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Alexandre Dumas, “Il conte di Montecristo”: riassunto e commento

Il conte di Montecristo è uno dei più celebri romanzi di Alexandre Dumas padre (1802-1870), e come molti suoi testi, tra cui il fortunato romanzo I tre moschettieri, si situa nell’alveo del feuilleton, o romanzo d’appendice: un’avventurosa narrazione di fatti, ricca di colpi di scena e intrighi, che veniva redatta per comparire a puntate nelle ultime pagine dei quotidiani e, dunque, pensata per mantenere viva la suspense nel pubblico.
Pubblicato dunque nel Journal des débats, testata di orientamento conservatore, Il conte di Montecristo vede la luce tra l’agosto del 1844 e il gennaio del 1846, in tre tranches per un totale complessivo di diciotto episodi.
La storia, che segue le peripezie del marinaio Edmond Dantès, sedicente Conte di Montecristo, si colloca storicamente tra il periodo di prigionia all’isola d’Elba di Napoleone Bonaparte e il governo di Luigi Filippo d’Orléans, ultimo re di Francia prima dell’impero di Napoleone III, ed è ambientata principalmente tra il porto di Marsiglia, alcune isole del Mediterraneo, e Parigi.

 

Riassunto

Siamo nel 1815 ed Edmond Dantès, marinaio di diciannove anni, è appena sbarcato a Marsiglia dopo aver preso da secondo il comando della sua nave, la Pharaon, a seguito della morte per febbre cerebrale del capitano. Qui gli viene confermato dall’armatore Pierre Morrel, proprietario della Pharaon, che verrà ufficialmente nominato capitano: ma questa non è l’unica buona notizia, Edmond può infatti finalmente riabbracciare il suo povero e vecchio padre e sposare la donna che ama, la catalana Mercédès. Tuttavia Edmond non riesce a coronare i suoi sogni, infatti, prima ancora che il matrimonio venga consumato, viene arrestato con l’accusa di aver tramato come agente bonapartista.
Edmond non ha alcun interesse nell’attività politica ed è innocente, l’unica colpa che può essergli attribuita è quella di aver fatto scalo con la nave all’Isola d’Elba, dove si trova prigioniero Napoleone, e aver accettato di consegnare una lettera ad un uomo senza sapere che si trattava di un carteggio tra bonapartisti.
Dietro l’odioso inganno vi sono alcuni uomini: Danglars, anch’egli in servizio sulla Pharaon e invidioso che Dantès sia stato nominato dal capitano morente come suo successore, l’avido sarto Gaspard Caderousse, vicino di casa del padre, che nutre anch’egli sentimenti ambigui per le fortune di Edmond e Fernand Mondego, un cugino di Mercédès che cerca senza successo di concupire la ragazza la promessa sposa di Edmond. Ad essi si aggiunge il giovane procuratore dalla dubbia morale che ha accolto la denuncia, si tratta di Gerard de Villefort, che è preoccupato di perdere credibilità davanti ai parenti anti-bonapartisti della sua amata, Renée de Saint-Méran. Villefort inizialmente, rendendosi conto della sincerità di Dantès, cerca di chiudere la faccenda facendosi consegnare la lettera ma, una volta scoperto che il destinatario è suo padre, non potendo auto-denunciare la propria famiglia decide di bruciare la lettera e mandare avanti la condanna a Dantès, che viene imprigionato al castello d’If, prigione di Stato in un isolotto al largo di Marsiglia dove è destinato a passare il resto dei suoi giorni.

Durante la lunga e logorante prigionia, Dantès conosce un abate e scienziato italiano, Faria 1, anch’egli prigioniero. I due si incontrano perché Faria, che sta tendando la fuga scavando da anni un tunnel, ha sbagliato i calcoli finendo, invece che all’esterno, nella cella del giovane. L’abate Faria, ormai vecchio e malato di epilessia, diventa dunque confidente e maestro di Edmond, lo introduce alle arti, alle matematiche e ad ogni branca della cultura e lo aiuta a raccogliere quante più informazioni possibili per vendicarsi dei suoi accusatori. Inoltre, l’abate, prossimo alla morte, confida ad Edmond un segreto che, una volta fuori dalla prigione di If, potrebbe cambiare la sua vita: sull’isola di Montecristo si trova, ormai da tempo immemorabile, un tesoro, di cui Faria conosce la collocazione.
Alla morte di Faria, Dantès, al suo quattordicesimo anno di prigionia, si sostituisce al cadavere del frate per essere tradotto fuori dalla fortezza ma, ormai nascosto nel sacco mortuario si rende conto che i cadaveri dei prigionieri della fortezza vengono direttamente gettati in mare. Una volta sprofondato tra i vorticosi flutti riesce a uscire dal sacco e nuotare verso la salvezza. Viene tratto in salvo da una ciurma di contrabbandieri che lo prende con sé grazie alle sue abilità di marinaio. Dopo qualche tempo i contrabbandieri si trovano a dover fare uno scalo proprio all’isola di Montecristo. Qui Dantès riesce a restare solo e, seguendo le coordinate comunicate dall’abate, a trovare il tesoro.

Improvvisamente più ricco di quanto avrebbe mai potuto sognare, Edmond Dantès si finge conte di Montecristo e torna in pompa magna a Marsiglia per consumare la sua vendetta.
Qui scopre che Mercédès, convinta che il suo amato sia stato giustiziato, ha finito per accettare come marito il cugino Fernand e che suo padre, già povero, dopo il suo arresto è morto di stenti e dolore. Per prima cosa, dunque, Dantès si traveste da abate e, sotto mentite spoglie, va a far visita a Caderousse, ormai oste all’albergo Ponte di Gard, e fingendo di aver dato l’estrema unzione al prigioniero noto come Edmond Dantès gli estorce la verità sul piano tramato ai suoi danni. 
Fingendosi poi un lord inglese, Wilmore, e un marinaio, Sinbad, ricompensa il buono e giusto armatore Morrel, che lo aveva nominato capitano ed era stato di conforto al padre nei suoi giorni peggiori e che ora versa in terribili condizioni economiche. Per un periodo, inoltre, decide di recarsi in Oriente per aumentare ulteriormente le proprie fortuna con nuovi commerci.

Passano così dieci anni, durante i quali Edmond Dantès cova la sua vendetta senza tuttavia metterla mai in atto. Nascosto dietro le spoglie del fittizio personaggio del conte di Montecristo, tuttavia, entra più volte in contatto con le persone del suo passato. In particolare si avvicina al figlio di Mercédès, Albert, che libera dopo il rapimento da parte di un bandito italiano, Luigi Vampa, che aveva contratto un debito con il conte di Montecristo. Poco a poco Edmond Dantès tesse la trama della sua vendetta, trasferendosi a Parigi e attraendo nella sua rete gli ignari attori della loro stessa rovina.
Grazie ad Albert, Dantès viene introdotto alla sua amata di un tempo, Mercédès e al marito Mondego, inoltre, sempre nei panni del conte di Montecristo, stringe anche contatti con Danglars, ricco banchiere da cui Dantès riesce ad ottenere un cospicuo credito e a scoprire i segreti che legano la di lui moglie al pavido Villefort, che, a seguito dell’arresto di Dantès, aveva ricevuto la croce della Legion d’Onore, nonostante il padre fosse stato coinvolto in una congiura. 
Dantés viene inoltre a scoprire altre questioni private legate alla famiglia di Villefort, alla cui moglie fa pervenire un veleno che la donna aveva richiesto. Il veleno procurato da Dantès viene dunque utilizzato in una torbida storia di eredità e inganni familiari, provocando una catena di omicidi interni alla famiglia stessa che sconvolge Villefort e lo conduce alla pazzia.
Caderousse, il cui lavoro di oste non basta al suo sostentamento, si dà alla vita criminale, così Dantès, attraverso una serie di inganni, riesce ad attrarlo in una trappola mortale. Al momento della morte di Caderousse, Dantès si mostra per chi è veramente e, Caderousse, appena prima di spirare, si pente per lo sciagurato inganno compiuto ai suoi danni.
Dunque Dantès riesce a far incriminare Fernand Mondego per un odioso tradimento perpetrato durante gli anni di servizio come ufficiale in Grecia. A seguito del processo, Mondego, oltre a subire una terribile disfatta sociale, viene abbandonato da Mercédès (che ormai è sicura della vera identità del conte di Montecristo ed è l’unica ad averlo riconosciuto) e Albert: moglie e figlio decidono di fare a meno del proprio rango e dei propri beni pur di allontanarsi da lui. Incapace di far fronte a una simile vergogna, Mondego scopre anche che il conte di Montecristo è un fantasma del passato, Edmond Dantès, e che a lui deve la sua rovina. Sopraffatto dagli eventi Mondego si suicida. A Mercédès viene donata la vecchia casa di Marsiglia di Dantès per poter vivere in pace.
Danglars, vittima delle manipolazioni azionarie di Dantès comincia a perdere ogni avere fino alla completa bancarotta. Inoltre Dantès si accorda con il bandito romano Vampa per far rapire Danglars e sottrargli anche quei pochi avere rimasti. Dopo un estenuante rapimento in cui Vampa fa pagare a Danglars ogni cibo che consuma, Dantès si presenta al banchiere e, svelata anche a lui la propria identità, accetta il suo perdono e risparmia la sua vita e il suo onore.
Edmond Dantès, di fronte al nemico ormai distrutto, decide finalmente di mettere una pietra sui dolorosi eventi del passato e di cominciare una nuova vita all’insegna della speranza nei confronti del futuro.

 

Contesto storico e tematiche

Il conte di Montecristo risulta ispirato ad una vicenda realmente avvenuta a inizio secolo a un uomo di nome François Piçaud: in procinto di sposare una donna con una dote non indifferente, Piçaud subì la medesima sorte di Edmond Dantès (con una differenza data dal momento storico: Piçaud fu condannato come spia inglese) e una volta scontata la sua pena tornò a vendicarsi dei suoi accusatori grazie a all’ingente eredità di un frate conosciuto durante la prigionia 2
Nonostante queste chiare somiglianze con l’evento di cronaca, Il conte di Montecristo, oltre a venir approfondito in funzione romanzesca nello svolgimento della trama, viene inoltre scritto da Dumas in un complesso periodo della politica francese, quello di transizione tra la fine del bonapartismo e il secondo impero di Napoleone III, che verrà instaurato pochi anni dopo la pubblicazione del romanzo. A questo proposito, il primo germe  d’idea nasce in Dumas proprio in relazione alla famiglia Bonaparte, quando, in viaggio con un nipote di Napoleone per volere del padre, Jérome Bonaparte, passando per l’isola d’Elba si ferma in visita all’Isola di Montecristo, dal cui nome è già affascinato. Troviamo dunque già nella biografia di Dumas due elementi che saranno fondamentali per il destino di Edmond Dantés: il luogo, quindi l’isola, dove è nascosto il tesoro che gli permetterà di compiere la sua vendetta e lo sfondo politico che motiva la condanna a Dantés: l’esilio di Napoleone all’Elba e i rapporti con i bonapartisti.
Nonostante dunque non si parli realmente di politica all’interno del romanzo - principalmente perché il suo protagonista, Edmond Dantès, non è un personaggio politico ma si trova incastrato suo malgrado in trame che fondano su una motiviazione di stampo politico intessi molto più semplici e quotidiani - , il contesto storico ne permea ogni elemento, dall’iniziale condanna a Dantès, al bel mondo parigino in cui il conte di Montecristo si insinua per portare a compimento la sua vendetta. Da notare, inoltre, come i personaggi bonapartisti siano anche quelli che potremmo considerare “positivi”, come l’armatore Morrell, o l’ex capitano della Pharaon, e al contrario i caratteri più negativi siano legati agli anti-bonapartisti, come Villefort, o rappresentino un ideale capitalistico piccolo borghese, come Danglars.

Politica è anche l’evidente critica, che pervade la prima parte del romanzo, al sistema giuridico e carcerario del XIX secolo. Abbiamo infatti un imputato, Dantès, che viene condannato senza poter godere di un vero processo e di una vera difesa: l’unico momento per perorare la propria causa che gli viene concesso è un dialogo a porte chiuse e senza testimoni con il procuratore che accoglie la denuncia. Per contro incontriamo una pletora di faccendieri il cui odioso crimine ai danni Dantés è rimasto impunito e che si sono arricchiti grazie a trame ai limiti del legale e in tempi relativamente brevi (si pensi a com’è la situazione personale dei detrattori di Edmond Dantès al momento del suo arresto e di come li ritroveremo a seguito della fuga dal Castello d’If, dopo solo quattordici anni).
Dantès, dunque, a fronte del fallimento della giustizia umana, si investe di una missione quasi provvidenziale, trasponendo la propria esperienza dal personale all’universale e scegliendo la vendetta come mezzo per mondare non solo le ingiustizie subite ma il concetto stesso di ingiustizia. La sete di vendetta di Dantés deve tuttavia scontrarsi con i limiti dell’umano: laddove le sue azioni provocano una catena di dolore che, crescendo a dismisura ormai quasi indipendentemente da lui, investe anche gli innocenti, Dantès si rende conto che la giustizia dell’uomo sarà sempre fallibile poiché non è e non può essere la giustizia provvidenziale di Dio. 

La parabola umana ed emotiva di Edmond Dantès trasforma dunque l’uomo, da giovane di belle speranze e sguardo franco sul mondo, ad adulto indurito nell’animo come nell’aspetto. Il desiderio di vendetta pervade ogni aspetto della vita del Dantès post-prigionia. Dantès è dunque diventato un uomo freddo e calcolatore, capace di passare dall’amicizia all’odio repentinamente ma con controllato distacco, un uomo-macchina cui ogni azione è finalizzata a nuocere, presto o tardi, a coloro che hanno trasformato il suo futuro in un incubo lungo quattordici anni. Potremmo dire che la storia di Dantès si sviluppa nel senso di una vera e propria discesa all’Inferno: “Dantès”, d’altronde, richiama “Dante”, e come il poeta toscano nella Divina Commedia (o il protagonista di un’altra opera successiva di una ventina d’anni, Delitto e castigo) si trova a percorrere un percorso di perdizione e redenzione, che culmina alla conclusione del romanzo quando, di fronte alle macerie della propria vendetta, perdona l’ultimo dei suoi traditori, Danglars, e decidere di chiudere definitivamente i conti con il passato in vista di un nuovo, ancora sconosciuto, futuro.

1 L’abate Faria può essere manzonianamente inteso come simbolo della Provvidenza, elemento che tornerà a manifestarsi più volte all’interno del romanzo.

2 La storia di Piçaud viene raccontata da Jaques Peuchet in Les archives de la Police.