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Calvino, "Il cavaliere inesistente": riassunto e commento

Introduzione

 

Il cavaliere inesistente è il terzo romanzo della trilogia de I nostri antenati, e viene pubblicato da Einaudi nel 1959. Il libro, dopo l’uomo dimidiato del Visconte dimezzato e l’allegoria illuminista del Barone rampante, presenta la riflessione di Calvino sul mancato rapporto tra la realtà e l’uomo contemporaneo.

 

Riassunto

 

La storia, ambientata all'epoca delle Crociate contro gli infedeli, si sviluppa intorno a due personaggi antitetici: Agilulfo, cavaliere dall’armatura vuota, che esiste solo attraverso la forza di volontà e la coscienza, e Gurdulù, che esiste ma che è privo di coscienza, e che diventerà nel corso delle vicende lo scudiero del protagonista. Intorno a queste due figure (una priva di “individualità fisica”, l’altra priva “d’individualità di coscienza” 1) ruotano gli altri personaggi, attraverso i quali viene sviluppata la narrazione: in particolare acquista rilievo il giovane Rambaldo, che rappresenta una sorta di altro protagonista.

 

Mentre Agilulfo, presentatosi alla corte di Carlo Magno a Parigi, è inviso agli altri cavalieri per la legge di perfezione che lo guida (e che al tempo stesso lo rende inumano), il giovane Rambaldo vuole vendicarsi dell'argalif pagano Isoarre, che ha ucciso suo padre. Caduto in un'imboscata, Rambaldo è salvato dalla bella Bradamante, di cui s'innamora all'istante; Bradamente è però a sua volta innamorata proprio di Agilulfo, e rifiuta quindi il giovane. Il tutto si sblocca quando un giovane, Torrismondo, svela di essere il figlio di Sofronia, la donna che, salvata quindici anni prima da Agilulfo dalle mani di alcuni briganti e creduta all'epoca vergine, era valsa al protagonista il titolo nobiliare per la difesa della sua illibatezza. Colpito nell'onore (e cioè nella propria identità di cavaliere) Agilulfo parte alla ricerca della donna per scoprire la verità, seguito a ruota da Bradamante, Rambaldo e Torrismondo, che vuole ritrovare il padre, membro del fantomatico Sacro Ordine dei Cavalieri del Gral. La ricerca conduce Agilulfo dall'Inghilterra al Marocco sull tracce di Sofronia, mentre Torrismondo si reca nella terra di Curvaldia e scopre che in realtà i Cavalieri del Gral non sono affatto i paladini che si aspettava e che anzi opprimono i contadini con pesanti tributi. Dopo che il "cavaliere inesistente" ha recuperato Sofronia e l'ha condotta al campo dei Franchi, Torrismondo, nel frattempo innamoratosi perdutamente di lei, scopre di non essere suo figlio ma suo fratellastro: i due, sposati al cospetto di Carlo Magno, possono regnare felicemente sul regno di Curvaldia.

 

Agilulfo invece non viene a conoscenza della verità: credendo di aver ormai perso l'onore, scompare cedendo a Rambaldo la propria armatura. Anche Bradamante rivela infine la propria identità: ella altro non è che suor Teodora, narratrice delle vicende. Delusa dai suoi amanti, la donna è solita rifugiarsi in un convento per espiare il proprio dolore; ma in questo caso, in chiusura del romanzo, sarà la voce dell'innamorato Rambaldo a farla fuggire dal monastero.

 

Il cavaliere inesistente e “l’uomo artificiale”

 

All’interno della trilogia de I nostri antenati, Il cavaliere inesistente, anche se composto per ultimo, può essere visto come il prologo, cioè il momento di ricerca dell’essere, prima ancora dei tentativi di realizzarlo e di raggiungere la completezza, come accade nel Visconte dimezzato e nel Barone rampante.

 

Il cavaliere inesistente analizza, attraverso l'ambientazione cavalleresca, diversi modi di "essere" che per Calvino possono essere ricondotti al nostro modo di stare al mondo in quanto individui: Rambaldo, giovane combattente che vuole vendicare la morte del padre, “cerca le prove d’esserci” nell’azione, e rappresenta quindi per Calvino “la morale pratica 2. Torrismondo, l’altro giovane guerriero che mette in discussione le qualità del cavaliere Agilulfo per una superiore legge etica, rappresenta per Calvino “la morale assoluta”, perché il ragazzo ricerca l’esserci “da qualcos’altro che se stesso, da quel che c’era prima di lui, il tutto da cui s’è staccato” 3. C’è poi Bradamante, donna guerriero innamorata di Agilulfo, ma anche narratrice occulta della storia nelle vesti di Suor Teodora; in lei si ricompongono i temi del libro (e anche della tradizione del poema cavalleresco di Boiardo, di Ariosto e di Tasso), l’amore e la guerra come prove della nostra esistenza. In più, nella sua natura doppia di Bradamante-Suor Teodora comincia a prendere corpo la riflessione di Calvino sulla scrittura e sulle sue potenzialità, preannunciando la linea di poetica degli anni Sessanta e Settanta. In tal senso, Il cavaliere inesistente illustra poi assai bene il piacere di Calvino per la citazione intertestuale, anche di stampo ironico. Rambaldo, per esempio, nel corso del romanzo matura e ottiene in eredità l’armatura del cavaliere perfetto ma inesistente, e infine l’amore di Bradamante. In questo caso è rintracciabile il modello letterario di Ruggiero, personaggio del poema Orlando furioso di Ariosto, il quale conquista la sua Bradamante dopo una lunga maturazione spirituale 4.

Non manca infine l’attenzione al lettore e al piacere della lettura, due temi che costituiranno le fondamenta, vent’anni dopo questo romanzo, di Se una notte d’inverno un viaggiatore:

[...] qui il racconto era e doveva essere quello che si dice un «divertimento». Questa formula del «divertimento» io l’ho sempre intesa che chi deve divertirsi è il lettore: ciò non vuol dire che sia altrettanto un divertimento per lo scrittore, il quale deve raccontare con distacco, alternando slanci a freddo e slanci a caldo, autocontrollo e spontaneità, ed è in realtà il modo di scrivere che dà più fatica e tensione nervosa. 5

1 I. Calvino, Nota ai Nostri antenati (1960), ora in Romanzi e racconti, edizione diretta da C. Milanini, vol. I, Milano, Mondadori, 1991, p. 1216.

2 I. Calvino, Nota ai Nostri antenati (1960), cit., p. 1217.

3 Ibidem.

4 Anche Torrismondo sembra modellato su un’altra figura ariostesca, Rinaldo.

5 I. Calvino, Nota ai Nostri antenati (1960), cit., p. 1217-1218.