preferenza di Dante nell'uso del volgare toscano

Analizzando tutti i 14 dialetti Dante considera elegante e quindi degno di essere usato il volgare adottato in Sicilia da Federico II perché se non ricordo male, considera il volgare toscano rozzo. Poi succede che Federico II muore e il centro culturale diventa Firenze. Perché alla fine opta per il volgare fiorentino come volgare illustre,di cui inizialmente almeno,non ne era affatto convinto? Ho un dubbio in questo punto. Grazie a chi risponderà. Virginia


il 07 Giugno 2015, da Virginia Duranti

luca ghirimoldi il 09 Giugno 2015 ha risposto:

Ciao Virginia, bella domanda! :) Nel “De vulgari eloquentia” Dante traccia un quadro storico-letterario di grandissimo rilievo (di fatto, è il primo vero storico della nostra letteratura) per sostenere la tesi della dignità del volgare a cospetto del latino e del suo prestigio culturale. Alla base dell’operazione c’è quindi la ricerca di un volgare dotato di determinate qualità (illustre, cardinale, regale, curiale) per il suo uso letterario. Innanzitutto dobbiamo considerare che Federico II muore nel 1250, mentre Dante si dedica alla stesura del suo trattato all’incirca tra 1303 e 1305: in questo senso, Firenze a inizio Trecento è già un polo culturale di primo rango, dopo l’importantissima operazione di traduzione ed “importazione culturale” della lirica siciliano (qui trovi alcune lezioni: https://library.weschool.com/lezione/la-scuola-siciliana-contesto-storico-culturale-ed-autori-4741.html https://library.weschool.com/lezione/scuola-siciliana-canzone-4742.html) ad opera dei poeti siculo-toscani ( https://library.weschool.com/lezione/poeti-sicilia-4835.html https://library.weschool.com/lezione/bonagiunta-orbicciani-dante-4922.html) e poi con la scuola stilnovistica ( https://library.weschool.com/lezione/dolce-stil-novo-dante-4989.html https://library.weschool.com/lezione/guido-guinizzelli-metafora-4991.html). Il volgare siciliano è certo lingua molto prestigiosa, tanto che Dante identifica nella scuola federiciana il primo esempio di scuola poetica in Italia, e fa da lì discendere (lungo la dorsale tirrenica e quella adriatica) i primi passi della nostra storia letteraria (libro I, capitolo 10). Tuttavia, l’autore non assegna una palma di vincitore a nessuno dei 14 volgari principali della Penisola, poiché il volgare per eccellenza (o, per dirla con Dante, “l’odorosa pantera”) sfugge sempre alla cattura. L’analisi dei volgari “indegni” è sviluppati nel capitolo 11 del libro I del “De vulgari eloquentia”, dove, con giudizi gustosi ma implacabili (il modello è quello dell’improperium, ovvero della beffa o rampogna di tono morale o “comico”), Dante scarta nell’ordine il volgare romano, quello della zona della Marca d’Ancona e di Spoleto, di Milano, di Bergamo, del Friuli (in particolare di Aquileia e dell’Istria), del Casentino e della Sardegna intera. L’arma con cui procedere a questa operazione di “sradicamento o estirpazione” è la bruttezza o l’asprezza o la rozzezza dei suoni di questi volgari all’orecchio di un ascoltatore toscano o abitante in una città. Dante analizza poi (capitoli 12-15 del primo libro) le forme migliori, ma nessuna riesce a svettare sulle altre. La sua conclusione nel sedicesimo capitolo del primo libro è la seguente: “dicimus illustre, cardinale, aulicum et curiale vulgare in Latio quod omnis latie civitatis est et nullius esse videtur, et quo municipalia vulgaria omnia Latinorum mensurantur et ponderantur et comparantur” [traduzione: “in Italia definiamo come volgare illustre, cardinale, regale e curiale quella lingua che si trova in ogni città italiana e che non sembra essere propria di nessuna, e in base a cui tutti i volgari cittadini degli Italiani devono essere commisurati e valutati e paragonati”]. Dante insomma individua un volgare nazionale, al di sopra delle differenze e delle rozzezze “municipali”, ma al tempo stesso è consapevole che questa è un’astrazione, dato che nei fatti questa lingua non è strettamente individuabile su un piano storico-geografico preciso e concreto. Due ulteriori elementi sono da tenere in considerazione: il primo, è quello che la ricerca di Dante è orientata esplicitamente alla ricerca di una lingua letteraria e non di una lingua d’uso quotidiano (lo si vede molto bene nel capitolo 2 del secondo libro, dove viene trattata la questione dei “magnalia”). Si può dire che da qui in poi la “questione della lingua” si protrarrà nei secoli, fino a Manzoni e poi a Pasolini e Calvino. Il secondo è che il “De vulgari” è incompiuto a metà del suo progetto originario: l’analisi dantesca è certo affascinante (sebbene in conflitto con le scelte di altre opere, come il “Convivio”: https://library.weschool.com/lezione/convivio-dante-alighieri-e-filosofia-1404.html), ma possiamo solo ipotizzare gli sviluppi del ragionamento dantesco nei due libri che non vennero mai scritti. Spero di aver risposto alla tua domanda, un saluto e buona giornata! :)


Luca ti ringrazio. L'esame andó molto bene - Virginia Duranti 14 Gennaio 2017

Benissimo! Buona giornata - luca ghirimoldi 16 Gennaio 2017