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Calvino, "Il visconte dimezzato": riassunto e commento

Introduzione

 

Il visconte dimezzato è un romanzo breve di Italo Calvino pubblicato nel 1952, e poi prima opera della trilogia de I nostri antenati (1960) insieme con Il barone rampante e Il cavaliere inesistente.

 

Riassunto

 

Il romanzo è ambientato alla fine del Cinquecento; la storia, narrata dal nipote del protagonista, ha come proprio personaggio principale il visconte Medardo di Terralba, che, entrato a far parte dell’esercito cristiano, parte per la Boemia col fedele scudiero Curzio per combattere i Turchi. Qui, in una battaglia campale, Medardo viene colpito e diviso a metà da una palla di cannone. Dal grave incidente sembra essersi salvata solo la metà malvagia di Medardo, che, orrendamente sfigurato, torna a Terralba, dove si dimostra sadico e crudele, e instaura un regime di Terrore che opprime sia gli abitanti di Terralba che le figure più vicine a lui. Medardo, ad esempio, non esita a scacciare a Pratofungo (terra d’esilio dei lebbrosi) la vecchia balia Sebastiana costruendo prove false contro di lei, a provare ad avvelenare con dei funghi il nipote (appunto, il narratore delle vicende), a perseguitare la minoranza religiosa degli Ugonotti e addirittura a causare la morte del padre Aiolfo, uccidendo spietatamente il suo uccellino prediletto. Il Medardo malvagio, che si è meritato da tutti l’appellativo de il "Gramo" e che si sposta per le sue terre per mezzo di una gruccia, si fa anche costruire da mastro Pietrochiodo delle macchine che scindono e dimezzano tutto ciò che colpiscono, come se volesse imporre anche al mondo circostante la sua pena.

Per i personaggi positivi della storia (oltre al giovane narratore, c’è anche il dottor Trelawney, un medico stabilitosi a Terralba che si dedica alla ricerca dei fuochi fatui nei cimiteri 1) la svolta arriva un giorno, quando il nipote del visconte, che sta pescando senza successo in un lago, si vede regalare dallo zio un anello prezioso; per di più, Medardo lo salva da un ragno velenoso, facendosi pungere una mano al posto suo. Il narratore capisce solo in seguito che quella è la parte destra del visconte, anch’essa sopravvissuta all’incidente e che, a differenza di quella sinistra del “Gramo”, è straordinariamente buona. Il "Buono" - che in opposizione al Medardo malvagio vive quasi da eremita nel bosco di Terralba - si attiva subito per porre rimedio alle ingiustizie del suo doppio: tuttavia, se un Medardo è indubbiamente disumano e perverso, l'altro è insopportabilmente buono e pronto ad offrire a chiunque il suo aiuto (spesso con esiti disastrosi). Questo conflitto viene ulteriormente esacerbato dal fatto che entrambi si contendono l’amore di Pamela, una giovane pastorella che, con molto giudizio, rifiuta le esagerazioni dell’uno e dell’altro.

Mentre gli abitanti di Terralba non possono più sopportare né il Gramo né il Buono, il narratore e il dottor Trelawney architettano un piano per riunire le due metà del nobile. L'occasione si presenta il giorno delle nozze di Pamela, che è stata costretta dai genitori a sposare una delle due “metà” del visconte. Il Buono giunge per pirmo alla cerimonia, e quando sopraggiugne il Medardo malvagio scoppia una furiosa lite tra i due, che decidono di affrontarsi a duello il giorno successivo. Le due metà si feriscono quindi a vicenda proprio in coincidenza della lunga ferita che le ha originariamente separate: Trelawney, con una complessa operazione chirurgica, riesce a ricomporre il visconte tutto intero.

 

La scissione di Medardo e il "lieto fine"

 

Certamente il dimidiamento di Medardo (una scissione che allude tanto all'uomo contemporaneo quanto alla figura dell'intellettuale nel Dopoguerra) si presta a diverse interpretazioni critiche. Se alcuni lettori hanno identificato questa divisione con quella storica e ideologica della Guerra Fredda (vedendo nel Gramo e nel Buono due blocchi divisi e nemici ma che sopravvivono solo nella loro lotta reciproca, senza potersi annullare a vicenda), altri hanno pensato invece a una divisione stilistica, tra uno modello realistico (che recupera le convenzioni del romanzo storico e di quello d'avventura 2) e un altro, fiabesco-allegorico, una tipologia cui Calvino ha sempre dedicato molta attenzione (basti pensare a Marcovaldo o al lavoro sulle Fiabe italiane). In realtà, le due possibili lettura vanno di pari passo: se certo l'autore si discosta dai modi neorealisti dei primi racconti (come in Ultimo viene il corvo), lo stile fiabesco costituisce l'altra metà della sua riflessione sull'identità e sul doppio 3, e una chiave d’accesso profonda al messaggio dell’autore.

Lungi dal voler comporre un semplice racconto sull’opposizione tra bene e male, l'intento di Calvino era quello di "combattere tutti i dimidiamenti dell’uomo, auspicare l’uomo totale" 4, come da lui stesso chiarito nella fondamentale Nota alla “trilogia degli antenati” del 1960. Tra ambientazione realistica e sviluppo fantastico della trama (come dimostra la vicenda della divisione e della ricomposizione del corpo di Medardo), Calvino riflette sul dimidiamento della personalità come vera identità dell'essere, dal momento che "Medardo intero dell’inizio, indeterminato com’è, non ha personalità né volto; del Medardo reintegrato della fine non si sa più nulla; e chi vive nel racconto è solo Medardo in quanto metà di se stesso" 5. Questa divisione diventa, per l'autore, allegoria dell'uomo contemporaneo, "mutilato, incompleto, nemico a se stesso" 6, perché, come dichiarato in un'intervista del 1983, "tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra" 7. Considerando poi l’opera all’interno della trilogia de I nostri antenati, è evidente che Calvino vuole creare “un albero genealogico degli antenati dell’uomo contemporaneo, in cui ogni volto cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di me stesso” 8.

Ma questa aspirazione rimane sempre difficile e complessa; da un lato, l’happy end conclusivo non risolve tutti i problemi di Terralba 9, e dall’altro lo stesso narratore, che rimane spesso in disparte, confessa nel finale, quando è abbandonato dallo stesso amico Trelawney che torna sulla nave di Cook, la propria scissione intima:

Io invece, in mezzo a tanto fervore d’interezza, mi sentivo sempre più triste e manchevole. Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane. [...] Ma già le navi stavano scomparendo all’orizzonte e io rimasi qui, in questo mondo pieno di responsabilità e di fuochi fatui.

1 I fuochi fatui sono fiammelle, di colore azzurro chiaro, che sono prodotte dai gas di decomposizione dei cadaveri.

2 Un rimando esplicito al romanzo d’avventura è da rintracciare nel personaggio di Trelawney, che si è fermato a Terralba dopo aver fatto parte delle spedizioni del capitano James Cook (1728-1779) intorno al mondo. La figura di Trelawney compare anche ne L’isola del tesoro (1883), romanzo per ragazzi di Robert Louis Stevenson (1850-1894). Da un altro celebre romanzo di Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886), si riprende il tema della scissione tra il bene e il male nella stessa persona.

3 Lo stesso Calvino rifiuta una lettura “a senso unico” del Visconte dimezzato: “Non avevo nessun proposito di sostenere una poetica piuttosto che un’altra né alcuna intenzione d’allegoria moralistica o, meno che ami, politica in senso stretto”.

4 I. Calvino, Nota ai Nostri antenati (1960), ora in Romanzi e racconti, edizione diretta da C. Milanini, vol. I, Milano, Mondadori, 1991, pp. 1212-1213.

5 Ivi, p. 1213.

6 Ivi, p. 1211. E Calvino prosegue: “[...] Marx lo disse «alienato», Freud «represso»; uno stato d’antica armonia è perduto, a una nuova completezza s’aspira”.

7 Il gusto dei contemporanei, Quaderno n. 3, Italo Calvino, Pesaro, 1987, p. 9.

8 Ivi, p. 1219.

9 Il visconte dimezzato, in Romanzi e racconti, cit., p. 443: “Anche la nostra vita mutò in meglio. Forse ci s’aspettava che, tornato intero il visconte, s’aprisse un’epoca di felicità meravigliosa; ma è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo”.