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"Sublime specchio di veraci detti" di Alfieri: analisi e commento

Contenuto nella prima parte delle Rime che raggruppa i componimenti dal 1776 al 1788, Il sonetto CLXVII è datato 9 giugno 1786. Noto come Sublime specchio di veraci detti, è un autoritratto in versi che inaugura un costume, quello del componimento autodescrittivo, che si sviluppa tra i poeti dell'Ottocento romantico, tra i quali Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni. Il primo verso si apre con un'invocazione al sonetto stesso: indicato in una metafora come uno specchio altissimo, "sublime", di dichiarazioni sincere, questo deve mostrare tutte le caratteristiche  peculiari dell'autore. La descrizione comincia con una elencazione di connotati fisici che occupa interamente le due quartine: "capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;/lunga statura, e capo a terra prono; | [...] giusto naso, bel labro, e denti eletti" (vv. 3-4/8). Alfieri si descrive come un uomo dai capelli rossi ormai radi, alto e a testa china, (una caratteristica quest'ultima che detta una prerogativa dell'animo), corporatura snella e gambe diritte, carnagione bianca, occhi azzurri, aspetto sano, naso proporzionato, belle labbra e denti bianchi, uguali. Il volto, pallido come quello di un re sul trono, o meglio di un tiranno costantemente in ansia per la conservazione del potere, rivela gli aspetti più vari del suo carattere: rigido e brusco, può divenire buono e arrendevole, pur restando adombrato, anche se mai malevolo. Perennemente in lotta con se stesso, spesso malinconico ma talvolta sereno, a volte si considera un eroe ("Achille"), altre volte un vile ("Tersite"). L'ultimo verso ("uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai") introduce il tema della morte, un argomento che ricorre spesso nelle Rime, ma in chiave agonistica: la morte rappresenta l'ultima sponda che separa l'uomo dalla conoscenza del suo vero valore. L'Alfieri dà appuntamento a sé stesso al cospetto di un'inevitabile sentenza che pare rappresentare l'ultimo atto di una vita titanica, nella quale la paura maggiore sembra essere quella della comprensione della propria reale statura. Le terzine preannunciano, attraverso le antitesi, il tono drammatico di quest'ultimo verso in cui il trapasso assume lo stesso significato che vale per i protagonisti suicidi delle sue tragedie (primo fra tutti Saul): un incontro con il proprio essere e la propria realtà morale.

 

Metrica: sonetto con schema ABAB ABAB CDC DCD

 

Sublime specchio di veraci detti,

mostrami in corpo e in anima qual sono:

capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;

lunga statura, e capo a terra prono;

 

sottil persona in su due stinchi schietti;

bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;

giusto naso, bel labro, e denti eletti;

pallido in volto, più che un re sul trono:

 

or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;

irato sempre, e non maligno mai;

la mente e il cor meco in perpetua lite:

 

per lo più mesto, e talor lieto assai,

or stimandomi Achille, ed or Tersite:

uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai.