernazione repentina” 6 di vedersi senza via di scampo di fronte al giudizio divino. Nella sua “solitudine tremenda”, l’immagine di Dio gli si presenta nell’animo come un richiamo sotterraneo ma da da cui non può fuggire:

 

Quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d'abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però. 7

 

Dopo essersi soffermato su questi pensieri l’Innominato chiama a sé il Nibbio, uno dei suoi aiutanti più fidati, mandandolo a Monza da Egidio per informarlo del piano e chiedere la sua collaborazione. Egidio risponde positivamente alla richiesta dell’Innominato e chiede una carrozza e tre bravi per poter portare a termine il suo compito. Gertrude, per conto suo, ritiene “una scellerata perfidia” sacrificare in tal modo Lucia, ma non sa nemmeno ribellarsi all’amante e al peccato di cui si è già macchiata 8. La monaca chiede allora alla povera Lucia di svolgere per lei una commissione: recarsi al convento dei cappuccini per “un’affare di grand’importanza”, mantenendo però il più stretto riserbo e segretezza 9.

 

Lucia, seppur turbata e perplessa, accetta ed esce dal convento; il Nibbio, che l’aspetta lungo la strada con un complice, la rapisce facendola salire con la forza su una carrozza. La ragazza, presa dal panico, prova a liberarsi, ma il terrore è tale che di lì a poco perde i sensi. Quando si riprende, Lucia pensa di gettarsi dalla carrozza in corsa e, tra una preghiera e l’altra, implora i suoi rapitori di lasciarla libera. Dopo quattro ore di viaggio, Lucia giunge al castello dell’Innominato, che l’attende in preda all’angoscia:

Era aspettata dall’innominato, con un’inquietudine, con una sospension d’animo insolita. Cosa strana! quell’uomo, che aveva disposto a sangue freddo di tante vite, che in tanti suoi fatti non aveva contato per nulla i dolori da lui cagionati, se non qualche volta per assaporare in essi una selvaggia voluttà di vendetta, ora, nel metter le mani addosso a questa sconosciuta, a questa povera contadina, sentiva come un ribrezzo, direi quasi un terrore 10.

Il primo istinto del tiranno è quello di mandare la carrozza con dentro la ragazza direttamente da don Rodrigo, liberandosi del fastidioso fardello e del senso di oppressione per i suoi peccati. Tuttavia, il “no imperioso” 11 della sua coscienza gli impedisce di liquidare così la ragazza. Fa quindi chiamare una vecchia serva affinché si occupi della giovane facendole coraggio, senza però svelarle chi stia dietro al suo rapimento e in che luogo si trovi adesso.

 

Capitolo XXI: Lucia e la notte dell’Innominato

 

Il capitolo ventunesimo prosegue la narrazione degli eventi che portano alla cosiddetta notte dell’Innominato, funzionale alla conversione del personaggio e alla svolta degli eventi per i due protagonisti principali.

 

La vecchia serva, obbedendo ai comandi del suo signore, si reca da Lucia, trattenuta all’osteria della Malanotte, per confortarla e per placarne il terrore, anche se le sue parole hanno scarso effetto sulla povera ragazza. Nel frattempo l’Innominato riceve il Nibbio, suo “bravo” di fiducia, che, da uomo avvezzo a ogni delitto, confessa di aver provato un moto di compassione per la giovane vittima 12. L’Innominato, intuendo sempre un tormento intimo di coscienza, vorrebbe sbarazzarsi di Lucia consegnandola subito a don Rodrigo, ma un nuovo “no 13 della sua coscienza gli fa rimandare il tutto al giorno seguente. Colpito dall’ammissione del Nibbio, l’Innominato decide d’incontrare la sua prigioniera, custodita nella stanza della vecchia serva. Quando Lucia, di fronte al tiranno, chiede pietà in nome di Dio, la reazione dell’Innominato è stizzita e rabbiosa 14, anche se egli si rende conto che le parole della giovane lo hanno toccato nel profondo. Egli comanda alla vecchia di far mangiare e di prendersi cura della giovane. Quest’ultima, sopraffatta dalla disperazione, pronuncia un voto alla Vergine in cui rinuncia a Renzo:

 

“o Vergine santissima! Voi, a cui mi sono raccomandata tante volte, e che tante volte m’avete consolata! Voi che avete patito tanti dolori, e siete ora tanto gloriosa, e avete fatti tanti miracoli per i poveri tribolati; aiutatemi! fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva con mia madre, Madre del Signore; e fo voto a voi di rimaner vergine; rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d’altri che vostra” 15.

Nel frattempo, l’Innominato è ossessionato dall’immagine di Lucia, che ha definitivamente dato il via alla sua crisi di coscienza, che lo tormenta per tutta la notte 16. Il tiranno infine decide di liberare Lucia e, all’alba, sente il suono di campane a festa che annunciano l’arrivo di Federigo Borromeo.

1 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Milano, Principato, 1988, p. 432.

2 Ivi, p. 433: “Il birro poi che vi si fosse lasciato vedere, sarebbe stato trattato come una spia nemica che venga colta in un accampamento. Si raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano voluto tentar l'impresa; ma eran già storie antiche; e nessuno de' giovani si rammentava d'aver veduto nella valle uno di quella razza, né vivo, né morto”.

3 Ibidem.

4 Ivi, p. 435. I critici manzoniani hanno sottolineato, tra i modelli dell’Innominato, la presenza del personaggio di Karl Moor del dramma teatrale I masnadieri (1781) di Friedrich Schiller (1759-1805).

5 ivi, p. 436.

6 Ivi, pp. 436-437. La domanda senza risposta che agita l’Innominato - “Invecchiare! morire! e poi?” (ivi, p. 436) - ricorda da vicino quella celeberrima dell’Amleto di William Shakespeare (1564-1616).

7 Ivi, p. 437.

8 Ivi, p. 439: “Il delitto è un padrone rigido e inflessibile, contro cui non divien forte se non chi se ne ribella interamente. A questo Gertrude non voleva risolversi; e ubbidì”.

9 Ivi, pp. 439-440: “Ho bisogno d’un gran servizio; e voi sola potete farmelo. Ho tanta gente a’ miei comandi; ma di cui mi fidi, nessuno. Per un affare di grand’importanza, che vi dirò poi, ho bisogno di parlar subito subito con quel padre guardiano de’ cappuccini che v’ha condotta qui da me, la mia povera Lucia; ma è anche necessario che nessuno sappia che l’ho mandato a chiamare io. Non ho che voi per far segretamente quest’imbasciata”.

10 Ivi, p. 445.

11 Ivi, p. 446.

12 Ivi, p. 454: “«Non l'ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la compassione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo»”.

13 Ivi, p. 455.

14 Ivi, p. 457: “«Dio, Dio,» interruppe l'innominato: «sempre Dio: coloro che non possono difendersi da sé, che non hanno la forza, sempre han questo Dio da mettere in campo, come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con codesta vostra parola? Di farmi...?» e lasciò la frase a mezzo”.

15 Ivi, p. 463.

16 Ivi, pp. 465-467: “Il tempo gli s'affacciò davanti voto d'ogni intento, d'ogni occupazione, d'ogni volere, pieno soltanto di memorie intollerabili; tutte l'ore somiglianti a quella che gli passava così lenta, così pesante sul capo. [...] si trovò ingolfato nell'esame di tutta la sua vita”.